Trappola Mortale

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Era quasi mezzanotte, quando decisi di alzarmi da quel materasso scomodo, per mettere in atto il piano che avevo escogitato tutto il giorno.
Prima di mettermi in piedi, buttai una veloce occhiata a Luffy e ad Ace, per assicurarmi che stessero dormendo.
Entrambi sembravano essere sprofondati nel mondo dei sogni, ma era Luffy quello a ronfare di più: faceva un baccano.
Ace era decisamente più silenzioso, però, dal respiro pesante che aveva, capii che anche lui stava dormendo profondamente, ignaro di tutto.
Sorrisi soddisfatta, mentre scivolavo silenziosamente fuori dalle lenzuola ruvide.
Avevo deciso di tenere il mio futon vicino alla porta, così da riuscire a svignarmela più velocemente e senza troppi intoppi.
A passo, quasi impercettibile, cominciai ad avanzare verso la porta, ma un improvviso cigolio del pavimento mi fece bloccare sul posto.
Sbirciai con la coda dell'occhio quei due e, fortunatamente, non notai nessun cambiamento nelle loro posizioni.
Rilasciai la tensione con un sospiro leggero, e ripresi la mia camminata verso la mia meta. Dovevo stare attenta o mi avrebbero scoperta.
Arrivata alla porta, afferrai la maniglia di legno, e mi voltai un'ultima volta per guardare Ace e Luffy.
Constatato che stavano ronfando entrambi, aprii lentamente la porta, che purtroppo non poté trattenersi dal fare un leggero cigolio, non sufficientemente forte per svegliarli.
Non staccai gli occhi da loro, finché non misi anche il naso fuori dalla stanza.
«E il primo passo è fatto», bisbigliai soddisfatta.
Ora dovevo solo superare quella boscaglia di deficiente che mi si sarebbe presentata davanti di lì a poco, e poi sarei stata finalmente libera di correre verso la mia meta.
Cominciai a scendere le scale, stando bene attenta a non fare rumore nemmeno con il respiro.
Certo, c'era il russare pesante di Dadan e quello dei banditi, a coprire eventuali cigolii, ma era meglio non abbassare la guardia.
Quando arrivai a toccare la maniglia della porta dell'entrata, sentii Dadan smettere improvvisamente di russare. Emise una specie di grugnito, che mi fece bloccare sul posto. Chiusi gli occhi per un secondo, pregando di non dovermene tornare in camera prima del tempo, e mi voltai verso di lei, per vedere se si era svegliata.
Feci appena in tempo a pensarlo, che Dadan riprese a russare come se nulla fosse.
Sospirai per la seconda volta, quella sera, e uscii finalmente di casa.
Cominciai a correre, anche se non vedevo quasi nulla e, più mi inoltravo nel bosco, più mi sembrava che il buio diventasse sempre più fitto.
Inciampai anche un paio di volte su dei piccoli bastoncini che avevano deciso di intralciarmi la strada, ma per fortuna riuscii a non cadere.
Corsi a più non posso, finché non iniziai a intravedere una luce davanti a me. Evidentemente, proveniva da quella discarica che avevo attraversato con Luffy quella stessa mattina.
Sorrisi, compiaciuta di essere già arrivata fin lì, perché significava solo una cosa: il nascondiglio era vicino.
Mi fermai a riposare, solo quando fui dentro la discarica.
Forse dovevo rallentare, alla fine era notte fonda.
Dadan non poteva sicuramente accorgersi della mia assenza, nel modo in cui ronfava. Stessa cosa valeva per Luffy o Ace... Specialmente Ace.
A quello non fregava nulla di me, anzi, se si fosse svegliato e non mi avesse vista, avrebbe tirato un sospiro di sollievo, ne ero certa.
A passo lento, cominciai ad attraversare quello che, ricordavo, si chiamava il "Grey Terminal", ma cominciai a percepire le gambe farmi male: avevo corso decisamente troppo in fretta.
Mentre riprendevo fiato, notai dei focolai sparsi un po' ovunque, con tanto di uomini, seduti davanti a essi, che si scaldavano e se la ridevano, mentre i loro cani dormivano tranquilli accanto a loro.
Era davvero un postaccio.
Dove avesse trovato il coraggio di lasciarmi lì, quello scimmione di Garp, ancora non ero riuscita a capirlo.
Notai una leggera nebbiolina, a livello delle mie caviglie, che si espandeva per tutto il Grey Terminal, donando al luogo un tono ancora più lugubre.
Mi tappai il naso: la puzza lì dentro era davvero pesante e insopportabile.
Mi chiedevo, come quegli uomini potessero restare seduti a ridere e a scherzare, respirando impassibili quell'odoraccio.
A causa del fumo che emanava quel posto, faticavo a vedere davanti a me, ma cercai di non perdere la concentrazione.
Sapevo che sarei arrivata fuori in poco tempo, dovevo solo cercare di ricordare il percorso che avevo fatto quella mattina.
L'avevo memorizzato, però, ora che era notte, non ero sicura di aver preso la strada giusta. Sembrava tutto così diverso.
«Ehi, ragazzina», mi chiamò una voce profonda e rauca, alla mia destra.
Mi voltai per vedere a chi appartenesse, e notai un uomo alto, dalla pelle scura e i capelli neri che mi guardava con un ghigno divertito.
Indossava dei vestiti, talmente luridi e strappati, che sembravano gli stessi stracci che usava Dadan per pulire la cucina.
«Che ci fai qui? Ti sei persa?», mi chiese, con tono poco rassicurante.
La sua voce non m'ispirava nulla di buono, per non parlare del suo sguardo: sembrava un maniaco.
«No, sto tornando a casa», mentii, fingendo indifferenza.
«Sicura? Perché hai tutta l'aria di esserti persa, invece», insistette lui, alzandosi dal suo posto buio.
«Ti ho detto che sto tornando a casa», ripetei con più convinzione, per poi riprendere il mio cammino.
Senza voltarmi, ricominciai ad avanzare, ma percepii quasi subito i suoi passi seguirmi.
Provai ad accelerare un po' la mia andatura, e a cambiare più volte direzione, ma lui fece lo stesso.
Allora, mi stava davvero seguendo!
Dovevo escogitare qualcosa, per riuscire a liberarmi di lui o sentivo che sarei finita nei guai.
Più avanzavo, più mi convincevo che quella notte avrei fatto meglio a rimandare il mio piano.
Ci avrei pensato domani a rubare il tesoro a quell'idiota di Ace, ora dovevo preoccuparmi di seminare quell'uomo e uscire di lì.
Provai diverse stradine, ma alla fine mi arresi all'evidenza che mi ero davvero persa.
Come avrei fatto a tornare a casa?
Il cuore cominciò a battermi forte per il nervoso, mentre l'agitazione stava cominciando a farsi sempre più forte dentro di me.
Dovevo andarmene, ma come avrei fatto con quell'uomo che mi seguiva come un cagnolino?
Mi voltai di scatto verso di lui. «Insomma, si può sapere che vuoi?», ringhiai acida, stanca di giocare al gatto e al topo.
Speravo di essere risultata abbastanza minacciosa, però, solo in quel momento, mi resi conto di essere solo un moscerino ai suoi occhi, dopo aver visto quanto era alto: doveva essere almeno due metri.
«Calma, ragazzina. Voglio solo fare amicizia», mi tranquillizzò lui, cercando di imitare un tono gentile, che non gli riuscì affatto da quanto era ubriaco «E aiutarti a uscire di qui», aggiunse con una vena sarcastica nella voce.
«No, grazie. Non ho bisogno del tuo aiuto», sbottai acida.
«Sicura? Perché saranno almeno dieci minuti che vaghi, prendendo direzioni a caso».
Serrai la mascella nervosa, cercando di mantenere il controllo, decidendo di proseguire per la mia strada, quando lo sentii afferrarmi il polso.
Automaticamente, mi voltai verso di lui e strattonai il braccio, liberandomi immediatamente.
«Non toccarmi!», urlai, sentendo il cuore saltarmi in gola dallo spavento.
«Dai, facciamo due chiacchiere, vuoi? Sei piccolina, ma devo ammettere che hai un bel visino. Potremmo diventare molto amici, che ne dici?».
Mi afferrò la mascella con due dita, ma riuscii a liberarmi spingendolo via.
«Non fare i capricci. Ti insegnerò molte cose, che sono sicuro ti piaceranno», ammise con l'acquolina in bocca, mentre a me salii la nausea.
Lo vidi avvicinarsi a me per afferrarmi le spalle, ma prima che potessi reagire, lo vidi fare una faccia strana e cadere a terra privo di sensi.
Ace era davanti a me, e impugnava ancora quel suo ferro metallico che, quella stessa sera, aveva lucidato nella nostra stanza fino a tardi.
«Ace...», Bisbigliai, incredula di vederlo lì a quell'ora di notte.
«Andiamocene!», disse lui serio, prendendomi per mano e trascinandomi velocemente fuori da quel postaccio.

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