«Ace», bisbigliai incredula «Ma tu... tu stai piangendo».
«Certo che sto piangendo, stupida!», Brontolò lui alzando la voce e singhiozzando «Ma cosa credi? Che sia fatto di pietra?», Mormorò.
«Io... non intendevo questo», mormorai a mia volta, vergognandomi senza una ragione.
Lo guardai mentre tremava sopra di me dal nervoso.
Stringeva gli occhi e i denti nel vano tentativo di bloccare quel pianto, che sembrava essere stato represso, da così tanto tempo, che non aveva più la forza di contenerlo dentro di sé.
Era la prima volta che lo vedevo piangere e, per quanto lo odiassi per quello che mi aveva fatto, non potevo fare altro che provare compassione per lui.
Forse, avevo esagerato.
Mi aveva ferita, questo non si poteva negare, però anche io avevo fatto la mia parte. Paragonarlo a suo padre era stata una mossa da vigliacchi e crudele.
Mi feci forza sulle braccia per sollevarmi in modo da arrivare più vicina a lui, per poi abbracciarlo così intensamente, che sospirò incredulo.
Si irrigidì per qualche secondo, per poi rilassarsi lentamente.
Avvolse le sue braccia attorno alla mia vita e mi tirò a sé, permettendo a entrambi di stare in una posizione più comoda.
Affondò la testa nell'incavo del mio collo e riprese il suo tremore, seguito da quel pianto ormai diventato liberatorio, mentre io sedevo sopra di lui.
Non so perché, ma nonostante quello che era successo, stare vicina a Ace mi faceva sentire come se le sue braccia fossero il posto più sicuro al mondo.
«Mi dispiace», singhiozzò «Mi dispiace... per quello che ti ho detto... e per tutto quello che ti ho fatto. Non so... perché mi comporto così, ma sappi... che non ho mi voluto farti del male. Ti prego... perdonami».
Sospirai cercando di ricacciare dentro le lacrime, ma non ci riuscii.
Sentirlo ammettere quelle parole, mi scaldò il cuore e non potei non pensare a quanto bene in realtà volevo a quel mocciosetto capellone dal carattere troppo scontroso.
«Va tutto bene, Ace. Dispiace anche a me, per come mi sono comportata. Non avrei dovuto dirti quelle cose. Calmati, adesso», dissi accarezzandogli i capelli ribelli.
«Hai fatto bene, invece», ammise lui, cercando di riprendere il controllo di sé «Non ti avrei mai seguita, se non lo avessi fatto».
«Che vuoi dire?».
Ace alzò la testa per guardarmi.
I suoi occhi lucidi e gonfi di lacrime mi sciolsero il cuore, sebbene il suo sguardo era serio come al solito.
Guardare quelle iridi nere bagnate da lacrime di tristezza, mi fecero provare una sensazione strana, come se improvvisamente mi si fosse creata una voragine nel petto.
«Non voglio che diventi una solitaria. Non voglio che cominci a odiare. Non voglio... che diventi come me».
«Ace...».
«Per tutta la vita, non ho fatto altro che odiare il mondo e tutta la gente che incontravo sul mio cammino. Preso dalla collera, ho picchiato tante persone, distrutto una marea di cose... E tutto per cosa? Non lo sapevo nemmeno io. Quando mi hai paragonato a mio padre, io... mi sono sentito esattamente come lui», disse per poi abbassare lo sguardo, posando la testa sul mio petto «Ma io... non sono come lui. Io non voglio abbandonarti. Non quando so di poter fare qualcosa per impedire che...».
Si zittì a causa del magone che aveva in gola, mentre io restai in silenzio a guardarlo: non l'avevo mai visto in quelle condizioni.
Ero incredula.
Credevo che uno come Ace non potesse provare sentimenti di quel genere, non con il carattere che si ritrovava.
Ero sempre stata convinta che nulla avrebbe potuto piegarlo, ma a quanto sembrava, mi ero sbagliata.
Gli accarezzai ancora i capelli nel tentativo di confortarlo.
«Che ne dici, se continuiamo questa conversazione in un posto più asciutto?», Gli chiesi, cercando di usare un tono divertito per sdrammatizzare la situazione «Siamo fradici».
Lui sorrise cercando di calmare il tremore del suo corpo: stavamo entrambi tremando dal freddo.
«Forse è meglio», disse lasciandomi andare.
Provai a sollevarmi come fece lui, ma persi l'equilibrio per la terza volta.
Fortunatamente, Ace aveva i riflessi pronti e mi afferrò subito, impedendomi di cadere.
«Ti fa male?», Mi chiese con una strana premura, a cui non ero abituata a vedere in lui.
«Un po'», mentii.
In realtà, mi faceva davvero molto male, ma non volevo fare la parte della piagnucolona.
«Dovremmo pulirla, prima che si infetti», aggiunse.
«Casa è lontana», pensai ad alta voce.
«Conosco un posto, dove possiamo passare la notte. Torneremo domani mattina», disse lui con tono tranquillo.
Mi sussultò il cuore, nel pensare che avrei passato la notte da sola con lui.
Detto questo, Ace si girò porgendomi la schiena e si abbassò fino a toccare terra con un ginocchio.
«Che fai?», Chiesi confusa.
«Non puoi camminare, giusto?».
«Mhmm...», Mugugnai contraria, capendo cosa voleva fare.
«Non fare tante storie», disse «Forza! Hai detto tu che è meglio andarsene. Quindi non fare la lagna, e salta su».
«Io non faccio la lagna», borbottai avanzando di un passo vero di lui, per poi posarmi sulla sua schiena.
Misi le braccia attorno al suo collo e aspettai che lui mi afferrasse per le gambe, prima di lasciarmi sollevare.
«Niente commenti sul mio peso?», Chiesi, stupita che ancora non mi avesse presa in giro.
«Sono troppo bagnato per pensare a qualcosa di offensivo», brontolò lui cominciando a camminare «E poi, sei leggera», ammise infine.
Risi alle sue parole e mi strinsi di più a lui, prima di lasciarmi guidare verso il nostro rifugio sicuro.
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𝕆𝕟𝕖 ℙ𝕚𝕖𝕔𝕖 - Due Cuori, Un Solo Fuoco-
FanfictionCosa sarebbe accaduto, se nella piccola Isola di Dawn, poco dopo l'arrivo di Luffy, fosse arrivata anche una bambina? Come sarebbe stata la vita di Ace, Luffy e Sabo? Avrebbero fatto entrare nella loro ciurma anche la piccola Emy? E cosa sarebbe su...