Crepe Del Cuore

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Andavo alla deriva e sognavo.
Mentre affondavo nell'oscurità, una fiamma apparve davanti a me.
Allungai una mano per toccarla, incurante del fatto che mi sarei bruciata o meno.
Non m'importava.
Non mi avrebbe mai fatto più male, di quanto non ne stavo già provando dentro di me.
Mentre avanzavo, sentii il suono più piacevole che la mia mente potesse percepire; bellissimo, rincuorante e tremendamente sensuale.
La voce d'angelo mi stava chiamando per nome, guidandomi verso l'unico posto dove volevo andare.
«Emy» sussurrò la voce d'angelo «Emy! Dove sei?» mi chiese, poi.
Sembrava preoccupato.
Non volevo che lo fosse, perciò risposi subito.
«Sono quidissi con altrettanta dolcezza.
La mia voce riecheggiò in quel posto, facendomi capire che oltre a me e quella fiamma, non c'era nulla se non il buio.
«Sono qui» mormorai ancora, non sentendo risposta da parte dell'angelo.
Cominciavo ad agitarmi.
Perché non si faceva vedere?
«Andrà tutto bene» mi rassicurò, ma non capii a cosa si stava riferendo.
«Che vuoi dire?» gli chiesi, confusa.
«Andrà tutto bene» disse ancora una volta.
La fiamma davanti a me, cominciò ad affievolirsi, spegnendosi sempre di più.
«NO!» urlai «ASPETTA!».
Nel momento in cui provai a toccarla, la fiamma sparì, lasciandomi al buio.
«ASPETTA!» urlai, cercando disperatamente di risentire di nuovo della sua voce «ACE!».

Aprii gli occhi, e vidi una luce bianca, abbagliante sopra la mia testa.
Ero in una stanza che non conoscevo, fatta di legno, bianco anch'esso.
Mi avevano sistemata su un letto lungo e irregolare, dai cuscini piatti e bitorzoluti.
Accanto a me, sentivo un fastidioso e continuo bip.
Avrei dato qualsiasi cosa per farlo smettere.
Mi stava facendo scoppiare il mal di testa, o forse ce l'avevo già.
Non ero sicura di niente, ma di certo ero viva.
La morte non poteva essere così scomoda e fastidiosa.
Le mie mani erano ricoperte da tubicini trasparenti, incollati a me con quello scotch medico che tanto odiavo.
Si appiccicava troppo alla pelle e poi, per toglierlo era sempre tremendamente doloroso.
Sentii poi, qualcosa di appiccicoso sotto il naso, che si insinuava di poco dentro le narici.
Mi infastidiva di più di quel maledetto bip.
Alzai una mano per strapparmi quella tortura di dosso.
«Ferma!» mi ordinò una voce autoritaria vicina a me, mentre una mano calda di posò sulla mia, bloccandomela.
L'angelo era tornato!
«Ace?» mormorai cercando di mettere a fuoco la figura davanti a me.
Notai immediatamente una testa di capelli biondi e mossi, e due iridi azzurre che riconobbi immediatamente.
Mi rilassati, capendo che avevo preso un grosso abbaglio.
Eppure, la voce sembrava proprio la sua.
Quella di mio marito...
La mente mi stava giocando brutti scherzi.
«Marco» mormorai, cercando di non mostrare la mia delusione.
Improvvisamente, mi ricordai il motivo della mia presenza lì.
Ero in infermeria e probabilmente, mi ero addormentata mentre mi stava visitando.
«Che cos'è successo? Ti prego, dimmi che il bambino sta bene» dissi sentendomi sempre più agitata.
Ricordavo molto poco, e la mia mente si rifiutava di ricostruire l'accaduto.
«Shh...è tutto a posto. State entrambi bene».
Sentii un peso sparire dal cuore, mentre il mio corpo ricominciò a rilassarsi.
«Hai rischiato grosso, bambolina. Avevi un emorragia, ma sono riuscito a bloccarla. E il pezzo di placenta che si era staccato, adesso è tornato al suo posto. Siete entrambi fuori pericolo».
Sospirai felice e Marco rilassò il viso, sorridendomi.
Marco era bello, oltre che gentile.
Avrei tanto desiderato vederlo felice con qualcuno, invece che perdere sempre tempo dietro ad una rompi scatole come me.
«Sono stata una stupida. Mi dispiace».
«Non fartene una colpa. Sei stata anche troppo brava a sopportare tutto ciò che è accaduto, nelle tue condizioni. Altre, non ce l'avrebbero fatta».
Gli sorrisi, prima che un pensiero cominciasse a martellarmi in testa.
«Devo vedere papà» la consapevolezza si fece strada attraverso la nebbia.
Cercai di alzarmi, ma la testa cominciò a girarmi più veloce, e le mani di Marco mi riaccompagnarono sul cuscino.
«È meglio che tu stia qui, ancora un po'. Non sei ancora in grado di alzarti».
«Voglio sapere come sta» dissi nel panico.
Non m'interessava di essere consolata.
Volevo vederlo, sentire la sua voce, sapere com'era andata a finire lo scontro con Akainu.
L'espressione di Marco però, mi fece capire che le cose non erano andate bene...per mio padre.
«Quanto male si è fatto?» chiesi, sperando che mi desse una risposta concreta.
Lo vidi sospirare piano e poi deglutire nervosamente.
«È meglio...se ne parliamo un'altra volta» ammise lui, accarezzandomi la spalla.
Non ce n'era bisogno.
Il suo sguardo, e il modo il cui mi aveva guardata in quell'istante in cui gli avevo posto la domanda mi aveva già risposto.
«È morto...vero?» chiesi d'un fiato.
Marco contrasse la mandibola, non sicuro di volermi rispondere, ma sapeva che non lo avrei lasciato andare, finché non mi avesse detto la verità.
«Le sue condizioni erano già molto serie» ammise «Le ferite che aveva riportato negli scontri precedenti, erano troppo gravi per essere curate anche da me».
Chiusi gli occhi, aspettando che il mio cervello elaborasse le sue parole.
Cominciai a tremare e piangere, ripensando che non solo avevo perso mio marito quel giorno, ma anche mio padre.
I due uomini più importanti della mia vita, erano morti nello stesso momento, e avevo avuto il tempo di dire addio solo ad uno di loro.
Marco si sedette sul letto, abbassandosi su di me per darmi conforto.
Piangemmo insieme, per condividere quel fardello di dolore, che il mio cuore non riusciva più a reggere.
Mi baciò la fronte, facendo aderire le labbra tremanti, per poi sostituirle con la sua fronte.
«Sono morti da eroi» sussurrò dolcemente, mentre il suo profumo fresco mi avvolgeva come un abbraccio.
Continuai a piangere in silenzio.
Non avevo più voce per fare nemmeno quello.
Restammo in quella posizione finché non mi calmai poco a poco.
«Quanti ne sono rimasti?» chiesi infine, riferendomi ai nostri amici.
«Poco più della metà».
«E Deuce?».
Marco abbassò lo sguardo.
Anche se non aveva detto nulla, capii immediatamente cosa volesse dirmi.
Il mio cuore si lacerò per la seconda volta, quel giorno.
Sospirai, sentendomi sempre più debole.
Il bip della macchina, aveva preso a suonare più velocemente, segno che mi stavo agitando.
«Adesso riposa» mi disse, accarezzandomi la testa «Ti darò un calmante per rilassarti».
In quel momento, accanto a me, vicino alle mie gambe, sentii un respiro profondo e regolare.
Abbassai lo sguardo, e notai Sabo addormentato con le braccia che gli facevano da cuscino.
La sua espressione era beata.
Era da molto che non lo vedevo dormire.
In quella posizione, la luce a neon della stanza gli illuminava i capelli quasi platino, e la pelle leggermente olivastra, accentuando ancora di più la sua bellezza.
«Ti è rimasto accanto per tutta la settimana. È un bravo ragazzo, oltre che un tremendo testardo. Nessuna minaccia ha funzionato con lui» ammise Marco con un sorriso.
Doveva piacergli davvero.
«Una settimana?» chiesi confusa «Ho dormito per così tanto?».
«Avevi decisamente molto sonno da recuperare» ammise lui «Ma è stato meglio così. Hai avuto modo di guarire più in fretta».
«Già» mormorai.
Marco si alzò dal letto controllando i miei valori sul display accanto a me.
La velocità del mio cuore aveva rallentato, dopo che avevo visto Sabo.
Sapere che stava bene e che era accanto a me, mi faceva stare più tranquilla.
Era sempre stato il mio calmante naturale.
«Se mi prometti che starai rilassata, potrei anche non darti il tranquillante».
«Mi servirebbe qualcosa di più forte» ammisi «Non puoi darmi qualcosa per farmi dormire finché non nascerà il bambino?».
«Se mi stai chiedendo di mandarti in "Coma Farmacologico", la mia risposta è no» ammise divertito, facendomi sorridere debolmente «Riposa» disse dandomi un altro bacio sulla fronte «Passerò più tardi per vedere come stai».
Mi fece una carezza veloce al ventre, per poi dirigersi fuori dalla stanza.
Sospirai, guardando il soffitto sopra di me.
Era assurdo che avessi dormito per una settimana intera, senza mai svegliarmi.
Dovevo proprio aver rischiato grosso, per essermi ridotta in quelle condizioni.
Abbassai lo sguardo per osservare ancora Sabo immerso nei suoi sogni.
Gli dovevo molto.
Non era riuscito a salvare Ace, ma aveva salvato me e mio figlio.
Dovevo essergli grata solo per il fatto che fosse venuto per noi...dopo tutto quello che era successo a Monte Corvo.
Allungai una mano per accarezzargli le ciocche ribelli.
Era diventato un ragazzo bellissimo, ma non mi stupii più di tanto.
Aveva sempre avuto fascino.
Chissà quanti cuori aveva infranto, in tutti quegli anni.
Lentamente, si svegliò ed io mi sentii tremendamente in colpa.
Avrei dovuto starmene ferma.
Dopo aver messo a fuoco la mia immagine, la sua espressione si illuminò nel trovarmi sveglia.
«Emy» mormorò sorpreso, avvicinandosi a me, premendomi poi delicatamente il viso tra le mani «Grazie a cielo, ti sei svegliata».
«Ciao, Sabo» gli dissi, sorridendogli.
«Sapevo che ti saresti ripresa» ammise «Come ti senti?».
«Un po' stordita, ma sto bene» risposi subito, per tranquillizzarlo.
Mi accarezzò i capelli, con gli occhi lucidi.
«Ho avuto tanta paura di perderti. Avrei dovuto intervenire prima. Se lo avessi fatto, Ace non sarebbe stato catturato e a quest'ora...».
«Non dirlo nemmeno» lo zittii «Non hai nessuna colpa».
«Invece c'è l'ho. Non sono riuscito a mantenere la promessa».
Scossi la testa. «Hai fatto più del dovuto» tagliai corto.
Non volevo che si sentisse in colpa a causa della testardaggine di Ace.
Se quello che era successo, era successo, di certo era solo perché quel testone di mio marito, aveva ceduto alle provocazioni di quel marine.
Era brutto da dire, ma l'unico colpevole della morte di Ace, era... Ace.
Scossi la testa, cercando di dimenticare, altrimenti mi sarei messa a piangere di nuovo e Sabo si sarebbe addossato la colpa anche di quello.
«Piuttosto, come sta Luffy?».
«È sulla nave di un certo Law. È un medico e sembra che Jinbei lo conosca bene. È al sicuro, ma delle sue condizioni ancora non sappiamo nulla».
Ricordai il momento in cui Luffy cadde in quella specie di shock, che lo aveva completamente immobilizzato.
Se non fosse stato per Marco e Jinbei probabilmente sarebbe morto a quell'ora; come me del resto.
«Quando potremmo sapere qualcosa?» gli chiesi, sperando di ricevere una risposta più precisa.
«Jinbei mi ha detto che non appena la situazione cambierà, verrà immediatamente ad avvisarci».
«Va bene» dissi infine, sospirando.
Chiusi gli occhi, pregando che la sua situazione migliorasse.
Avevo già perso un padre, un amico che era come un fratello, e mio marito nel giro di ventiquattr'ore.
Non potevo perdere anche Luffy.
«Se la caverà» mi tranquillizzò Sabo «Ora devi pensare a riprenderti, e al tuo bambino. Veglierò io su di voi. Finché non mi manderai via».
«Non istigarmi» gli dissi, sorridendogli.
Sorrise insieme a me, posando la sua fronte sulla mia, per poi baciarla.
Il suo profumo mi avvolse, cullandomi per un tempo che speravo non finisse mai.
«Ora dormi. Al tuo risveglio, sarò qui».

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