Tutto Ciò Che Voglio

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Per tutto il viaggio di ritorno, che durò una settimana circa, Ace non aveva quasi detto una parola.
Non faceva altro che pensare a Satch, a quello che era successo, oltre che a chiedersi se avrebbe potuto evitarlo se fosse stato insieme a loro.
Una domanda a cui nessuno dei due sapeva o poteva dare una risposta.
Quando tornammo sulla Moby Dick, l'aria era così elettrica e l'atmosfera così cupa, che mi fece pensare di aver sbagliato nave.
Era così diversa, ora che l'aria allegra che la ricopriva sempre se n'era andata.
Per non parlare del cielo grigio di quel giorno e la nebbia fitta, che davano al tutto un'atmosfera ancora più lugubre e deprimente.
C'erano come sempre tutti ad aspettarci, ma quella volta, nessuno di loro era in vena di festeggiare il nostro ritorno.
Quando sbarcai, la prima cosa che feci fu abbracciare Marco che mi accolse a braccia aperte, con espressione seria e gli occhi lucidi.
Tra tutti, era quello più legato al nostro Satch.
Si erano uniti entrambi a mio padre, quando erano solo dei ragazzini.
Erano praticamente cresciuti insieme quei due, perciò si era davvero creato un vero rapporto fraterno.
«Mi dispiace tanto» gli sussurrai all'orecchio, mentre Marco mi alzava leggermente da terra per abbracciarmi.
«Dispiace a tutti noi» aggiunse Ace dietro di me.
Marco non disse nulla.
Ci rivolse un debole sorriso, per poi dare la mano ad Ace e abbracciarlo a sua volta, con un gesto più forte, per darsi coraggio.
«Ci dispiace di non esserci stati per il funerale» continuò Ace «Ma il viaggio è stato lungo...».
«Non dovete preoccuparvi» lo zittì Marco «So che col cuore, eravate qui con noi».
«È così» ammisi.
«Sono felice di vedervi, ragazzi» ammise Marco dando una pacca amichevole sulla spalla ad Ace.
«Anche noi» ammisi rivolgendogli lo stesso sorriso debole.
Mi voltai per osservare gli altri miei fratelli, tutti con sguardo cupo.
Avrei voluto avere il potere di Luffy in quel momento, per allungare le braccia e stringerli tutti assieme, in un caloroso abbraccio.
Quelle espressioni tristi e vuote mi spezzavano il cuore.
Mi crebbe un magone in gola.
Alzai lo sguardo, per incrociare quello di mio padre, che mi osservava in silenzio con la mascella tesa.
Mi avvicinai a lui, e lo vidi allungare una mano che posò delicatamente sul mio viso.
L'afferrai, stringendola con entrambe le mani, facendo aderire meglio il mio volto al suo palmo così grande.
«Sono felice di vedere che state bene, figli miei» disse con voce roca.
Gli sorrisi, cercando di confortarlo.
«Anche noi siamo felice di vedere che stai bene» ammisi per poi sentirmi a disagio in quella situazione.
Non mi era mai successo di perdere un amico, quindi non avevo idea di come comportarmi.
«Papà, se c'è qualcosa che possiamo fare, basta solo chiedere» gli dissi, sperando che è bastasse.
Scosse la testa. «L'unica cosa che vorrei, è che tutto ciò non fosse mai successo».
Calò il silenzio per qualche secondo, prima che Ace lo spezzasse.
«Andrò a riprenderlo!» disse improvvisamente Ace lasciando tutti senza parole «Gli farò pentire di essere nato».
Mi voltai a guardarlo, incredula.
«Stai scherzando?» gli chiesi «Hai intenzione di inseguirlo per tutto il mondo? Non sappiamo neanche dov'è andato».
«Lo scoprirò!» disse lui serio e con i pugni serrati, avviandosi verso il cornicione del ponte, per saltare sulla Strike, una piccola barca da un posto che navigava grazie al fuoco emesso da Ace.
L'aveva costruita insieme a Deuce durante i due anni di assenza.
Era sempre attaccata alla nave, quindi sapeva benissimo dove era situata.
«Fermatelo!» ordinò mio padre ai suoi figli.
Alcuni degli uomini bloccarono Ace che stava quasi per saltare, impedendogli di fare un altro passo, portandolo con i piedi per terra.
«Siete impazziti? Lasciatemi, dannazione!» urlò Ace pieno di rabbia.
«Non devi reagire così, Ace. Devi calmarti!» gli disse Marco alzando il tono della voce.
«Lascia perdere, figliolo» continuò mio padre con tono tranquillo.
«Non hai sentito?» disse uno dei suoi uomini più robusti, che tratteneva Ace per un braccio «Il Capitano Barbabianca, ti ordina di lasciar perdere. Non devi inseguire Barbanera» disse con la sua voce profonda.
«E lasciami!» urlò Ace dimenandosi come un serpente «Barbanera, era uno dei miei uomini. Se non riesco a riacciuffarlo e a punirlo, lo spirito di Satch non troverà mai pace!» finì la frase con tutta la rabbia che aveva in corpo, sbraitando, incurante di tutto.
Cercò di togliersi di dosso i suoi fratelli, mentre io non seppi davvero cosa fare per fargli cambiare idea.
Deglutii nervosamente, guardando Marco che mi osservava pensieroso.
Mio padre abbassò il capo, chiudendo gli occhi.
«Ace!» lo chiamò, facendolo fermare sul posto «Sono io a chiederti di lasciarlo andare. Non so perché, ma ho un brutto presentimento».
Ace lo guardò con rabbia.
«Ha ucciso un pirata della tua ciurma e se l'è data a gambe» disse lui fuori di sé «Ha vissuto sotto la tua ala protettrice per tanti anni, e poi ha osato tradire la tua benevolenza» urlò in preda all'ira.
Mi avvicinai a lui, prendendogli il viso tra le mani.
«Ace, ti supplico!» dissi cercando di farlo tornare in sé «Ragiona! Che cosa intendi fare una volta che lo avrai trovato? Avrà sicuramente mangiato quel frutto, e non abbiamo idea di che razza di potere ha».
Mi guardò, respirando affannosamente dal nervoso.
«Anche io possiedo i poteri di un frutto».
«Ma non sei indistruttibile!» dissi disperata «Mi avevi promesso che saresti rimasto con me, te lo ricordi?»
«Non posso lasciar perdere!» disse acido.
«Perché devi sempre essere così testardo?»dissi cominciando ad innervosirmi «Non ci pensi a me? A ciò che abbiamo progettato?».
Sentii le lacrime rigarmi il viso.
Sospirò con la bocca chiusa, prendendomi il viso tra le mani.
«Solo questa volta» disse piano «Vendicherò Satch, e quando tornerò, smetterò di fare il pirata. Te lo giuro!».
«Come puoi dirmi questo?» chiesi tra le lacrime «Non voglio! Non te lo permetto!».
«Andrò comunque, con o senza il tuo consenso. Si tratta di nostro fratello» mi disse posando la sua fronte sulla mia.
Sospirai, cercando di calmarmi.
«Non voglio perderti» ammisi.
«Non mi perderai. Non mi succederà nulla, te lo prometto. Ricordi cosa dissi a Luffy, anni fa? Non morirò mai!» disse ripetendo quelle parole con un sorriso «Ho voi due piagnucoloni a cui badare. Non posso andarmene».
«Fammi venire con te!»
«Non se ne parla!» disse lui, tornando serio, raddrizzando la schiena «È troppo pericoloso».
«Ma, Ace...»
«No, Emy! Questa volta non posso permetterti di seguirmi».
Mi diede un bacio veloce sulla fronte.
«Ti prego...resta!» lo implorai tra le lacrime, con la voce spezzata.
«Non posso tollerare che la passi liscia» disse con tono tranquillo «Ha infangato il nome di mio padre».
Si sistemò il cappello sulla testa e si diresse a passo deciso verso il punto dove era legata la Strike.
Mi voltai a guardarlo, senza avere la forza di fermarlo.
Tremavo come una foglia, immobile.
Tutto ciò che riuscivo a fare era piangere.
"Ace..." pensai, non avendo neanche più la forza di parlare.
Prima di abbassarsi a prendere la sua sacca, si fermò sul posto.
Per un momento, ebbi l'impressione che ci avesse ripensato, ma poi si voltò verso di me.
Con uno scatto mi raggiunse e mi baciò intensamente, incurante che tutti ci stessero guardando.
Mi aggrappai a lui, in un tentativo disperato di fermarlo, di incollarlo a me per impedirgli di andarsene.
Ci staccammo solo quando entrambi non avemmo più fiato.
«Tornerò presto!» mi sussurrò.
«Allora perché mi sembra che tu mi stia dicendo addio?».
«Perché sei sempre stata tu quella tragica, dei due» ammise ridendo.
Risi a quella battutina, anche se non avevo per niente voglia di farlo, ma il tono con cui lo disse, mi impose di sorridere.
«Ti amo» sussurrò, posando la sua fronte sulla mia «Con tutto me stesso».
Respirava pesantemente, segno che anche lui stava cercando in tutti i modi di trattenere le lacrime.
«Ti amo anch'io. Con tutto il mio cuore».
Presi le sue mani tra le mie, stringendole più che potevo.
Il mio corpo si rifiutava di lasciarlo.
Alzò lo sguardo verso nostro padre, che era rimasto in silenzio come tutti a guardare la scena.
«Barbabianca, posso chiederti un favore? So che le circostanza non sono delle migliori, ma non te lo chiederei se non fosse importante».
Lo guardai confusa.
«Dimmi pure, figliolo» disse mio padre.
«Sposaci!» disse Ace d'un fiato e con serietà, lasciando tutti sbalorditi.
«Ace...» mormorai incredula.
Rivolse nuovamente lo sguardo verso di me.
«Ho preso la mia decisione. Ora devo sapere qual'è la tua?» mi chiese serio e deciso.
Sentii il magone farsi sempre più grande nella mia gola.
«Papà, sposaci!» dissi in contro a mio padre, che mi guardò sorridente.
«Così sia!» disse lui.
I nostri fratelli si riunirono intorno a noi, silenziosamente, aspettando che nostro padre cominciasse a parlare.
«Figli miei...» iniziò alzandosi in piedi, indossando il suo mantello da capitano che Marco gli aveva premurosamente posato sulle spalle dopo esserli andato a prendere di corsa nella cambia di papà «Quest'oggi ci siamo alzati dai nostri letti, portando con noi solo dolore e rabbia. Chiedo a tutti voi, di lasciare andare per un momento questi sentimenti, per dare spazio alla gioia nel vedere un amore che ha affrontato molte avversità in questa vita, ma che nonostante ciò, ancora arde come una fiamma dentro i vostri fratelli».
Ace alzò un sopracciglio e sorrise divertito, nel sentire che papà aveva usato la parola "fiamma" per descrivere il nostro amore.
Sorrisi a mia volta, anche se dentro di me sentivo che le lacrime stavano tornando.
«Ragazzi» ci chiamò mio padre «Non ho mai celebrato un matrimonio in tutta la mia vita, e sono onorato, che il primo che celebrerò sia quello dei miei figli».
Lo guardammo sorridenti, sentendo delle gocce di pioggia cominciare a cadere, ma a nessuno importò.
«Portgas D. Ace, ti prendi l'impegno di amare mia figlia, per il resto della vita, finché il tuo cuore batterà?».
Ace mi guardò, sorridendomi sia con la bocca che con gli occhi.
«Credo di non avere altra scelta, capitano» disse con tono divertito «Ho provato a dimenticarla, ma non ha funzionato. Quindi, mi arrendo a lei...nonostante sia fastidiosa e irritante» disse facendo sghignazzare tutti, compresi papà e me «Il mio cuore se l'è preso molto tempo fa».
«Newgate D. Emy, cosa rispondi?» mi chiese mio padre.
Sospirai, deglutendo il magone di lacrime.
«Ho fatto molto sbagli nella vita, di cui mi pento. Ma ciò di cui non mi pentirò mai, è di essermi innamorata di questo arrogante dalla zucca vuota» dissi facendo sorridere tutti divertiti, compreso Ace «Ti ho amato anch'io dal primo istante, ma ero troppo sciocca per ammetterlo. Sei tutto ciò che voglio».
«Sei tutto ciò che voglio» ripeté lui, tenendomi le mani.
«Con il potere conferitomi, be'...da me» disse papà facendo ridere tutti «Vi dichiaro ufficialmente, marito e moglie. Che il mare e l'amore che provate l'uno per l'altra,possa scorrervi nelle vene per il resto delle vostre vite» concluse la frase, per poi rimettersi lentamente seduto.
«Il bacio» sussurrò Marco a mio padre.
«Oh? Ah, giusto. Puoi baciare la sposa» mormorò mio padre imbarazzato.
Io ed Ace ridemmo, sentendo la pioggia cadere sempre più fitta, prima di incollare nuovamente le nostre labbra tra di loro, in un bacio pieno d'amore, ma che ebbe tutta l'aria di un bacio d'addio.
«Finalmente, sei mia!» sussurrò Ace felice.
Lo baciai ancora, fregandomene a mia volta che la ciurma fosse presente.
Non volevo lasciarlo andare a nessun costo.
Si staccò da me, cercando di farmi calmare.
«Devo andare!» sussurrò.
«Resta con me» sussurrai sentendomi pronta a piangere ancora «Ti prego».
Mi sorrise, accarezzandomi il viso, spostandomi alcune ciocche bagnate.
Alzò lo sguardo verso nostro padre, facendosi più serio.
«Vado a sistemare la faccenda» mi disse.
Scossi la testa, insistentemente.
«No» dissi ormai senza controllo «Non puoi lasciarmi! Non adesso!».
Rivolse lo sguardo verso di me.
«Tornerò prima di quanti pensi» disse per rassicurarmi, ma non funzionò.
Mi sapeva troppo si bugia.
Scossi ancora la testa, piangendo in silenzio.
«No» sussurrai.
«Andrà tutto bene» disse lui cercando di tranquillizzarmi, ma non avevo per niente voglia di farlo «Sta' tranquilla».
Abbassò lo sguardo sul mio polso.
«Prendo questo, come pegno della promessa».
Sfilò il mio bracciale rosso e bianco dal mio polso, che mi aveva regalato Makino il giorno prima di partire, e da cui non mi separavo mai.
Aveva un valore importante per me.
«Adesso, sono costretto a tornare per ridartelo» continuò lui, sorridendomi.
Quel sorriso mi sembrava così forzato.
Avevo una sensazione orribile e non solo perché l'amore della mia vita se ne stava andando un'altra volta.
Era qualcosa di diverso.
Paura pura, che qualcosa di brutto sarebbe potuto accadergli.
«Ace, ti prego...no...» dissi cercando di aggrapparmi a lui, ma non me lo permise.
«Deuce...» lo sentii dire, alzando lo sguardo per qualche secondo.
In pochi secondi, mi sentii afferrare da dietro e rinchiudere in una morsa.
«Emy...» disse Deuce dietro di me, mentre Ace riuscì a staccare le nostre mani per allontanarsi da me.
«N-no...no, ti prego» balbettai continuando a piangere, mentre lo vedevo avanzare verso il ponte, per poi abbassarsi a prendere la sacca bianca e verde, che portava con sé come una valigia.
«Sta' calma» mi disse Deuce con tono dolce «Andrà tutto bene. Tornerà».
Bugie.
Quelle non erano altro che bugie alle mie orecchie.
Ace saltò sul cornicione del ponte, voltandosi un'ultima volta a guardarmi.
«Abbi cura di te...Signora Portgas» disse sorridente per poi saltare giù dalla nave.
Quello frase mi fece provare un brivido lungo la schiena.
«ACE!» urlai «NO!»
Volevo usare il mio potere contro Deuce per liberarmi, ma non trovavo le forze e la concertazione per farlo.
Stava successo tutto troppo in fretta.
Il mio cervello era andato in tilt.
Marco corse nella sua direzione, fermandosi sul cornicione.
«No, fermo! Aspetta!» urlò, cercando di fermarlo «Ripensaci, Ace!».
Il rumore di un motore ringhiò nell'aria, facendoci capire che colui che era ormai diventato mio marito, non aveva nessuna intenzione di rinunciare alla sua missione.
Solo in quel momento recuperai la lucidità.
Con uno strattone, mi liberai dalla presa ferrea di Deuce e corsi vicino a Marco.
«Ace!» urlai ancora, ma questa volta non si voltò.
La Strike partì a grande velocità, prendendo il largo in pochissimi secondi.
Scoppiai a piangere, per poi sentire delle braccia calde circondarmi.
Riconobbi il profumo di Marco che mi avvolse come una dolce fragranza calmante.
Mi accarezzò la testa, mentre io diedi sfogo a tutta la mia rabbia e paura, urlando e piangendo come non facevo da un po'.
«Vado a riprenderlo!» disse Marco «Deuce, vieni con me!».
«No!» disse nostro padre «Lascialo andare».
«Ma...papà!» disse Marco incredulo.
«Ace è come un predatore selvaggio. Una volta decisa la sua preda, caccerà finché non la catturerà».
«Non ti capisco...» ammise Marco con tono serio e confuso «Adesso, Ace fa ancora più parte della tua famiglia. Ha sposato tua figlia».
«Tesoro» mi disse mio padre «Calmati, ora».
«Come posso calmarmi?» urlai, liberandomi dalla stretta di Marco «Ci hai sposati e poi gli hai permesso di andarsene senza muovere un dito per fermarlo. Come hai potuto?».
«Non posso impedire ad Ace di fare ciò che vuole. Avresti preferito che lo avessi fatto mettere al ferri?».
«Sì, dannazione! Se fosse servito, lo avrei fatto io stessa!» urlai tra le lacrime, in collera con lui «Avrei fatto qualsiasi cosa per farlo restare», mormorai tra i singhiozzi.
«Ace è uno spirito libero» disse lui facendomi restare di stucco, dalla sua tranquillità e da ciò che aveva detto «Dice di non somigliare a Roger, ma...hanno più cose in comune di quanto sembri. Testardi uguali. Con la convinzione di poter fare tutto».
Tirai su col naso, stringendo i pugni.
Abbassai lo sguardo, sentendomi il cuore in gola da quanto batteva forte.
«Non m'interessa a chi assomiglia» dissi acida «Non lascerò che vada a suicidarsi, senza tentare di riportarlo a casa».
Cominciavo a sentire freddo su quel ponte, probabilmente per quel leggero venticello che aveva cominciato a soffiare.
«Non dirmi che vuoi corrergli dietro» disse Marco.
«È esattamente ciò che voglio fare!» dissi acida «Non permetterò che gli succeda qualcosa. Non potrei mai perdonarmelo»
Feci un passo in avanti in direzione delle cabine, con l'intento di prendere alcuni indumenti e qualcosa da mangiare per il viaggio, quando improvvisamente mi sentii mancare le forze.
Caddi all'indietro, ma due braccia mi afferrarono prima di sbattere contro il pavimento di legno.
«Che ti prende?» mi chiese Deuce.
«Mi gira...la testa» ammisi con un sussurro.
Marco si avvicinò a me, mettendomi una mano sulla fronte.
«Ha la febbre alta» disse a Deuce che mi teneva stretta a sé «Dobbiamo portarla dentro. Prepara il suo letto e prendi la mia borsa, per favore».
«Subito!» disse Deuce affidandomi alle braccia forti di Marco per poi correre in direzione delle cabine.
«Lasciami...» ansimai «Devo andare da Ace...».
«Non andrai da nessuna parte, se non a letto a riposare. Sei bollente!».
«Ma...».
«Niente, "ma"! Ad Ace ci penseremo quando ti sarai ripresa. Ti sei agitata troppo».
Non ebbi la forza di replicare.
Mi sentivo troppo debole.
Sentii le braccia di Marco avvolgermi, prima di percepire i miei sensi farsi sempre più deboli.

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