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Ero distesa sul letto a pensare.
Erano passati due anni, da quando Ace aveva chiesto a papà di essere mandato in missione con la sua divisione.
Due anni, passati a sperare che stesse bene.
Due anni, passati a sentire la sua voce solo tramite un lumacofono e solo per una manciata di minuti.
Il tempo di fare rapporto al proprio capitano, per poi riattaccare e scomparire per un tempo lunghissimo e infinito.
Due anni che avevo passato a crogiolarmi nel senso di colpa e nella frustrazione... per una decisione che io stessa avevo preso, molto tempo prima.
Una decisione che aveva dimostrato di non essere servita a niente.
Mi ritrovavo sempre a pensare a lui e sempre più innamorata.
Ogni giorno, ogni ora, e se non fosse stato per Marco che riusciva a distrarmi ogni tanto delle faccende da sbrigare per papà, avrei trascorso anche ogni minuto della mia vita a pensare al ragazzo che ancora amavo, e che ora stava chissà dove in mezzo all'oceano.
Nel pensare alla sua immagine, il mio cuore si spezzava e il mio mondo crollava.
I giorni erano tutti uguali.
A volte, non trovavo nemmeno la forza di alzarmi dal letto.
A che proposito?
Sapevo che il domani sarebbe stato uguale a ieri.
La pioggia batteva sul vetro della piccola finestra.
Stava ancora piovendo, durante quella notte che sembrava non passare mai.
Non smetteva da giorni.
In qualche modo, mi ero convinta che il tempo sentisse il mio stato d'animo.
Improvvisamente, sentii bussare alla porta.
«Posso?» Mi chiese una voce che riconobbi immediatamente.
«Entra», mormorai, senza distogliere lo sguardo dalle gocce che si infrangevano sulla finestra, accanto al mio letto.
Dei passi si fecero vicini, e un peso si posò delicatamente sul materasso.
«Papà mi ha mandato a vedere come stavi», ammise Marco.
Adoravo la sua franchezza nel dire le cose.
Era un lato positivo che apprezzavo nelle persone.
«Digli che sto bene», tagliai corto.
«Gliel'ho già detto. Per questo sono qui. Non mi ha creduto», ammise, ironico «Non so mentire».
«Al contrario di me», ammisi «So essere molto convincente, quando mi ci metto»
Respirò pesantemente, capendo a cosa mi stavo riferendo.
«Tornerà», disse lui, dopo una breve pausa.
«Non l'ha fatto in due anni», dissi a mia volta.
«Credo che avesse bisogno di stare solo. Concedendo a entrambi lo spazio di cui necessitavate».
«Sono stata una stupida», ammisi, sentendo gli occhi cominciare a bruciare «Ho lasciato che partisse, ascoltando il mio orgoglio, invece che fermarlo».
Sentii la sua mano accarezzarmi i capelli, delicatamente.
«Non ti avrebbe ascoltata comunque», ammise lui «Sai meglio di me, quanto Ace possa essere testardo. Inoltre, avevate appena rotto. Entrambi avete preso una decisione importante, troppo in fretta».
Sospirai, cercando di trattenere le lacrime, anche se un paio non poterono evitare di scendere sul mio viso.
Aveva dannatamente ragione... come sempre.
«Forza, bambolina. Sei stata brava in tutto questo tempo, ma devi reagire o ti ammalerai davvero».
«Come pensi che possa reagire? Non succede mai nulla su questa nave. Almeno, non in questi due anni».
Marco fece silenzio per alcuni secondi, facendomi quasi credere che se ne fosse andato.
«Ecco... ci sarebbe una missione...».
Corrugai le sopracciglia confusa, per poi voltarmi a guardarlo.
«Una missione? Di che genere?».
Marco si fece dubbioso sul rivelarmelo o no, ma alla fine comprese che ormai era tardi per tornare indietro «Be', ancora dobbiamo definire i dettagli , ma... Ehm... È una faccenda abbastanza delicata».
Sembrò imbarazzato, non l'avevo mai visto in quelle condizioni.
Né tanto meno vederlo cercare disperatamente di trovare le parole giuste.
Ne aveva a centinaia per ogni situazione.
«In che senso delicata?» Chiesi curiosa.
«Se papà sa che te l'ho detto, mi ammazza».
Saltai sul letto, mettendomi seduta e avvicinandomi a lui.
Lo vidi arrossire e irrigidirsi, ma non prestai attenzione, volevo sapere.
«Sputa il rospo!» Dissi, cercando di intimidirlo.
«E-ecco... credo sia meglio... parlarne quando avremo deciso i dettagli», balbettò lui.
Gli tappai il naso, tirandolo leggermente.
«Parla!» Ringhiai minacciosa.
«Ba bene, ba bene... parlo. Ora, ti plego, lassciami il naso».
Lo guardai storto, prima di fare ciò che mi aveva detto.
Fece delle smorfie, massaggiandosi la punta del naso.
«Hai tenaglie al posto delle dita?» Mi chiese dolorante.
«Devo rifarlo?» Chiesi, allungando una mano verso il suo viso che bloccò a mezz'aria, afferrandomi per il polso.
«No, no. Una volta basta e avanza, grazie».
Lo guardai, facendogli capire la mia impazienza.
Sospirò, arrendendosi.
«Si dice che papà abbia un figlio... biologico, che vaga nell'arcipelago Sabaody».
Mi alterai.
«Cos...?» Urlai.
«Shhh», bisbigliò Marco, tappandomi la bocca con una mano «Vuoi che ti sentano?».
Tolsi frettolosamente la mano, troppo impaziente di sapere di più.
«Papà non può avere un altro figlio biologico», tagliai corto «Sono io la sua unica figlia».
«È quello che dice anche lui, ma...».
«Ma?».
Marco mi guardò negli occhi.
«È passato così tanto tempo, che non è certo che questa voce sia falsa».
Sentii il mondo crollarmi addosso.
Ero convinta che papà avesse avuto solo mamma, come unica donna nella sua vita...
Marco lesse la mia faccia sconvolta.
«Sono solo voci. Niente di concreto», ammise, cercando di calmarmi.
«Le voci non viaggiano da sole», dissi seria «Ha avuto altre donne, che tu sappia?».
«Io... non sono sicuro...» Mormorò a disagio.
«Marco?» Lo chiamai, ottenendo la sua attenzione «Lo hai detto prima che non sai mentire. Perché ci stai provando ancora?».
Sospirò. «Mi conosci troppo bene, ragazzina», ammise controvoglia «Tuo padre, ai suoi tempi, era un uomo ammirato da molti uomini e... desiderato da altrettante donne. Non ero presente durante i fatti, ma sono certo che abbia avuto più di un'avventura,a anche prima di fare la mia conoscenza».
«Quindi, è possibile che abbia avuto un altro figlio, oltre a me», dedussi, sentendomi ribollire il sangue di rabbia.
«È una cosa possibile, sì».
«Chi ha messo in giro questa voce?».
«Una certa Bakkin».
«E papà la conosce?».
«Sì. Sono stati sulla stessa nave, con i Pirati di Rocks, quando erano giovani», ammise lui pensieroso, cercando come me di rimettere insieme i pezzi del puzzle.
«Ma come fa a non ricordarsi di essere stato con quella donna?» Chiesi incredula.
«Ha detto che avevano un bel rapporto. Si rispettavano a vicenda, ma... se poi è successo qualcosa, prima che abbandonasse la ciurma, non se lo ricorda».
«Dici che era ubriaco?» Chiesi.
«O magari potrebbe non essere successo nulla».
«Che senso avrebbe mentire? Cosa ne guadagnerebbe, questa donna? Papà è un ricercato ormai, c'è più gente che lo vuole morto che pesci nel mare».
«L'eredità di Barbabianca farebbe gola a chiunque. Specie a una donna avida come Bakkin».
«La conosci?» Chiesi confusa.
«Solo per sentito dire. Ma tutti quelli che hanno avuto modo di conoscerla, hanno detto sempre le stesse cose. È una donna avida, che farebbe di tutto per arricchirsi, anche...».
«Inventare un figlio», lo interruppi, finendo la sua frase.
«Già», sospirò lui «Il problema è che un figlio lei lo ha avuto davvero. E, stando ai calcoli che ho fatto... ha esattamente l'età giusta che dovrebbe avere un loro presunto erede».
«L'unica erede di Barbabianca sono io!» Tagliai corto «Non permetterò a una donnaccia di mettere in giro false voci su mio padre, dipingendolo come un... uomo che si approfitta delle donne».
Feci fatica a pronunciare l'ultima frase.
Proprio non lo vedevo papà, circondato da donne in atteggiamenti poco consoni con loro.
Mi alzai dal letto e mi diressi verso la porta.
«Dove te ne vai?» Chiese Marco, mentre salvavo giù dal letto.
«A parlare con papà. Deve darmi delle spiegazioni».
Aprii la porta, ma immediatamente venne richiusa dalla mano di Marco.
«Sei impazzita?» Mi chiese sotto voce, mente mi girai a guardarlo «Papà non deve sapere che te l'ho detto, ricordi?».
«Non gli dirò che sei stato tu».
«Pensi che se la berrà? Non è stupido!».
«In quanti sapete di questa storia?».
«Ecco...».
Direzionò lo sguardo da un'altra parte, imbarazzato.
«Non ci credo», dissi, alzando gli occhi al cielo «Lo sai solo tu?».
«E Satch», aggiunse lui.
«Sai che fortuna. Pensavo di incolpare qualcun altro, al massimo, ma non lui».
«Perché gli altri sì e lui no?».
Lo guardai seria. «Non posso puntare il dito sull'uomo che mi sfama».
Marco alzò gli occhi al cielo, scuotendo la testa velocemente.
«Va bene. Mi addosserò la colpa».
«Non credo sia necessario. Posso dirgli di avervi sentiti parlare».
Alzò un sopracciglio non convinto.
«O questo, o gli spiffero che sei stato tu. In qualche modo, papà mi deve delle spiegazioni».
Sospirò. «Hai vinto. Fa come credi sia meglio. Ad ogni modo, qualunque cosa gli dirai, non ci crederà».
«Ti ho già detto che sono brava con le frottole?» Chiesi sicura di me, alzando un sopracciglio.
Lui notò la mia espressione e sorrise.
Mi fissò per un tempo abbastanza lungo, pensando a chissà cosa, mettendomi leggermente in imbarazzo.
Eravamo soliti passare del tempo insieme, sopratutto nell'ultimo periodo, ma... quella vicinanza prolungata mi fece sentire strana.
«Marco?» Lo chiamai.
«Uhm?» Mugugnò, tornando alla realtà.
«Sono spiaccicata addosso alla porta», gli feci notare «E la tua mano la sta ancora bloccando. Non posso uscire, se non ti sposti».
«Oh! Scusa», disse, togliendo immediatamente la mano dalla porta e allontanandosi da me.
«Stai bene?» Gli chiesi, confusa.
«Sì. Perché?».
«Sei strano, ultimamente», ammisi «Sembri sempre... distratto».
«Ma no, tranquilla. Sto benissimo. Forse, sono un po' stanco per tutto il lavoro che faccio. Senza Ace, faccio il doppio della fatica».
Lo guardai non convinta delle sue parole, ma alla fine accettai la sua versione.
Non avevo tempo di restare a chiacchierare ancora con lui.
«Dì pure a papà che sono stato io a dirtelo. Non serve che gli menti».
«Va bene», dissi, aprendo la porta e uscendo dalla stanza, pronta a incontrare papà per farmi spiegare quella storia una volta per tutte.

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