Felicità Rubata

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L'indomani, la prima cosa che il mio udito percepì fu il canto degli uccelli che svolazzavano liberi, proprio davanti alla finestra della nostra stanza.
Mi sentivo osservata, perciò decisi di aprire un occhio e poi l'altro.
Vidi Ace disteso su un fianco intento a fissarmi con un sorriso divertito e gli occhi pieni d'amore.
Imbarazzata, gli sorrisi, portandomi le lenzuola sopra la faccia per coprirmi.
In risposta, Ace le alzò ficcandosi sotto con me.
«Perché ti nascondi?» mi chiese divertito.
«Sai che odio, quando mi fissano, mentre dormo».
«Io lo adoro» ammise lui, baciandomi la punta del naso «Sei bellissima, quando sogni. Inoltre, fai un sacco di smorfie».
«Mmmh!» mugugnai mettendomi le mani sul viso per la vergogna.
Sentii l'aria fresca tornare ad accarezzarmi, dandomi un leggero senso di freddo nelle parti del corpo che non toccavano Ace.
«Come ti senti?» mi chiese curioso.
«Che vuoi dire?»
«Non lo so» ammise lui «Ti senti strana?».
«Perché dovrei sentirmi strana?» chiesi ridendo.
«Be'...» disse grattandosi la testa con un dito, imbarazzato «Ieri notte...».
«Sì?».
«Abbiamo...».
Alzai le sopracciglia, curiosa.
Mi guardò con il fiato sospeso, per poi mettersi a ridere a disagio.
«Dai, non farmelo dire» disse imbarazzato.
«Hai detto di peggio, ieri notte» ammisi divertita, sentendomi avvampare al ricordo di quelle parole.
«Ti ha dato fastidio?» mi chiese addolcendo il tono.
Scossi la testa. «Niente di ciò che fai, mi dà fastidio...» ammisi «Eccetto, quando mi fissi, mentre dormo» continuai prendendo il suo cuscino, per sbatterglielo in faccia.
«Che ci posso fare? Io ti amo» disse divertito, facendo cadere il cuscino dietro di sé, per poi tornare con il busto sopra di me.
«Credevo che non me lo avresti più detto» dissi sentendomi le farfalle nello stomaco.
«Lo credevo anch'io» ammise lui, accarezzandomi i capelli dalla fronte «Ero convinto di voler restare arrabbiato con te, per sempre. Ma per fortuna, le cose si sono sistemate. Ora, non ci resta altro che prendere il largo e tornare sulla Moby Dick per dare la buona notizia agli altri e a papà».
«Che facciamo con la missione?».
«Credo che ci abbiano dato una falsa pista. L'isola è grande, ma a quest'ora avremmo già dovuto trovare quella donna o, per lo meno, avere un indizio su dove potrebbe essere. Invece, nessuno sembra conoscerla, qui».
«Quindi, abbiamo fatto un viaggio per niente» dissi innervosendomi.
«Non proprio» ammise lui dandomi un bacio a stampo «Abbiamo avuto modo di riappacificarci, e...» sorrise felice «Di dare inizio ad una nuova generazione. La nostra»
«Potrebbe volerci un po'» dissi cercando di non farlo illudere troppo «A volte, non succede immediatamente».
«Sono uno stallone puro sangue, cosina. Ti assicuro che ci sono riuscito!» disse gonfiando il suo ego, oltre che il suo petto.
«Se lo dici tu» dissi mettendomi a ridere.
«Però, possiamo sempre riprovarci, giusto? Hai detto così, ieri notte».
Abbassò la testa per poi premere le labbra sul mio collo accarezzandomi una spalla, facendo scivolare la mano sul mio braccio.
Intrecciò le dita con le mie, sospirando rilassato.
«Ace... Mi sono appena svegliata» brontolai, cercando di non mettermi a ridere per via del solletico che il suo fiato mi stava procurando.
«Ho due anni da recuperare» disse lui, lasciandomi la mano e sovrastandomi, per poi abbracciarmi senza smettere di baciarmi il collo.
«Sì, ma....» risi divertita a quel suo comportamento da bambino «Abbiamo tutto il tempo che vogliamo per recuperare».
Mugugnò qualcosa di incomprensibile, facendo i capricci.
«Lo abbiamo fatto per tutta la notte» dissi cercando di spingerlo via, ridendo a quel solletico.
Sembrava incollato a me.
Non c'era verso di spostarlo di un centimetro.
«Devo assicurarmi di fare un buon lavoro» ammise lui, senza staccarsi da me «Da maschio alfa, ho un compito preciso che non posso prendere alla leggera».
«Tu non prendi mai niente alla leggera» mi lamentai «Dai sempre il cento per cento, in tutto».
«E intendo farlo anche adesso» disse ghignando.
Alzai gli occhi al cielo, sentendo le sue labbra premere sulle mie.
Non eravamo mai sazi l'uno dell'altra.
Come avremmo potuto fermarci ora, che non avevamo nessuno che potesse interferire con le nostre efusioni?
Evidentemente, dovevo essere io a dare un taglio alla cosa. Avrei prima voluto mettere qualcosa sotto i denti, anche se tutte le mie cellule mi dicevano che avrei anche potuto restare in quella posizione per sempre.
«Dai, Ace...ti prego...».
Si alzò, facendo forza sulle mani per guardarmi.
«Siamo tornati insieme dopo due anni di astinenza, e non vuoi concedermi il piacere di averti?» chiese con un sorriso malizioso e uno sguardo che mi provò brividi di piacere lungo tutto il corpo.
«Non è questo...» dissi divertita.
Si abbassò bruscamente su di me, per leccarmi il retro dell'orecchio, mordicchiando poi il lobo.
«Allora...non vuoi essere toccata?».
Mi stava davvero provocando.
Lo abbracciai, facendo aderire di più i nostri corpi e aprii le gambe per permettergli di sistemarsi meglio sopra di me.
«Sai che non è quello che intendevo» ammisi.
Mi baciò intensamente, facendomi sentire la sua erezione che cresceva sempre di più contro la mia intimità.
Potevo già percepire la punta spingere contro la mia apertura.
«Sei già bagnata» ammise divertito.
«Possibile che devi dirlo ogni volta?» mi lamentai, mettendo il broncio.
«Mi diverte farti imbarazzare. Sei dolcissima quando arrosisci» disse ridendo.
«Ti è sempre piaciuto farlo» brontolai.
«Non che tu sia stata da meno. Ricordi, quando hai cercato di rubare il nostro tesoro?».
«Volevo farti una sorpresa» mentii, facendo l'altezzosa.
«E invece la sorpresa l'hai avuta tu» disse con altrettanta altezzosità.
Trattenne una risata, mentre io sbuffai.
«Pensavo che sarei morta, dentro quel buco»
«Non ti avrei mai lasciata lì, per sempre. Pensavo di farti passare solo una notte, ma poi mi sono sentito in colpa».
Corrugai le sopracciglia.
«Davvero?».
«Chi pensi che abbia mandato Luffy, a tirarti fuori dalla trappola?».
«Sei stato tu?» chiesi incredula.
«E chi altri, sennò? Luffy non faceva niente, se non glielo dicevo io, ricordi? E Sabo, non poteva sapere della buca».
In effetti, aveva ragione.
Luffy era completamente al suo servizio all'epoca.
Ace era come un "Dio" per lui.
Sorrisi, felice.
«Quindi... Ci tenevi a me».
«Eri l'unica ragazza del gruppo. Avevo già in mente cosa farmene di te» disse sorridente, mordicchiandomi il collo.
«Questa frase potrebbe dirla un maniaco» ammisi ridendo, prima di sentirlo spingere di poco la sua erezione dentro di me.
Sussultai e ansimai per quell'intrusione improvvisa.
Non mi sarei mai abituata alle sue dimensioni.
Gemette piano, spingendo fino in fondo il suo membro, facendomi percepire la punta entrare di poco nel mio utero.
«Eri un ragazzino presuntuoso e arrogante» dissi ansimante, mentre mi avvinghiavo di più a lui, aprendo ancora di più le gambe.
«E tu, una mocciosa testarda e irritante» ammise lui cercando di trattenere dei gemiti di piacere «Ma ti amavo, anche per questo».
«Mi amavi, già all'epoca?».
«Mi sono innamorato di te, dalla prima volta che ti ho vista» ammise con tono dolce.
«Bel modo di dimostrarmi il tuo amore. Mi hai scaraventato addosso un albero».
«Non potevo di certo fartelo capire subito. Sarebbe stato umiliante. Il mio ego ne avrebbe risentito» ammise lui per poi scoppiare a ridere insieme a me.
Fece scivolare una mano sulla mia intimità, per accarezzarmi dolcemente sul mio punto sensibile, bagnandolo con i miei primi umori e cominciò a muoversi lentamente, facendomi già provare contrazioni di piacere dentro di me.
«Ma adesso... Posso fare questo» sussurrò al mio orecchio in modo sensuale, facendomi sussultare ancora.
Ansimai nel sentire il piacere cominciare a pervadermi il basso ventre.
«Prima, non me lo avresti mai concesso» ansimò divertito.
«Avevi già queste idee, a tredici anni?» chiesi curiosa.
«Un po' sì» ammise lui «Ricordi nella grotta, quando ti confessai i miei sentimenti?».
«Ricordo perfettamente il tuo tentativo di sedurmi» dissi fingendomi pensierosa.
Sorrise. «Ero curioso. Volevo guardarti, sentirti... Provare quel brivido che sto provando in questo momento, e che provo tutte le volte che entro dentro di te».
Non risposi, preda com'ero da quel piacere che si faceva sempre più grande.
Anche Ace smise di parlare, cominciando a concentrarsi su ciò che stava facendo.
«Come fai ad essere ancora così stretta?» mi chiese, tra un gemito e l'altro.
Sorrisi. «Sono stata creata per stupirti, mio caro Portgas».
Mi sorrise per poi baciarmi teneramente, mentre le sue spinte diventavano sempre più forti e irregolari.
«Emy...» sussurrò sensuale al mio orecchio, facendomi provare ancora più piacere.
Un brivido mi percorse la schiena a quel suono così eccitante.
«Ace...» sussurrai a mia volta, ma nonostante avessi tentato di usare un tono sensuale, la mia voce uscì flebile, e decisamente con un tono più alto del normale.
Sentii delle gocce di sudore, provenire dalla fronte di Ace cadere sulla mia che colaroni su di me mi rigarono la pelle.
Si sollevò di poco da me per guardarmi.
La sua espressione concentrata mista al piacere che stava provando, mi fece innamorare ancora di più di lui.
Ero sempre più convinta di aver fatto la scelta giusta e di essere la ragazza più fortunata del mondo.
Chi altri poteva vantarsi di avere un ragazzo così bello e affascinante, oltre che tremendamente forte?
Ce n'erano molti in giro, ma di Ace ce n'era solo uno, ed era solo mio.
Sentii una scossa partirmi dalle pareti della mia intimità, che lo avvolse e strinse così forte che lo fece sussultare: eravamo entrambi vicini.
«Insieme» disse, ormai venuto a conoscenza di ciò che quello spasmo significava.
Annuii, mentre lo vidi spostare la mano sulle mie cosce, portandomi le ginocchia indietro, vicine al mio petto, per affondare ancora di più di me. Mi aggrappai come potei a lui con una mano, mentre con l'altra afferrai il lenzuolo sotto di me, stringendolo.
Mi fece scivolare i polpacci sulle sue spalle, dandomi così il sostengono di cui avevo bisogno per non affaticarmi.
Mi stava possendo così forte, che credetti di perdere la testa, una volta che l'orgasmo arrivò per entrambi.
Cominciai a tremare forte, come fece Ace per poi sentire i nostri corpi pervasi dagli spasmi.
Sentii il suo liquido innondarmi il ventre, dandomi ancora una volta quella sensazione intensa di bagnato e di calore, che mi diede l'impressione di essere diventata per davvero, un tutt'uno con lui.
Cadde su di me, facendo leva sulle braccia per non schiacciarmi, per poi ansimare sulla mia bocca.
Ansimammo entrambi, esausti, fissandoci negli occhi con sguardi innamorati e ancora pieni di eccitazione.
«Ti amo» mi disse per la seconda volta quel giorno.
Sorrisi. «Non ti stancherai mai di ripeterlo?».
«Mai» disse sorridendo a sua volta, per poi baciarmi teneramente, facendo scivolare la punta della sua lingua nella mia bocca, che incontrò subito la mia.
Uscì lentamente da me, facendomi provare una sensazione di vuoto fastidioso.
Lo afferrai per le natiche e gli impedii di muoversi ancora, riportando io suo membro dentro di me.
Sorrise sulle mie labbra, a quel mio gesto. «Adesso, chi è che non vuole smettere?» mi chiese con tono ammiccante.
«Hai cominciato tu» ammisi divertita.
«Vero» disse alzandosi un po' per parlare meglio «Ma ho bisogno di tempo per riprendermi. Mi sento un po' disidratato».
Risi alla sua battuta.
«E voi uomini sareste il sesso forte».
«Solo nei muscoli, ma non dirlo a nessuno» ammise lui abbracciandomi fino a che non ci calmammo entrambi.
Mi diede un bacio sulla fronte, quando improvvisamente, il suo lumacofono cominciò a suonare.
«Birobirobirobiro. Birobirbirobiro».
«Non rispondi?» chiesi cercando di scollarmelo di dosso.
«Birobirobirobiro».
«Lascialo suonare» mugugnò lui con il viso sull'incavo del mio collo.
«Birobirobirobiro»
Quel suono mi stava davvero dando sui nervi. Inoltre, ero curiosa di sapere chi fosse.
«Ace!».
Sospirò, arrendendosi.
«Va bene. Rispondo».
Uscì da me di malavoglia, afferrando poi il lumacofono, finché io mi diedi una ripulita con un fazzoletto.
«Pronto?» disse svogliato.
«Ace, sono Marco» sentii dire dall'auto parlante.
Mi sorpresi di sentire la sua voce, ma ancora di più mi sorprese il tono con cui aveva detto quella frase.
Sembrava preoccupato, e anche Ace lo notò.
«Mi dispiace disturbare la missione, ragazzi, ma dovete rientrare subitoaggiunse nervoso.
«Sì, avevamo intenzione di farlo presto, visto che la missione non ha dato i frutti sperati» ammise Ace «Ma dimmi. Cos'è questo tono preoccupato?».
Marco sospirò. «Si tratta di Satch...» ammise il nostro amico con un tono così cupo da farci pensare al peggio.
«Che gli è successo?» chiese Ace confuso.
«Ricordi il frutto che trovò, qualche tempo fa?».
Io ed Ace ci guardammo confusi.
«Sì. Aveva detto che ci avrebbe pensato un po', prima di mangiarlo».
«Teach l'ha rubato, ed è scappato con esso» disse Marco tutto d'un fiato, lasciandomi senza parole.
Io ed Ace ci guardammo increduli.
Teach faceva parte della seconda flotta di Barbabianca...perciò era sotto la responsabilità di Ace...
Qualcosa mi diceva che ciò che stava per dire Marco...non ci sarebbe piaciuto.
«E dov'è andato?» chiese Ace nervoso.
«Non lo sappiamo» ammise Marco con tono triste «Ma non c'interessa saperlo, al momento».
«Stai scherzando?» chiese Ace irritato «Ha rubato ad un suo compagno e poi se l'è data a gambe. Deve essere fermato!».
«Sono d'accordo con te, ma per ora... Abbiamo un'altra priorità».
«E quale sarebbe?» chiesi confusa.
Ci fu un momento di silenzio che ci tenne con il fiato sospeso.
«Satch è morto» disse Marco, lasciandoci di stucco.
Il lumacofono cadde dalla mano di Ace e atterrò sulle lenzuola sopra di lui.
Sentii una fitta di dolore al cuore.
Satch...uno dei nostri migliori amici...non c'era più.
Ace sembrava pietrificato.
«Siete ancora lì?» chiese Marco dopo qualche secondo di silenzio.
Presi il lumacofono per continuare la conversazione.
«Marco, sono io. Che vuoi dire che Satch è morto? Com'è successo?».
«È stato Teach...» ammise lui con tono cupo e irritato.
Quel maledetto.
Non mi era mai piaciuto.
Come aveva potuto fare una cosa del genere ad un suo fratello?
Alla sua famiglia...
A papà...
Papà!
Chissà in che condizioni era.
«Come sta papà?» chiesi già sapendo cosa mi avrebbe risposto.
«È distrutto, ovviamente. La perdita di Satch è stata improvvisa. Quello che non capisco, è perché abbia agito così. Se glielo avesse chiesto, sicuramente glielo avrebbe ceduto senza problemi. Aveva deciso di non mangiarlo. Ma ne parleremo meglio quando sarete tornarti. Papà ha chiesto di voi».
Sentii le lacrime rigarmi il viso.
«Partiamo immediatamente!» disse Ace per poi chiudere la chiamata.
Restammo in silenzio per non so quanto tempo.
Quella giornata era iniziata così bene...
«Vestiti!» mi ordinò Ace alzandosi dal materasso «Facciamo un bagno veloce e poi torniamo a casa».
Si infilò velocemente i boxer neri attillati e i bermuda scuri, avendo qualche difficoltà a chiudere la cintura.
Mi alzai anch'io e mi infilai alla svelta la sottoveste bianca del kimono, per poi andarlo ad aiutare.
«Faccio io» dissi avvicinandomi a lui.
«Sono capace anche da solo!» ringhiò irritato.
Continuò a gesticolare senza sapere cosa stava facendo, per poi mandare tutto al diavolo.
Si diresse verso la sacca bianca e verde che aveva da quando avevamo lasciato Dawn, quando si accorse di non avere il lock pose sul polso.
Cominciò a cercarlo frugando nella sacca, per poi cominciare ad arrabbiarsi e svuotarla sul pavimento.
Non trovandolo, si alzò in piedi e scaraventò violentemente l'oggetto sul muro, imprecando arrabbiato.
Gli corsi in contro e lo abbracciai da dietro, facendogli sentire la mia vicinanza.
Sospirò pesantemente per due o tre volte, prima di scoppiare a piangere, girandosi verso di me per abbracciarmi forte.
Scivolò lungo il mio corpo, sentendo che le gambe non riuscivano più a reggerlo, posando la testa sul mio ventre.
Mi cinse i fianchi con le mani calde, continuando a sfogare la sua rabbia.
Gli accarezzai la testa per consolarlo e lo sentì tremare.
Avrei voluto scoppiare in lacrime anch'io, ma Ace aveva bisogno di me.
Dovevo essere forte per il mio ragazzo, come lui lo era sempre stato per me da quando lo avevo conosciuto.
«Perché lui?» chiese tra le lacrime «Maledizione! Perché?» urlò disperato «Perché lo ha ucciso? Era suo fratello».
Sospirai, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
«Non lo so» ammisi sentendomi inutile, continuando ad accarezzargli i capelli «Ma adesso dobbiamo tornare a casa. Papà e gli altri ci stanno aspettando»
Continuò a piangere finché non ebbe più lacrime da versare, annuendo poi con il viso incollato ancora al mio ventre.
Satch era importante per entrambi.
Era stato un amico fidato e leale per tutto noi.
Un fratello che ci sarebbe mancato fino alla fine dei nostri giorni.

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