Metà Mancante

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Il bisogno di bere mi svegliò dal sogno che stavo facendo.
Non ricordavo molto, era tutto offuscato, ma sapevo che qualunque cosa fosse, non volevo ricordarlo.
Deglutii, sentendomi la gola secca.
Aprii gli occhi, riconoscendo il soffitto della mia stanza.
Accanto a me, sentii un respiro profondo e regolare.
Spostai la testa verso la mia sinistra, notando Marco seduto sul pavento che dormiva, con la testa posata sulle braccia che gli facevano da cuscino.
Ai piedi del letto, c'era Deuce...anche lui addormentato, nella stessa posizione di Marco.
Respirai a fondo qualche secondo, prima di provare a muovermi.
La testa ancora non aveva smesso di girarmi, ma avevo sete.
Ancora frastornata, cercai di alzarmi, sentendo una fitta al braccio.
Notai una canula, che si allungava fino ad una flebo dal liquido trasparente, molto simile a quella che usava spesso papà.
Gemetti di dolore, sentendo una leggera sensazione di nausea.
Marco e Deuce si svegliarono, sobbalzando leggermente al rumore che fece il mio lamentò.
«Sei sveglia» disse Deuce felice, rimettendosi in piedi.
«Grazie al cielo!» esclamò Marco.
«Che è successo?» chiesi confusa.
«Non ti ricordi niente?» fu Marco a parlare.
«Non ne sono sicura» ammisi frastornata.
Ricordavo Ace e il nostro matrimonio frettoloso sul ponte, ma comunque indimenticabile, io che piangevo sconvolta e lui che spariva lungo il mare.
«Ho sognato che Ace se ne andava...lasciandomi qui» ammisi.
«In effetti, è successo proprio questo» disse Deuce.
Marco lo guardò male.
«Non ti voglio più come mio assistente!» gli disse Marco con tono serio.
Sembrava un rimprovero.
Deuce si tappò la bocca, capendo di aver detto troppo.
«Quindi...se n'è andato davvero» dissi, ricominciando a sentimi debole e pronta a piangere.
«Hai ancora la febbre» mi disse Marco accarezzandomi la fronte, ignorando le mie parole «Devi riposare»
«Non ho voglia di riposare!» brontolai, cercando di scendere dal letto «Voglio solo ritrovare Ace!».
Scesi dal letto, ma feci appena in tempo a fare due passi, che subito la testa cominciò a girarmi fortissimo, facendomi perdere l'equilibrio.
«Ferma, bambolina» Marco mi afferrò prima che cadessi a terra «Non sei in condizioni di muoverti».
«Sei proprio testarda!Tanto quanto Ace!»commentò Deuce «Non mi sorprende che abbiate formato una coppia».
Marco mi prese in braccio, per poi rimettersi sul lettino.
«Mi viene da vomitare» dissi in preda alla nausea.
«È normale» disse Marco «Ti abbiamo dovuto dare dei calmanti in questi tre giorni. Eri agitatissima»
«Tre giorni?» ripetei incredula («Ho dormito così tanto?».
«Be', ti svegliavi spesso, ma eri come in dormiveglia. Hai cercato di scappare non so quante volte. Perciò...».
«Mi avete drogata» zittii Marco.
«Calmata» mi corresse lui «Tutto ciò che abbiamo fatto, è stato distenderti i nervi per permetterti di riposare bene».
Sospirai. «Per quanto ne avrò ancora?» chiesi già stanca all'idea di stare costretta a letto.
«La febbre sale e scende in continuazione. Dovrai mangiare, per recuperare le forze. Un po' di cibo ti farà bene».
Feci una smorfia, nel sentire pronunciare la parola cibo, e percepii il senso di nausea farsi più forte.
«Non mi va!».
«Niente storie!» disse Marco «Ordini del dottore. Deuce, andresti a prenderle qualcosa di secco? Così da calmarle la nausea».
«Certo!» disse lui, per poi uscire dalla stanza a passo lento.
Una volta che Deuce uscì, Marco si sedette sul letto accanto a me, con una strana espressione.
«Devo parlarti» disse lui, serio.
Ghignai. «Dovevo immaginarmelo che era una scusa per restare da soli».
«È una cosa delicata. Preferisco parlarne in privato con te, per ora».
La sua espressione mi preoccupò.
Marco, era sempre stato un uomo abbastanza serio e dal espressione indecifrabile, ma con uno sguardo così preoccupato, non l'avevo mai visto.
«Che succede?» chiesi confusa.
Sospirò, pensieroso prima di parlare.
«Sei incinta!» disse d'un fiato, scioccandomi.
«Sono cosa?» chiesi con un filo di voce.
«Aspetti un bambino, Emy. Già da una settimana inoltrata».
Il mondo mi crollò addosso.
Non potevo esserlo davvero.
Non ora.
Non proprio nel momento in cui Ace aveva deciso di andarsene.
Cominciai ad agitarmi.
«Chi altri lo sa?» mormorai.
«Nessuno. L'ho tenuto nascosto anche a Deuce, per questo l'ho fatto uscire».
Sospirai, ancora incredula.
Avrebbe dovuto essere il giorno più bello della mia vita, e invece...avrei tanto voluto che non fosse vero.
Scossi la testa, mettendomi le mani sul viso, cominciando a piangere in silenzio.
«Bambolina...» sussurrò Marco avvicinandosi a me per accarezzarmi una spalla «Devi prendere una decisione, adesso. Non puoi più pensare di fare quello che vuoi».
«Che vuoi dire?» chiesi cercando di calmarmi, togliendomi le mani dal viso.
«Non puoi affrontare il mare nelle tue condizioni, specialmente da sola» ammise serio «Non ho idea, se la gravidanza possa influire in qualche modo sul potere di un frutto del mare, ma sicuramente avresti dei problemi se lo utilizzassi. Non saresti in grado di proteggerti, senza correre il rischio di...».
«Mi stai dicendo di lasciar perdere Ace?» lo zittii nuovamente.
Si fece più serio.
«Ti sto solo dicendo che rischieresti di perdere il tuo bambino, se ti sforzassi troppo».
Mi distesi sul lettino e mi girai da un lato, sentendo le lacrime rigarmi il viso e cadere sul cuscino.
«Almeno, per i primi mesi» aggiunse, facendomi pensare che forse c'era una possibilità.
«I primi mesi?»,
«Sei in uno stato delicato, adesso. Il bambino deve avere la priorità. Immagino...che se è arrivato proprio ora...sia tu che Ace lo avete voluto. Perciò, non credo che rischiare un aborto sia l'idea migliore».
Misi una mano sul mio ventre, ancora piatto.
Ripensai al giorno in cui io ed Ace eravamo sull'isola, in cerca di quella donna.
Al momento che ci eravamo ricongiunti.
Alla gioia e alla passione che ci aveva avvolti in quell'istante d'amore...
«Ho paura» ammisi triste «Io mi scopro incinta, e il padre del mio bambino invece che essere qui con me, è in mare aperto a cercare un assassino».
«Devi avere fiducia in Ace. Saprà cavarsela. È uscito da situazione peggiori».
So cosa stava cercando di fare.
Voleva farmi sentire più sollevata, per non ricadere di nuovo in quella specie di depressione, che mi aveva fatto compagnia per ben due anni.
«E devi cercare di stare più rilassata. Agitarti non fa bene al bambino, e nemmeno a te» mi riproverò dolcemente.
Sospirai, cercando di rilasciare la tensione.
«Ace è tutta la mia vita».
«Lo so, Emy» mi disse accarezzandomi i capelli «Ma ricorda che Ace è anche caro a tutti noi. Non lo lasceremo vagare da solo. Ti prometto che proveremo a cercarlo».
«Non si farà mai trovare» dissi con sicurezza.
Conoscevo mio marito.
«Non appena capirà che lo state cercando, scomparirà» aggiunsi.
"Per questo devo essere io a cercarlo" pensai.
Sospirò. «Lo conosci meglio di tutti».
«Non sai quanto» sospirai a mia volta, ripensando a tutto ciò che avevamo passato, da quando c'eravamo conosciuti.
Ci fu un momento di silenzio.
«Hai le labbra secche. Ti prendo un po' d'acqua» disse Marco alzandosi dal letto.
Andò fino al comodino e riempì velocemente un bicchiere con dell'acqua fresca davvero invitante.
Mi alzai leggermente dal letto e afferrai il bicchiere, per poi bere cercando di non essere vorace nel farlo.
Quando finii di bere, gli porsi il bicchiere e spostai le coperte per ficcarmici nuovamente sotto, quando un pezzo di carta uscì da essere, cadendo dolcemente a terra.
Mi chinai per prenderlo.
«Ferma! Faccio io. Meglio se non ti sforzi» disse lui premuroso.
Guardai quel fogliettino confusa, lasciando che Marco lo raccogliesse per me.
Lo osservò per un momento, per poi fare un'espressione incredula.
«Ma questa...è una Vivre Card».
«Una cosa?».
«Una Vivre Card. È una specie di bussola che indica la forza vitale di una persona. Si realizza con il DNA del possessore».
«E cosa ci faceva qui? Non ricordo di aver mai fatto creare una Vivre Card...» in quel momento realizzai a chi appartenesse «Ace»,
«Uhm?».
«Deve avermela messa nella tasca dei jeans, prima di partire. Ma...perché darmela, senza dirmi nulla?».
Cominciai a pensare a un qualsiasi motivo, ma non mi venne in mente niente...se non una sola cosa...
«Hai detto che è una bussola?» chiesi confusa.
«Sì» disse porgendomi il pezzo di carta «Molti usano le Vivre Card per essere rintracciati. Il possessore possiede il foglio originale, da cui strappa poi pezzi come questo. Se noti, quel foglietto di sta muovendo».
In effetti, aveva ragione.
Lo tenevo tra le dita, però sentivo una certa resistenza da parte sua.
Sembrava che avesse vita propria.
«Perché fa così?».
«Perché sta cercando di ricongiungersi al pezzo mancante. Alla sua metà da cui è stata strappata».
Quelle parole mi fecero pensare a me e ad Ace.
Anche a me, era stata strappata una metà da cui non vedevo l'ora di ricongiungermi...e forse quel foglietto poteva davvero aiutarmi.
«Quindi, Ace ha il pezzo originale. E questo foglietto potrebbe condurmi da lui».
«Sì. Punterà sempre al pezzo mancante. Finché Ace avrà il suo, potrai rintracciarlo».
Osservai quel foglietto come se fosse la cosa più bella del mondo.
Forse avevo una speranza di trovare Ace.
«Scordatelo!» mi disse Marco, capendo dal mio sguardo che cosa avevo in mente «Tu non ti muoverai da qui!».
«Ma...».
«Niente "ma", signorina. Come amico non posso impedirti di fare ciò che vuoi, ma come medico posso impedirti di compiere una sciocchezza. Non ti allontanerai dalla nave, senza il mio permesso» disse alterandosi un po'.
Misi il broncio e lui sospirò, tornando calmo.
«Ascolta. Te l'ho già detto. Ora, c'è un'altra persona a cui devi pensare. Non puoi permetterti di agire impulsivamente. Qualunque cosa farai, avrà delle conseguenze...per tutti e due».
Sentii la rabbia montarmi, ma Marco aveva ragione.
Ora non ero più sola...
«Va bene» dissi infine, sospirando «Hai ragione. Cercherò di fare ciò che dici. Mio figlio avrà la priorità».
Sorrise, soddisfatto di aver raggiunto il suo obbiettivo.
«Sono felice di sentirtelo dire» disse «Vedrai che tutto si risolverà per il meglio».
Ecco, un'altra bugia pronta da dirmi.
Chissà quante ne avrei sentite in quel periodo.
Annuii, forzando un sorriso, ma cercando di renderlo più sincero possibile.
Mi accarezzò la testa, sorridendomi ancora una volta.
Mi dispiaceva davvero prenderlo in giro, ma non avevo altra scelta.
Avrei dovuto fingere per un periodo molto lungo, finché non sarei stata sicura di poter affrontare il mare, senza avere la preoccupazione di perdere il mio bambino.
Dopodiché, me ne sarei andata a cercare Ace.
Costi quel che costi, lo avrei trovato, e anche se non avrebbe voluto seguirmi per tornare a casa, mi andava bene.
A me bastava stare insieme a lui.
Ma forse...sapere della gravidanza, lo avrebbe cambiato.
Avrebbe cambiato il suo modo di pensare e di vedere le cose...proprio come erano cambiate per me, dal momento esatto in cui Marco aveva pronunciato la frase "Sei incinta!".
Il mio mondo ormai, si racchiudeva in quel piccolo esserino che il mio ventre aveva accolto.
Avrei fatto di tutto, per dargli la famiglia che meritava.
«Vado a vedere a che punto è Deuce. È capace di dare fuoco alla cucina» disse ridendo, magari ad un ricordo dove Deuce incendiava la cucina «E vado a dire a papà che ti sei svegliata. Torno subito».
«Ti aspetto qui» dissi sorridente.
Solo quando fu uscito, sospirai rilasciando la tensione.
Mi accarezzai il ventre piatto, immaginando che da lì a pochi mesi, sarebbe stato così grande da poter essere scambiato per un pallone.
La cosa mi fece sorridere.
«Mi dispiace, amore mio. Hai davvero scelto il momento peggiore per arrivare» dissi continuando ad accarezzarmi «Quella testa calda di tuo padre, trova sempre una scusa per mettersi nei guai...ma lo troverò. Te lo prometto. Lo riporterò da noi».

                         𝕆ℕ𝔼 ℙ𝕀𝔼ℂ𝔼

Col passare dei mesi, le mie condizioni migliorarono sempre di più.
La febbre era ormai passata da un pezzo, ma ancora non avevo detto a nessuno della mia gravidanza, se non a papà che l'aveva presa davvero molto bene, e ovviamente a Deuce.
Però...non riuscivo a sentimi felice, non del tutto almeno.
Il mio cuore, ancora una volta era stato spezzato in due.
Spesso mi veniva in mente la mamma di Ace.
Ora che aspettavo anch'io un bambino, e avevo l'uomo che amavo così lontano da me, potevo capire come si era sentita.
Tutti quei mesi passati ad aspettare un amore che non sarebbe mai più tornato.
Non avrei permesso che succedesse anche a me e ad Ace.
Sarebbe tornato a casa, e avremo vissuto una vita felice insieme.
Non m'importava dove, mi sarebbe bastato stare con lui.
Non avrei mai permesso al mio bambino di passare ciò che avevamo passato noi due.
Avrebbe avuto una famiglia unita.
Due genitori che si amavano, sempre pronti a difenderlo...e sempre presenti.
Questo era ciò che volevo.
Questa era la mia priorità ora.
«Un'altra notte sotto le stelle» disse uno degli uomini di papà ad un suo compagno. «Comincio ad abituarmi a dormire fuori» rispose l'altro.
Non appena sentii le voci nel corridoio, mi nascosi dietro ad una colonna.
Aspettai che se ne andassero, prima di uscire dal mio nascondiglio per raggiungere il ponte.
Senza che nessuno se ne fosse reso conto, durante quei tre mesi ero riuscita a pensare ad un piano perfetto per scappare senza essere notata.
Avevo aspettato notte fonda, per essere certa che tutti dormissero, per poi darmela a gambe.
Dopo l'ultima visita, Marco mi aveva assicurato che non correvo più alcun pericolo di perdere il mio bambino, perciò avevo deciso che era ormai arrivato il tempo di tagliare la corda e provare a riportare a casa quel pezzo d'asino di mio marito.
Sistemai la sacca sulle spalle, contenente dei cambi d'abiti e del cibo per il viaggio e mi diressi sopra le scale.
Aprii lentamente la porta, cercando di controllare la situazione.
Avevo studiato bene il comportamento di ogni uomo su quella nave, ogni abitudine...trovare il ponte deserto non mi stupii, anzi...mi diede quel senso di soddisfazione che mi appaggò.
Aspettai che i due uomini andassero nella loro postazione di vedetta, prima di uscire definitivamente da dietro la porta.
Abbassai la visiera del capello scuro che avevo indossato per camuffarmi nella notte, e mi diressi a passo veloce verso la scialuppa che avevo preparato quella stessa mattina.
Arrivata alla corda, cominciai a srotolarla velocemente, cercando di fare il meno rumore possibile.
Ormai mancava poco, e finalmente sarei riuscita a...
«Che stai facendo?» mi chiese una voce nella notte, facendomi sobbalzare dallo spavento.
Mi voltai di scatto, tenendomi una mano sul petto.
«Sei impazzito?» gli chiesi sentendomi il cuore in gola «Sono incinta, te ne sei scordato? Non posso spaventarmi».
Marco fece qualche passo verso di me, sostando poi sotto i raggi della luna.
«Te l'ho chiesto appunto per questo!» disse serio, incrociando le braccia al petto «Credevo di essere stato chiaro».
Misi il muso. «Non mi impedirai di andarlo a cercare» dissi ricominciando a srotolare la cima.
Marco mi afferrò per un polso, impedendomi di continuare.
Lo fissai con arroganza e rabbia.
«È mio marito!» ringhiai acida.
«E tu mia sorella!» sbottò lui «Non voglio che tu ti faccia male».
«Non costringermi ad usare il mio potere su di te» lo minacciai ignorando le sue parole «Lasciami!».
Sospirò dal naso, continuando a fissarmi intensamente, come feci io con lui.
Restammo in quella posizione a fissarci per un po', finché non lo sentii mollate delicatamente la presa.
Sospirò ancora, guardandosi intorno.
«Vai!» disse infine «Ti copro le spalle».
Sorrisi nel sentirglielo dire.
Mi alzai in punta di piedi per circondargli il collo con le braccia e dargli un grosso bacio sulla guancia, in segno di ringraziamento.
«Ma sta' attenta!» disse serio «Ricorda ciò che ti ho detto».
«Non lo dimenticherò» gli dissi sorridente «Il mio bambino sarà al sicuro».
Mi sorrise per un momento, per poi tornare serio.
«Ora va! Ci penso io alla corda».
Senza farmelo ripetere, feci ciò che mi aveva detto.
Mi aiutò a salire sul cornicione del ponte, per poi controllarmi finché non scesi la scaletta che mi portò sulla scialuppa.
«Aspetta» mi disse cercando qualcosa nella tasca dei pantaloni «Prendi».
Mi lanciò un piccolo lumacofono, dalla conchiglia viola.
«È il mio lumaconfono. È collegato alla nave. Se hai problemi, chiamami immediatamente e verrò a prenderti».
«Lo farò» dissi spiegando la vela.
Quella sera c'era un bel venticello, grazie al cielo.
Avrei potuto prendere il largo velocemente, prima di avviare il motore.
«Emy!» mi chiamò Marco mentre mi allontanavo «Abbi cura di te e del piccolo».
Gli sorrisi. «E tu di papà. Tornerò presto» dissi infine allontanandomi dalla Moby Dick, sentendo già la nostalgia di casa.
Mi sedetti sulla piccola panca dell'imbarcazione, prendendo la Vivre Card che avevo tenuto in tasca fino a quel momento.
La strinsi tra le dita, sentendo già la resistenza farsi sempre più forte.
Puntava dritto verso di me.
«Portami da lui» dissi accarezzandomi il ventre divenuto ormai leggermente più gonfio e rotondo del normale «Portaci da Ace».

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