Accordo Con Il Diavolo

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«Emy...» mormorai quasi senza fiato.
Mi sentii morire nel vederla con le mani legate dietro la schiena con delle manette di algamatolite, e tra le grinfie di quei mostri.
Che cosa ci faceva in quel postaccio?
«Fermo dove sei, Ace» mi bloccò Teach notando che avevo mosso un passo verso di lei «O le taglio la gola».
Estrasse un coltellino dalla tasca dei pantaloni, che posò subito dopo sul collo di mia moglie.
La vidi tremare, chiudendo gli occhi.
«Sei un vigliacco, Teach!» ringhiai, serrando i pugni dal nervoso.
«Sono i vigliacchi che sopravvivono» ammise lui.
Cercai di pensare a un modo per liberarla, ma non potevo fare niente se non usare il mio potere.
Anche se avessi attaccato da quel punto, sicuramente avrei scaraventato Teach e tutti i suoi scagnozzi in aria, ma avrei rischiato di colpire Emy.
Ero completamente inerme, finché restava con loro.
Dovevo trovare il modo di farla allontanare.
«Sorpreso, Ace?» mi chiese Teach divertito «Sai, l'abbiamo trovata a vagare sull'isola un paio di giorni fa. Era alla disperata ricerca di te» disse con finta voce commossa «Allora, è vero che l'amore fa fare pazzie. Catturarla è stato più facile del previsto. Non ha nemmeno tentato di difendersi».
Emy mi guardò con sguardo dispiaciuto.
Sebbene non potesse parlare per via della benda, potevo percepire le sue parole di perdono dietro quello sguardo.
«Lasciala andare!» dissi cercando di calmarmi, nonostante il mio corpo tramasse ancora dalla rabbia «Lei non c'entra con noi due».
«È qui che sbagli, caro fiammiferello. Se la lascio andare, non ci sarà più nulla che ti impedirà di farmi del male. Ma finché resterà con me...» disse avvicinando il suo viso a quello di mia moglie che poi prese e strinse tra le dita grasse e sporche «Avrò il completo controllo su di te».
Emy ritrasse la testa, disgustata.
Era braccata.
«Non toccarla, maledetto!» urlai furioso, lasciando che il mio corpo prendesse fuoco.
Ero pronto a colpirlo.
«Attento...» disse Teach puntandole di nuovo il coltello alla gola, facendo più pressione questa volta «Non sono dotato di molta pazienza. Non più, ora che sono io il capitano».
La vidi chiudere gli occhi, mentre sicuramente pregava dentro di sé che non le succedesse nulla.
Sospirai, spegnendo le fiamme.
Dovevo controllarmi, o sarebbe stata lei a rimetterci.
«Che cosa vuoi?» ringhiai.
«Arrenditi a me» disse divertito.
Restai in silenzio per un po', respirando con forza dal nervoso e serrando i pugni.
Dovevo immaginarmelo.
«Se lo faccio, la lascerai libera?».
«Posso prometterti che non le verrà torto un capello. Ma lasciarla libera...» fece una smorfia «Non ne sono ancora certo. Il suo potere potrebbe tornarmi utile. Vedi...non c'è nulla che potresti offrirmi di più...di lei».
Emy mugugnò qualcosa, sotto quel velo bianco che le teneva tappata la bocca.
Si agitò, senza però riuscire a muoversi come voleva, ancora trattenuta dall'uomo dai capelli viola.
Sapevo cosa avrebbe voluto dirmi.
Non voleva che accettassi le condizioni di Teach, ma per me era lei ad avere la priorità.
Se dovevo sacrificare me stesso per salvarla, lo avrei fatto.
«Accetto!». dissi serio, fulminando Barbanera con lo sguardo.
Sorrise soddisfatto.
«Saggia decisone» ghignò lui divertito
«Prendetelo!».

                           𝕆ℕ𝔼 ℙ𝕀𝔼ℂ𝔼

Dopo essere stato ammanettato con delle manette di algamatolite, venni trascinato sulla nave di Barbanera, insieme ad Emy.
La vidi camminare a fatica, sembrava stanca e pallida.
Sceso l'ultimo gradino, che ci avrebbe portati alle celle, la vidi scivolare.
Sebbene avessi le mani legate davanti a me, riuscii ad allungare le braccia per afferrarla come meglio potevo, per non farla cadere.
«Ehi!» ringhiò l'uomo dai capelli viola, che mi stava davanti «Non hai il permesso di toccare la prigioniera».
«Tra tutti, sono l'unico che ha il permesso di toccarla!» ringhiai a mia volta, fulminandolo con lo sguardo.
Ne fu intimorito, e rimase in silenzio.
Emy alzò leggermente il capo, annuendo per dirmi che andava tutto bene.
«Potremmo avere un po' d'acqua?» chiesi al bestione davanti a me.
«Devo sentire il capitano» disse lui, facendoci entrare poi dentro una cella enorme, divisa da delle sbarre.
A giudicare dalla sensazione di disagio misto a debolezza che provai nel stare lì dentro, era fatta sicuramente di algamatolite.
Ci slegò i polsi, chiudendoci a chiave per poi ghignare divertito e andarsene.
Non appena fu libera, Emy si tolse il bavaglio dalla bocca, tornando a respirare con più forza.
Mi si strinse il cuore nel vederla in quelle condizioni.
Mi avvicinai più che potei alle sbarre e lei fece lo stesso.
«Ace» esclamò, gattonando verso di me.
Cielo, quanto mi era mancata la sua voce, la sua presenza...
«Come ti senti?» le chiesi accarezzandole una guancia attraverso le sbarre.
«Mi gira un po' la testa» ammise lei sorridendomi, posando la sua mano sulla mia «Ma sto bene, non preoccuparti».
«Ti hanno fatto del male?» le chiesi ancora, notando dei leggeri lividi sul suo viso di porcellana.
«Nulla che non abbia potuto sopportare»ammise lei, sorridendomi.
Sospirai, sentendo il nervoso crescere dentro di me.
«Si pentiranno di averti toccata».
«Non fare pazzie. Sto bene, davvero».
Cercai di calmarmi, anche se trovavo la cosa decisamente difficile.
Nessuno doveva permettersi di toccare mia moglie.
Nessuno!
«Si può sapere che sei venuta a fare qui?» la riproverai dolcemente, ma con serietà «Hai idea del guaio in cui ti sei cacciata?».
«Mi dispiace. Ma non ho potuto fare altro. È successa una cosa».
«Papà e gli altri stanno bene?» chiesi immediatamente.
«Si, loro stanno bene. Non riguarda loro, ma noi».
La guardai confuso.
«Cos..?».
«Ecco l'acqua» disse improvvisamente il bestione, che era tornato con un bicchiere.
Lo posò accanto alle sbarre, per poi andarsene.
Era arrivato al punto di trattarci come animali...
Mi alzai a prendere il bicchiere, per poi porgerlo ad Emy.
«Bevi tu» mi disse «Si vede che sei disidratato».
«Non se ne parla!» le dissi «Quella ad avere le labbra secche sei tu».
Le sorrisi e lei fece lo stesso, accettando il bicchiere.
Bevve metà del contenuto, per poi porgermelo nuovamente.
«Adesso tu».
Scossi la testa.
«Sei una testarda!».
«Ti sei innamorato di me anche per questo, giusto?» mi chiese divertita.
Le sorrisi, accettando l'acqua.
Era inutile discutere.
Tanto, avrebbe sempre vinto lei.
«Sei ridotto male» disse notando le mie ferite.
«Ho subito di peggio» dissi facendo spallucce e una smorfia che la fece sorridere.
Il dolore in sé era passato, nonostante avessi parecchie ferite su ogni parte del corpo.
Ciò che mi faceva più male in quel momento era il cuore, nel vederla ridotta in quello stato.
Nemmeno quando aveva avuto la febbre alta, era stata così pallida.
«Marco e Deuce mi sentiranno, quando saremo tornati a casa» dissi acido «Non dovevano lasciarti partire».
«Ho insistito io» ammise lei «Sono scappata durante la notte».
«Sei scappata?» chiesi sorpreso.
«Dovevo assolutamente trovarti, te l'ho detto».
«Perché?».
La vidi aprire bocca, ma poi si bloccò, colta dai suoi pensieri.
Vidi i suoi occhi diventare più rossi, segno che stava per piangere.
«Amore, cosa ti prende?» le chiesi accarezzandole ancora una volta la guancia.
Lei afferrò la mia mano con entrambe le mani, che trovai più calde del solito.
«Ace...» sussurrò piano, guardandomi negli occhi «Sono incinta».
Sentii il mio respiro bloccarsi per un momento, seguito da uno scatto veloce del cuore, che cominciò a battere più veloce.
«S-sei...incinta?» balbettai come un'idiota, incredulo.
Lei mi sorrise, per poi lasciarmi la mano e alzare quella maglietta scura, che solo in quel momento notai che era decisamente più larga delle solite che indossava.
Scoprì l'addome, mostrandomi un rigonfiamento che lo aveva reso più rotondo di come lo ricordavo.
Cominciai ad emozionarmi e agitarmi, sentendo il mio respiro accelerare.
Continuai a fissare il suo addome, facendo scendere la mano dal suo viso, per posarla sopra di esso con estrema cautela.
Mi tremavano le mani.
«Da quanto?» chiesi confuso.
Non riuscivo più a ragionare dalla contentezza e dallo stupore.
«Sono al terzo mese» ammise lei «Volevo che lo sapessi».
Ero felice come non mai nel sapere che presto sarei diventato padre, ma non potevo non sentirmi terribilmente preoccupato e in ansia per ciò che Barbanera avrebbe potuto fare alla mia famiglia, se lo avesse scoperto.
«Ti prego, dì qualcosa» mi supplicò lei, dopo minuti interminabili che non parlavo.
La guardai, vedendo una lacrima rigarle il viso.
Nonostante fossimo rinchiusi, volevo che quello fosse un momento da ricordare.
Sentii un irrefrenabile voglia di baciarla.
Avvicinai il viso alla fessura della sbarra, guardando le sue labbra divenute umide grazie all'acqua che aveva bevuto.
Lei fece lo stesso, e grazie a quel piccolo spazio, riuscimmo a scambiarci un bacio intenso e pieno d'amore.
«Mi hai reso l'uomo più felice del mondo» le dissi sentendo le lacrime cominciare a rigarmi il viso «Non sai quanto ti amo».
Lei sorrise, cercando di trattenere le lacrime, ormai divenute troppo piene e pesanti per restare nei suoi occhi.
«E tu hai reso me, la donna più felice del mondo» abbassò una mano per accarezzarsi il ventre «È un miracolo».
La baciai ancora una volta, sentendo il desiderio di non volermi più staccare da lei.
Improvvisamente, sentii un brivido di paura percorrermi la spina dorsale.
«Teach!» dissi, sentendo un peso nel petto «Lui...».
«Non sa niente» mi zittì lei, accarezzandomi il viso «Sono riuscita a nasconderlo».
Sospirai, rilasciando la tensione.
«È per questo, che non hai usato il tuo potere, quando ti hanno catturata?».
Annuì.
«Marco mi ha sconsigliato di usarlo finché sono in queste condizioni. Non possiamo sapere che effetti avrebbe sul mio fisico, o sul bambino».
«Quindi è un maschio?» chiesi curioso e felice.
«Non lo so. Ci vorrà un altro mese per saperlo con certezza» ammise lei «Tu, vorresti un maschio?».
Ci pensai seriamente per la prima volta.
«A dire il vero...se potessi scegliere, preferirei una femmina» ammisi, immaginandomi una bambina uguale a lei «Che fosse bella e piena di vita quanto la madre».
Sorrise, e i suoi occhi tornarono lucidi.
«Io spero che assomigli a te. Voglio che sia forte come il padre. E magari, che avesse le tue lentiggini».
Ridemmo insieme, ma il senso di angoscia tornò.
Posai come potevo la mia fronte sulla sua, stringendola a me, attraverso le sbarre.
«Devo portarti via da qui!» dissi cercando di pensare a qualcosa.
«E come?» chiese lei, facendomi notare la sua preoccupazione «Non c'è modo di andarsene, senza usare i nostri poteri».
Dovevo inventarmi qualcosa.
L'algamatolite era un problema, ma i poteri non potevano essere l'unica cosa su cui potevo fare affidamento.
Doveva esserci dell'altro che potessi...
In quel momento mi vennero in mente le parole di Teach.
"Non c'è nulla che potresti offrirmi di più"
In verità...c'era qualcosa che potevo offrigli di più di mia moglie.
Qualcosa, che sicuramente gli avrebbe fatto venire l'acquolina in bocca.
Non sapevo se la mia idea avrebbe funzionato, ma dovevo provarci.
«Ace? Va tutto bene?» mi chiese improvvisamente Emy notando il mio sguardo perso nel vuoto.
«Sì. Va tutto bene» le disse sorridendole mentre le accarezzavo i capelli.
«Riesci ad alzarti?» le chiesi, avendo un piccolo desiderio da voler realizzare.
Lei mi guardò confusa, ma poi annuì.
«C'è una cosa che vorrei tanto fare» continuai, sorridendole.
Non capendo, mi assecondò alzandosi da terra.
Mi misi in ginocchio, portando il viso vicino a quel pancino pronunciato, che avevo iniziato ad amare nel giro di pochi secondi.
Dentro c'era nostro figlio.
Il nostro bambino.
Il frutto del nostro amore.
Alzai leggermente la sua maglia, e lei mi aiuto tenendola sollevata per scoprire la pancia.
L'accarezzai ancora, sospirando felice prima di posare le labbra su di essa, premendole delicatamente.
Era un gesto che avevo visto fare una volta ad un uomo alla moglie incinta e non vedevo l'ora di poterlo fare a mia volta.
Sentii la sua mano posarsi sulla mia testa, e mi accarezzò dolcemente.
Nonostante le circostanze, ero felice come non mai.
«Secondo te, può sentirmi?» le chiesi curioso.
Non sapevo assolutamente nulla di gravidanze e bambini, ma speravo con tutto il cuore che mio figlio potesse udire la mia voce.
Che potesse percepire quanto amore già stavo provando per lui...o lei.
«Sono sicura di sì» ammise «Quando parlo, so che mi sente».
Rivolsi lo sguardo verso il suo addome, ancora così piccolo...
«Ehi» sussurrai con le labbra vicino alla sua pelle «Ciao, tesoro mio. Mi senti? Sono papà. Hai scelto proprio un bel momento per arrivare» ironizzai.
Sentii Emy ridere. «Quello che ho detto io, quando l'ho scoperto» ammise «Ma, credo che la colpa sia nostra».
«È assolutamente nostra» ammisi a mia volta, sorridendo con lei «Non potevamo immaginare, ciò che sarebbe potuto succedere. Mi dispiace».
Posai la fronte sulla sua pancia, sospirando il mio fiato caldo su di essa, e la accarezzai con i pollici.
«Ti prometto che tu e la mamma andrete via da questo postaccio. Vi farò tornare a casa».
«Tu vieni con noi, giusto?» mi chiese immediatamente Emy.
Alzai lo sguardo per osservarla.
Non volevo mentirle, ma non volevo che si agitasse in quelle condizioni.
Aveva già sofferto troppo.
«Ace?» mi chiamò preoccupata.
«Sta tranquilla. Ho in mente un piano per tornare a casa...insieme» mentii, nel pronunciare l'ultima parola, ma non potevo fare altrimenti.
Se Teach avesse accettato le mie condizioni, non ci sarebbe stato più un futuro per me ed Emy, ma per lo meno...sia lei che nostro figlio sarebbero stati salvi.
Mi alzai in piedi, prendendo il suo viso tra le mani, mentre ancora mi guardava confusa e angosciata.
«Cos'hai in mente?» mi chiese.
Sorrisi, cercando di tranquillizzarla, sebbene l'angoscia ancora non era scomparsa dal suo volto.
«Parlerò con Teach».
«No!» disse immediatamente lei, innervosendosi.
«Shhh, va tutto bene. Non agitarti» dissi notando il terrore nei suoi occhi «Ho una cosa da proporgli per farti rilasciare».
«Perché parli al singolare?» mi chiese cominciando a tremare.
Sospirai, in silenzio.
Emy era troppo intelligente.
Era difficile riuscire a prenderla in giro: ti smascherava nel giro di pochi secondi.
«Non posso permettere di farti restare ancora su questa nave. Devi tornare da papà. Dove so che ci sarà gente pronta a proteggerti».
«Non sono venuta solo per dirti del bambino. Sono qui anche per riportarti indietro!».
«E tornerò!» mentii «Solo, non posso mettere in atto il mio piano finché resterai qui. Devo saperti al sicuro, prima».
«Hai un piano?» mi domando confusa.
Esitai nel rispondere.
In verità, non avevo nessun piano, ma dovevo farglielo credere.
«Sì, ma non posso rivelarti i dettagli. Devi solo fidarti di me».
«Ma, Ace...» disse tornando ad agitarsi.
«Fidati di me!» dissi accarezzandole le guance «E ti prego, stavolta ascoltami! Non possiamo più permetterci di sbagliare».
Nonostante fossi stato molto convincete, sapevo che Emy era in grado di leggere attraverso il mio sguardo.
Dopo qualche secondo però, la vidi sorridere.
Anche lei, come me, stava cercando di fingere che tutto sarebbe andato per il meglio.
La vidi avvicinarsi alle sbarre, cercando conforto dal mio corpo, che potè accoglierla come poteva, a causa di quelle barriere.
La strinsi a me, baciandole la testa.
«Non permetterò a nessuno di farvi del male».
«Ti amo» mormorò lei, cercando di trattenere le lacrime.
«Ti amo» mormorai a mia volta, sentendo una fitta al cuore.
Qualcosa mi diceva, che quella era l'ultima volta per noi per poter esprimere il nostro amore.
Si alzò in punta di piedi per posare le sue labbra sulle mie.
Mi abbassai per permetterle di riportare i piedi a terra.
Non volevo si affaticasse.
Ci scambiammo quello che per entrambi fu l'ultimo bacio, pieno di amore, angoscia e paura di non poter più avere la possibilità di amarci come avremmo tanto voluto fare.
Mi staccai a malincuore da lei, aspettando ancora un po' prima di allontanarmi e decidermi di mettere in atto la mia idea.
«Sai...ho sentito che porta male, non consumare il matrimonio la notte di nozze» disse lei cercando di non piangere, forzando un sorriso «Abbiamo innescato una bomba di sfortuna su di noi».
Sorrisi divertito a quella pseudo battuta che aveva fatto per sdrammatizzare la situazione.
Era sempre stata brava in quello.
«Mi dispiace. Avrei dovuto pensarci prima» ammisi, facendola sorridere.
«Emy?».
«Uhm?».
«Che ne dici...di tornare a vivere a Monte Corvo, una volta che sarà tutto finito?».
I suoi occhi si illuminarono.
«Davvero?».
Annuii, felice di vedere la luce nei suoi occhi.
«Basta fare i pirati. Stiamo per diventare genitori, è ora di mettere la testa apposto».
«Credi che ci riusciremo mai?» chiese divertita.
«No» ammisi, ridendo con lei «Ma possiamo provarci».
«Chissà cosa ci farà Dadan, quando vedrà cosa abbiamo combinato» disse lei toccandosi la pancia.
«A te nulla! A me sicuramente staccherà la testa» ammisi già immaginandomela mentre mi sbraitava addosso.
«No» disse lei, sorridente e con sguardo pensieroso «Sono certa che sarà felice. Siamo sempre stati una famiglia, no? In questo modo, l'abbiamo unita ancora di più».
«Accetto scommesse» dissi sicuro che avrei vinto io.
Ridemmo complici delle nostre fantasie dimenticandoci per un attimo la realtà.
Sospirò, mantenendo quel sorriso che però si stava spegnendo a poco a poco.
«Prenditi cure del nostro bambino, finché non tornerò» dissi sentendo le lacrime rigarmi le guance ancora una volta «Digli che suo padre lo ama».
«Glielo dirai tu stesso, quando lo stringerai tra le braccia»
Sospirai, sentendo che ormai mentire non serviva più a niente.
Emy aveva capito tutto, anche se non aveva pronunciato parola.
Era più brava di me a fingere.
«Ti aspetteremo» disse, intuendo che qualsiasi cosa avessi in mente di fare, avrebbe richiesto del tempo.
«Tornerò sempre da voi. Te lo prometto» dissi infine, dandole un altro veloce bacio sulle labbra, prima di decidermi a lasciarla per sempre.
Solo quando le diedi le spalle sospirai mela speranza di fermare le lacrime che mi stavano ormai innondando gli occhi.
Dovevo essere forte!
La loro sopravvivenza dipendeva da me!.
«C'È QUALCUNO?» urlai, sperando di attirare l'attenzione di uno degli uomini di Teach.
La porta si aprì, facendoci notare che fuori era già calata la notte.
«Che succede?» mi chiese l'uomo dai capelli viola.
«Voglio parlare con Barbanera» dissi serio.
«Per quale motivo?» chiese lui confuso.
«Ho un affare da proporgli. Sono certo che non rifiuterà.
Il gigante mi guardò storto, cercando di capire se fidarsi o meno delle mie parole, ma alla fine acconsentì, aprendo la cella e rimettendomi le manette.
Emy corse verso le sbarre, allungando una mano per afferrare la mia, ormai bloccata dall'algamatolite.
Mi avvicinai a lei, posando nuovamente la mia fronte sulla sua.
«Sopravvivi» le sussurrai con tenerezza e ansia nel cuore.
«Anche tu!» mi disse lei, cercando disperatamente di stringere le dita tra le mie, finché non venni trascinato via, sentendo svanire poco a poco quel contatto che sicuramente non avrei sentito mai più.

                           𝕆ℕ𝔼 ℙ𝕀𝔼ℂ𝔼

Arrivati nella cabina del capitano, il bestione chiuse forte la porta dietro di me, lasciando che il silenzio cadesse della stanza.
Teach si era accomodato bene in quella nave.
Quella cabina era piena zeppa di mappe, gioielli e alcolici a non finire.
«Ma bene, Ace» disse lui, posando la schiena sullo schienale della poltrona di tessuto rosso e nero «Ho sentito che volevi parlarmi».
«Esatto!» dissi acido, ancora con le mani legate «Ho un affare da proporti»
Ghignò divertito. «Sono tutto orecchi».
«Voglio barattare la mia libertà con quella di Emy» tagliai corto «Tu la lasci libera e in cambio...terrai me».
Fece una smorfia, sospirando dal naso.
Si fece pensieroso, posando le mani sulla sua pancia, e incrociando le dita.
«Interessante, ma...che me ne faccio di te» chiese facendo spallucce «Hai messo in chiaro che non vuoi unirti alla mia ciurma e sinceramente, non ho più interesse a tenerti»
«Non ho mai parlato di restare. Ciò che voglio proporti, ti farà guadagnare molto di più che un nuovo membro».
I suoi occhi si illuminarono. «Ah sì? E che intendi di preciso?».
Cercai di calmarmi, nonostante sentivo la rabbia bruciarmi nelle vene.
«Mi venderai alla Marina» dissi d'un fiato.
Teach non si scompose.
«Quindi, vuoi offrirmi i soldi della tua taglia, in cambio della liberazione della tua compagna?»chiese curioso e confuso, facendo un'altra smorfia «Non che non siano allentati 550 milioni di berry, ma...i soldi prima o poi finiscono e non valgono più del potere che possiede Emy».
«Che ne dici se, oltre al denaro, la Marina ti offrisse un posto nella flotta dei sette? Diventeresti importante. Molto più di Barbabianca e di chiunque altro».
Il suo sguardo si illuminò ancora di più.
L'idea del potere gli aveva dato letteralmente alla testa.
Avrebbe fatto qualunque cosa, per diventare l'uomo più rispettato del mondo, e quale migliore occasione di diventare un membro dell'esercito più temuto del Governo Mondiale?
«Dimmi, Ace...per quanto tu sia un pezzo grosso, come puoi pensare di essere così importante per la Marina? Non sei al livello di Shanks Il Rosso».
«Sono molto più importate di un imperatore, credimi» tagliai corto.
Alzò un sopracciglio. «Davvero? Che cosa sei, allora, se non un semplice corsaro?».
Presi una bel respiro profondo, prima di pronunciare quella frase che avrebbe cambiato la mia vita per sempre.
«Il mio vero nome è Gol D. Ace. Primo e unico figlio naturale del Re dei Pirati».
Pronunciare il nome di mio padre, mi fece provare una fitta al cuore e un senso di disonore per mia madre che mi fece tremare le gambe, ma avevo dovuto farlo.
Per quanto disprezzassi quell'uomo, non potevo negare che fosse mio padre biologico.
Il suo nome, mi aveva portato alla morte alla fine, facendomi seguire il suo stesso destino.
Teach rimase a bocca aperta.
Ci volle qualche minuto perché metabolizzasse la cosa.
«Sei il figlio del Re dei Pirati?» chiese incredulo «Il bambino che la Marina ha cercato per mesi e che alla fine aveva dato per morto...eri tu?».
«Sì!» risposi serio, senza perdere di vista il mio obbiettivo.
La sua faccia però, mi aveva fatto capire che avevo colto nel segno.
«Pensa quale onorificenza potrebbe darti la Marina, se consegnassi il figlio perduto del Re dei Pirati. Avresti tutto. Oro, potere, successo...tutto ciò che un uomo può desiderare».
«Allettante» ammise lui, posando i gomiti sul tavolo «Saresti disposto a morire, pur di sapere Emy al sicuro?».
«Emy è tutto ciò che ho. Senza di lei, morirei comunque. Quindi tanto vale andarmene con la consapevolezza che il mio gesto la salverà».
Scosse la testa, con aria divertita.
«Be', complimenti Ace. Sei riuscito a convincermi. Faremo rotta per la prigione di massima sicurezza del Governo Mondiale».
Si alzò per avanzare verso di me, allungando una mano per stringere la mia.
La fissai, non fidandomi pienamente delle sue parole.
«Promettimi che lascerai libera Emy» dissi con tono arrogante.
Volevo sentirglielo dire, prima di stringere qualunque patto con lui.
«Accordato! Vostra Maestà» disse lui, con tono ironico.
Lo fissai intensamente.
Qualcosa dentro di me mi diceva che non avrei dovuto fidarmi di lui, ma non potevo più tornare indietro.
Alzai le mani, per poi permettergli di stringere una delle mie, suggellando così il nostro patto.
«Tieniti pronto. Impel Down ti aspetta» ghignò divertito.
Sentire pronunciare il nome di quella fortezza, mi fece provare una sensazione di ansia e angoscia, ma non potevo esserne sollevato da un lato.
Anche se sarei morto, una volta entrato lì, sapere che mia moglie e mio figlio sarebbero stati al sicuro, era abbastanza per farmi lasciare questo mondo...appagato.

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