Il Sogno Più Grande

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Un tocco gentile e un bacio sulla spalla mi svegliarono.
«Emy...», Sussurrò una voce calda al mio orecchio «Sei sveglia?».
Sentii un altro bacio sulla spalla, poi sul collo, sulla nuca, e infine percepii delle labbra e un naso affondare tra i miei capelli.
Mormorai un "uhm" ancora assonnata, mentre mi girai verso Ace per abbracciarlo.
Il suo corpo era così caldo: con quel freddino che percepivo un po' sulle spalle, era l'ideale per scaldarsi.
Posai la testa sul suo petto marmoreo, mentre lui mi baciò la fronte per poi spostarmi i capelli da davanti al viso, pettinandomeli delicatamente con le dita.
Quanto mi era mancato quel contatto.
Quel coccolarsi la mattina.
Era la parte della giornata che preferivo in assoluto.
«Come ti senti, oggi?», Mi chiese premuroso.
«Molto meglio», ammisi, rilassandomi a quel tocco delicato.
Mi accarezzò i capelli per un po', poi passò al mio collo tracciandone il contorno con il pollice, fino a scivolare sulla spalla scoperta.
Sapevo che mi stava osservando, sebbene avessi gli occhi chiusi, e la cosa mi piaceva tantissimo.
Si chinò a baciarmi il collo, premendo delicatamente le sue labbra sulla mia pelle, facendomi rabbrividire.
«Sei più coccolone del solito, oggi. Qualcosa non va?».
«Non posso coccolarti senza che diventi sospettosa?».
Aprii gli occhi per guardarlo di sottecchi, facendogli capire che non me l'avrebbe data a bere con delle belle parole.
«Va bene. Devo parlarti», ammise serio, alzando gli occhi al cielo.
«Avanti, sputa il rospo», dissi sospirando nel tentativo di svegliarmi.
«Penso sia il momento buono per attaccare».
«Chi?», Chiesi confusa.
«Barbabianca. Sta ancora dormendo attaccato a quella macchina medica. A quanto pare, il vecchio non sembra godere di ottima salute. Ora come ora è vulnerabile».
Sospirai esausta.
Speravo che una notte di sonno e l'essersi ritrovati lo avrebbero addolcito un po', invece quel testardo del mio ragazzo era ancora intento a volersi battere nuovamente con l'uomo che gli aveva risparmiato la vita.
«Ancora con questa storia? Ne abbiamo già parlato, Ace. Non voglio che tu lo faccia!».
«Non posso lasciar perdere! Devo diventare il Re dei Pirati», si giustificò lui.
«Non è uccidendo una persona che avrai quel titolo. Devi guadagnartelo».
«Barbabianca è considerato l'uomo più forte del mondo. Hai idea del rispetto che potrei ottenere, sconfiggendolo?», Chiese, elettrizzato all'idea.
Era cambiato.
Quasi non lo riconoscevo.
Quel nuovo Ace non mi piaceva per niente.
«E tu ti rendi conto che sei sdraiato su un letto della sua nave?».
Ace stava per ribattere, ma si fermò prima di pronunciare parola.
«Che ti è successo, Ace? Perché hai così tanta voglia di ucciderlo?».
«Perché devo!», ammise lui, serio.
«Senti, io non conosco Barbabianca. Non ho idea di che uomo sia, ma so che se siamo ancora insieme è solo grazie a lui e ai suoi uomini. Dovresti incontrarlo per ringraziarlo, non per ucciderlo. Dopotutto, ti ha risparmiato».
«Quindi, sei anche tu dalla loro parte», disse irritato allontanandosi da me, lasciandomi addosso un senso di freddo improvviso.
«Dalla loro parte? Io non sono dalla parte di nessuno».
«Dovresti essere dalla mia!», Sbottò acido, alzandosi dal letto «Sei la mia donna, dannazione!».
«Cerco solo di fare ciò che è giusto».
«Lascia perdere!», Tagliò corto lui, alzandosi dal letto e rimettendosi la camicia «Volevo chiederti di aiutarmi. Il tuo potere mi sarebbe servito, ma lo farò da solo».
Mi irritai a quelle parole. «Ti ho sempre seguito, Ace. Ho sempre cercato di sostenerti in tutto, ma questa volta no. Non diventerò un'assassina per soddisfare un tuo capriccio».
«Bene! Allora non farlo! Lo toglierò di mezzo da solo!», Disse seccato, prima di uscire dalla stanza, sbattendo la porta.
Sbuffai nascondendo la testa nel cuscino.
Quel testone prima o poi le avrebbe prese di santa ragione... e qualcosa mi diceva che non sarebbe passato molto tempo.

                                                                                                    𝕆ℕ𝔼 ℙ𝕀𝔼ℂ𝔼

Come aveva programmato nei giorni seguenti, Ace non fece altro che tentare alla vita di Barbabianca fallendo miseramente ogni volta.
Per quanto io e Deuce avessimo cercato di ficcare in quella sua zucca vuota che era tutto inutile e che avrebbe dovuto ringraziarlo invece che ucciderlo, non c'era verso di fargli cambiare idea.
Era deciso più che mai a toglierlo di mezzo, e ripeteva che prima o poi ci sarebbe riuscito.
Non avevo ancora avuto l'occasione di incontrare il capitano. Aveva passato giorni interi dentro la sua stanza per curarsi, almeno così aveva detto Marco. Gli serviva parecchio riposo per riprendersi, così non insistetti nel volerlo incontrare, preferendo aspettare il momento buono per farlo.
Nel frattempo, avevo avuto modo di incontrare e fare amicizia con un po' di componenti delle divisioni e i loro comandanti.
Marco e Satch mi piacevano sempre di più. Erano due tipi davvero molto socievoli e alla mano.
Ci stavo davvero bene in loro compagnia.
La stessa cosa valeva per Deuce e i nostri compagni. Ci trovavamo bene su quella nave, erano tutti molto gentili con noi, ma non sapevamo ancora quanto saremo rimasti con loro.
La decisione finale spettava al capitano, che al momento era impegnato a farsi prendere a calci nel sedere.
«Ehi, bambolina. Allora, sei qui» esclamò improvvisamente Deuce, mentre si avvicinava a me con un sorriso «È ora di cena. Che ci fai ancora fuori?».
«Avevo voglia di starmene all'aperto ad assaporare il rumore del mare e leggere un po',» ammisi «Mi cercavi?», Chiesi chiudendo il libro di avventura che mi aveva gentilmente prestato Marco per passare il tempo.
«Sì», ammise lui, sedendosi accanto a me.
Marco aveva fatto mettere un tavolino con degli sdrai sul ponte, insieme a un ombrellone appositamente per concedermi quel piccolo spazio di svago, dove mi rilassavo ogni volta che potevo, immergendomi nella lettura.
«Volevo sapere se hai parlato di nuovo con Ace, riguardo a Barbabianca» continuò Deuce.
Sospirai. «Sì, ma come vedi non c'è modo di fargli cambiare idea. Dovrà sbattere la testa sul legno ancora un po', prima di capire che il capitano di questa nave non gli è nemico».
«Da quanto tempo ci sta provando?», Chiese pensieroso.
«Credo un centinaio di volte. Almeno da quello che dicono gli uomini».
Lo sentii sghignazzare, per poi tornare lentamente serio.
Notai un certo nervosismo in Deuce.
Sembrava che volesse dirmi qualcosa, però lo vidi molto titubante.
«C'è qualcos'altro?», Gli chiesi sperando che parlasse.
«A dire il vero... sì», ammise, cominciando a giocherellare nervosamente con le dita «Ho parlato con i ragazzi...».
«E hanno mandato te per rifermi cosa vi siete detti», dedussi posando il libro sul tavolo e accavallando le gambe.
«Già» ammise imbarazzato «Credono che la nostra amicizia, possa essere d'aiuto».
«D'aiuto per cosa?», Chiesi curiosa.
«Be'.... Ecco... Abbiamo parlato di ciò che è accaduto durante lo scontro tra Barbabianca e Ace... e ciò che è successo da quando siamo qui».
«E...?», Chiesi, incitandolo a continuare.
«Per quanto rispettiamo Ace come capitano, siamo molto grati a Barbabianca e alla sua ciurma per la loro ospitalità».
Sorrisi senza dire una parola.
Volevo sentire tutto ciò che aveva da dirmi, prima di dire il mio pensiero.
«Non ci aspettavamo che le cose sarebbero andate così. Da come era partito tutto all'inizio, eravamo convinti che dopo averci bastonati, ci avrebbero portati sulla nave per rinchiuderci, invece ci hanno trattati sempre in modo molto gentile».
«Dove vuoi arrivare?»
«La maggior parte degli uomini vorrebbe restare qui, ma non vogliono andare contro il loro capitano».
Quella frase mi scioccò un po'.
Avevo capito che tra la nostra ciurma e quella di Barbabianca era nata una sorta di "amicizia", ma non credevo fino a questo punto.
«Perché ne parli con me?», Chiesi confusa.
«Sei il vice capitano, la tua parola conta molto per noi, tanto quanto quella di Ace», ammise lui «Inoltre, sei la sua ragazza. Di certo, quella ad avere più ascendente su di lui sei tu. Oltre a essere quella che lo conosce meglio di tutti».
Sospirai cercando di ragionare sulle sue parole.
«Ammetto di essere quella che lo conosce da più tempo, ma non credo di avere così tanto ascendente su di lui. Come vedi, sta ancora cercando di uccidere Newgate, nonostante gli abbia detto di non farlo».
«Scherzi? Non hai idea di che giorni ha passato da dopo che ti hanno rapito. Non ha dormito per notti intere. Tiene moltissimo a te».
Sentirgli dire quelle parole mi fece provare una sensazione di gioia, mista a dolore.
Non volevo neanche pensare a cosa avesse passato Ace nel momento della mia sparizione, anche se in cuor mio già me lo immaginavo.
«Quindi, mi stai chiedendo di riferirlo a Ace e provare a farlo ragionare?».
«In un certo senso», ammise lui nervoso «Più che altro, vorremmo sapere il tuo pensiero su questo».
Ci pensai un momento.
Era difficile pensare alle parole giuste da dire.
Una parte di me era contraria all'idea di dover lasciare qui parte del nostro equipaggio. Eravamo diventati tutti amici, e l'idea di non rivederli più mi spezzava il cuore.
D'altro canto però, né io né Ace potevamo costringerli a rimanere con noi.
«Be'... in cuor mio direi di fare ciò che per loro è più giusto. Se vogliono restare, di certo non possiamo opporci. Anche il loro pensiero conta molto per me e Ace».
«Quindi, non sei contraria?».
Scossi la testa in segno di negazione.
«Non ho motivo per esserlo. Capisco perfettamente ciò che provano in questo momento. Mi chiedo solo, se anche tu la pensi come loro».
«Non lascerò mai te e Ace. Siete la mia famiglia. L'idea di abbandonarvi non mi ha mai sfiorato. Vi seguirò, sempre».
Sorrisi alle sue parole. «Grazie, Deuce. Vedrò di riferirlo a Ace il prima possibile».
Deuce sorrise a sua volta. «Grazie».
Ci alzammo dalle nostre sedie per dirigerci in sala da pranzo a mangiare insieme ai nostri compagni, ma prima di andare a riempirmi la pancia decisi di andare a vedere se Ace fosse tornato esausto nella nostra camera.
Ero curiosa di vedere se avesse gettato la spugna o no: era da un po' che non si sentivano schiamazzi.
Stavo per voltare l'angolo, quando sentii dei passi provenire dall'altra parte.
Mi nascosi dietro il muro di legno per vedere chi fosse, quando vidi Ace sedersi pesantemente sul ponte, prendendosi la testa tra le mani. Sembrava davvero sfinito e depresso. Aveva cercato in tutti modi di raggiungere il suo obbiettivo, finendo in acqua non so quante volte. Mi si spezzava il cuore nel vederlo ridotto in quello stato.
Feci un passo per andare da lui quando improvvisamente ,Marco apparve con una ciotola di cibo fumante in una mano.
Senza dire una parola, la posò a terra accanto a Ace, per poi andarsene.
Ace alzò lo sguardo prima su di lui e poi sulla ciotola.
Sapevo che stava morendo di fame, sebbene il suo orgoglio gli aveva imposto di non accettare cibo da loro.
In tutto quel tempo non aveva mangiato quasi niente.
Ancora mi stupivo di quanta forza potesse avere, nonostante lo stomaco gli brontolasse ogni notte.
«Ehi, aspetta», disse improvvisamente Ace a Marco.
Marco si fermò sul posto e si voltò a guardarlo con la sua solita aria annoiata.
«Mi spieghi perché lo chiamate tutti papà?», Chiese Ace curioso.
Ci fu un momento di silenzio.
Silenzio che mi diede la possibilità di assaporare il rumore delle onde che si infrangevano sulla Moby Dick e lo stridio dei gabbiani.
«Certo. Te lo dico subito», rispose Marco con un sorriso «Perché lui ci considera tutti suoi figli».
Quella frase scioccò sia me che Ace.
«Il resto del mondo ci odia. Ci considera solo dei manigoldi, ma qui siamo felici. È soltanto un'idea, ma ci da un senso di famiglia», disse infine con un sorriso che gli diede un'aria quasi infantile.
Vidi Ace abbassare la testa per non far vedere quanto quella frase lo avesse toccato.... e in parte anche me.
Ciò che Ace e io stavamo cercando da una vita, era realizzare il nostro sogno più grande: avere una famiglia.
Un sogno che andava ben oltre l'idea di essere dei pirati.
Un sogno che andava ben oltre a tutto.
Era questo che ci aveva legati a tal punto da farci innamorare.
Io avevo trovato in lui la persona che sapevo mi avrebbe resa felice per tutta la vita... e sapevo che anche lui aveva trovato quella persona in me.
Dovetti combattere con me stessa per non piangere a quella scena.
Ace sembrava così indifeso...
Marco notò il suo gesto e sorrise per poi avvicinarsi a lui, chinandosi su una gamba per poterlo guardare meglio.
«Ora, dimmi. Barbabianca ti ha risparmiato la vita, perché continui ad attentare alla sua? Devi prendere una decisione. Non hai la forza né l'abilità di prendere la sua testa. Scendi dalla Moby Dick e ricomincia da capo, oppure resta con noi... e schierati sotto la bandiera di Barbabianca».
Marco pronunciò quella frase con così amore e orgoglio, che provai una scarica di adrenalina pervadermi il cuore e lo stomaco.
Di certo ci sapeva fare con le parole.
Ace non rispose, perciò Marco lo lasciò da solo, andando dai suoi compagni per unirsi ai festeggiamenti.
Ero indecisa se avvicinarmi o no.
Conoscevo Ace e il fatto che non avesse risposto, significava che stava davvero pensando alle parole che gli aveva detto Marco.
Forse gli serviva del tempo da solo per riflettere...
«So che sei lì», disse Ace ancora con la testa nascosta tra le braccia «E so che hai sentito tutto».
Sorrisi divertita, mentre uscivo dal mio nascondiglio.
«Ero venuta a cercarti».
«Be'... mi hai trovato», disse stirando le gambe e posando la schiena sul muro di legno dietro di lui.
Sospirò pesantemente, mentre io mi sistemai accanto a lui, portandogli la ciotola più vicino.
Ace la guardò e il suo stomaco brontolò in risposta.
«Non so come tu abbia fatto a resistere per così tanti giorni senza quasi toccare cibo», ammisi divertita «Io non ci sarei riuscita».
Sorrise, guardandomi con aria stanca.
«Quindi, lo ammetti».
«Cosa?».
«Che sono più forte di te, e tu solo una donna debole», disse sempre con quel sorriso beffardo che amavo.
Risi divertita nel ripensare al momento in cui me lo aveva detto per la prima volta.
Successe durante il nostro allenamento a Monte Corvo. Ci eravamo sfidati per la prima volta in un combattimento corpo a corpo, e dopo una lotta durata anche meno di quanto mi aspettassi, mi fece quel discorso sulla diversità dei sessi che non presi tanto bene.
«Ammetto che hai decisamente più forza e più resistenza di me, ma non sarò mai una donna debole», dissi alzando un sopracciglio.
Sorrise ancora.
«Bene. Perché non l'ho mai pensato», ammise lui.
Gli porsi la ciotola e lui sospirò osservandola.
«Se accetto questo cibo, è come se accettassi Barbabianca come mio capitano».
«Mangia e sta' zitto!», Brontolai, dandogli una leggera pacca sulla spalla con fare scherzoso.
Ace rise al mio gesto, mettendosi dopo a divorare il contenuto della ciotola con voracità.
Lo guardai ingozzarsi, per poi spostare lo sguardo verso la cabina di Barbabianca.
Era arrivato il momento di incontrarlo.

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