Sangue Rosso Fuoco

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Non avevo idea di quanto tempo fosse passato.
Da quando Garp mi aveva rinchiusa in quella cella solitaria, ero rimasta accovacciata nel mio angolo, in attesa che la fine arrivasse.
Arrendermi era l'ultimo dei miei pensieri, ma cosa potevo fare?
Avevo già provato di tutto.
Non volevo incolpare il bambino, ma...se quella gravidanza non ci fosse stata, sarei sicuramente riuscita a combinare qualcosa di più concreto per Ace.
Forse, avrei perfino impedito a Teach di portarlo a Impel Down.
Sì, ne ero certa.
Se quell'esserino non ci fosse stato, avrei sicuramente fatto di più per mio marito, ma
non potevo dire di non esserne felice, in ogni caso.
La presenza del bambino, aveva cambiato qualcosa in me.
Mi aveva fatto capire che oltre all'amore che provavo per Ace il mio cuore poteva contenerne anche dell'altro.
Un amore ancora più puro e indissolubile.
Abbassai gli occhi sul mio ventre, che cresceva ogni giorno.
Ci posai una mano sopra, per poi accarezzarlo.
Era un po' che non sentivo il bambino muoversi, ero un po' preoccupata, ma forse era perché nelle ultime ore ero stata ferma, e l'agitazione era passata.
Mi accarezzai la pancia, ripensando a quella stupenda notte che avevamo passato io ed Ace all'arcipelago Sabaody.
Chiusi gli occhi, e inspirai profondamente, cercando di ricordare ogni minimo dettaglio.
Piano piano, sentivo di riuscire a percepire il tocco delicato di mio marito sul mio viso, le sue labbra morbide baciare le mie, il suo odore mescolato al mio e a quello della notte, la sensazione di pace e calore che percepivo ogni volta che lo sentivo dentro di me, il suo respiro caldo sul mio collo...
Il mio cuore accellerò in risposta a quei pensieri.
Solo il cielo sapeva quanto lo amavo, e quel bambino ne era la prova.
Era la prova che anche uno come Ace, scorbutico e arrogante quale era sempre stato, era riuscito ad amare così profondamente, da riuscire a generare una nuova vita.
Avevo pensato spesso a come sarei stata una volta divenuta madre, e solo in quel momento mi resi veramente conto che ero incita: non mi ero mai fermata ad assaporare il momento, sebbene lo sapessi.
Ero stata troppo presa com'ero stata da tutti i problemi che si erano creati uno dietro l'altro.
Da quando lo avevo scoperto, il mio unico pensiero era stato quello di ritrovare Ace per riportarlo da me, senza dare molto peso al fatto che aspettavo un bambino.
Sentii le lacrime, farsi prepotenti nei miei occhi ancora chiusi.
"Mamma" pensai "Spero tu sia orgogliosa di me, anche se sono diventata ciò di cui tu hai sempre avuto paura. Ho intrapreso una strada diversa, da quella che avresti sperato per tua figlia, ma spero che tu comprenda l'amore che lega me ed Ace. Lo amo con tutta me stessa e ti prometto, che sarò una brava madre. Proprio come lo sei stata tu per me. Anche se..." le lacrime uscirono lentamente dai mie occhi, bagnandomi le ciglia "...condivideremo lo stesso destino infame, di crescere i nostri figli, senza la presenza del padre".
Nel pensarla, percepii una presenza vicino a me.
Non sapevo che se era solo frutto della mia immaginazione, o c'era davvero qualcosa.
Decisi comunque di non aprire gli occhi, per poterla percepire meglio.
Sospirai, rassegnata all'idea che mai sarei riuscita ad uscire da lì, senza che fosse Garp a liberarmi.
Chissà se aveva già parlato con Sengoku.
Chissà cosa stava succedendo lì fuori.
Non sentivo nulla, in quel buco isolato dal mondo.
Ero sotto terra dopotutto è a diversi chilometri dalla piazza principale dove si sarebbe svolta l'esecuzione di Ace tra poche ore.
Dovevo solo aspettare che tutto finisse in fretta, e rassegnarmi al mio destino.
Stavo quasi per addormentarmi dalla stanchezza, quando improvvisamente sentii una guardia emettere un gemito di dolore e cadere a terra.
Aprii gli occhi, pensando di essermelo immaginato, ma notai davvero la guardia a terra priva di sensi.
Una figura si muoveva nell'ombra, furtiva e veloce.
«Chi c'è?» chiese l'ultima guardia allarmata rimasta in piedi, dopo aver avvertito il pericolo.
Si guardò intorno, cercando il nemico, ma non ebbe il tempo di accorgersi di lui, che un colpo alla nuca lo fece cadere a terra, lasciando anche lui privo di sensi.
Mi alzai, sentendo le gambe leggermente addormentate, mentre vidi una sagoma cominciare a gesticolare in modo veloce con la serratura della mia cella.
Era un uomo alto, dalla corporatura esile, ma ben allenata.
Non riuscii a distinguerlo bene, con la poca luce che c'era nel corridoio.
In più, indossava una tunica nera e un capello dello stesso colore, perciò mi era impossibile capire chi fosse.
Dopo svariati tentativi, e piccole imprecazioni, l'uomo riuscì ad aprire la serratura e ad entrare.
Si avvicinò a me, ed istintivamente feci un passo indietro, schiacciando la schiena sul muro dietro di me.
«Non voglio farti del male» mi disse una voce calda e delicata, mantenendo un profilo basso.
«Chi sei? Che cosa vuoi?» chiesi sulla difensiva.
«Voglio portarti via da qui» ammise lui, facendo un altro passo verso di me.
«Fermo!» esclamai allungando una mano verso di lui «Senti, sei stato gentile a liberarmi, ma non ti avvicinare».
«Hai paura di me?» mi chiese con uno strano tono: sembrava divertito.
«Non dovrei?» chiesi ancora sulla difensiva «Per quel che ne so, potresti far parte della ciurma di Barbanera».
«Non ho niente a che fare con Barbanera e i suoi scagnozzi. Mi ripugna solo pronunciare il suo nome » disse subito lui «Se sono qui, è soltanto perché sentivo di doverlo fare».
Lo guardai confusa, non capendo le sue parole.
Chi diavolo era quel tizio?
Sospirò, togliendosi poi il cappello a cilindro.
Avanzò verso la poca luce che penetrava nella cella, per permettermi di osservarlo bene.
Una volta che misi a fuoco la sua figura, notai immediatamente dei capelli mossi e biondi, una cicatrice ben visibile sulla parte sinistra del viso, e due occhi grandi e neri che mi osservavano con preoccupazione e serietà.
Misi una mano tremante davanti alla bocca, incredula, mentre osservavo quel ragazzo che avevo imparato ad amare come un fratello che nel tempo era diventato un uomo stupendo.
«Sabo» mormorai incredula.
«Ciao, Emy» disse lui sorridendomi debolmente.
Sentii le lacrime rigarmi il viso, mentre con due lunghi passi lo raggiunsi per abbracciarlo forte.
Era diventato così alto, forse anche più di Ace.
Non ne ero certa e poco m'importava in quel momento.
Mi accarezzò con una mano la testa, che gli arrivava a metà del petto, mentre con l'altra mi strinse a sé.
Aveva sempre lo stesso odore.
Negli anni il suo aspetto era cambiato, era cresciuto giustamente come tutti noi, ma il suo profumo delicato di biancospino era rimasto.
Mi riportò subito alle mente i vecchi tempi, quando mi consolava, dopo che Ace mi aveva fatta piangere per l'ennesima volta in una giornata.
«Mi sei mancata» sussurrò dolcemente stringendomi a lui ancora più forte.
«Anche tu» dissi senza trovare la forza di lasciarlo.
Ci stringemmo per un lungo tempo, prima che Sabo sciogliesse l'abbraccio.
«Sbaglio o sei ingrassata?» mi chiese divertito.
Sorrisi debolmente, vergognandomi un po' del fatto che avesse sentito la pancia a contatto col suo corpo, ma di certo, non potevo nascondere a mio fratello che presto sarebbe diventato zio.
«Diciamo che ho appena inziato» ammisi, alzando la camicia bianca, scoprendo il mio pancino un po' troppo cresciuto.
Sabo abbassò lo sguardo confuso, per poi rilassarlo immediatamente, assumendo un'espressione incredula.
Mi guardò con la bocca semiaperta, incapace quasi di respirare dallo shock.
«Sei incinta?» mi chiese con un sussurro, quasi avendo paura di fare quella domanda, anche se la cosa era ovvia ai suoi occhi.
Annuii senza dire una parola.
Non c'era chissà quale cosa da dire in quel momento, il mio corpo parlava da solo, dopotutto.
Allungò lentamente una mano verso il mio ventre, senza nemmeno pensarci.
Probabilmente, la vista di un pancione faceva venire voglia a tutti di toccarlo.
Ritrasse subito la mano, prima di sfiorarmi.
«Posso...?» mi chiese dopo qualche secondo di silenzio, con timore.
Gli sorrisi per rassicurarlo, per poi annuire.
Allungò nuovamente una mano per poi posarla delicatamente sul mio ventre, accarezzandolo con premura.
A quel contatto così caldo, mi sentii rilassare.
Era da molto che nessuno mi toccava la pancia in quel modo.
Persino io avevo un tocco più pesante.
«Ace lo sa?».
«Sì. Anche se non da molto».
«E nonostante le tue condizioni, sei venuta qui?».
«Non potevo starmene a casa e aspettare».
«La solita testarda!» sbottò lui per poi sbuffare.
Si mise una mano sui capelli, scuotendoli.
Era un gesto che faceva spesso anche Ace quando era nervoso.
Solo in quel momento, mi resi conto di quanto si somigliavano.
«Che c'è?» chiesi leggendo la sua espressione cambiare improvvisamente.
«Avevo un piano, ma...questo cambia le cose» disse dando una veloce occhiata al mio ventre, che avevo ricoperto con la camicia.
«Che tipo di piano?».
«Non ha più importanza» tagliò corto «Non si può più fare. Sarebbe troppo pericoloso per il bambino».
«Posso farlo!».
«No!» sentenziò lui «Non se ne parla! Non ti permetterò di combattere nel tuo stato».
«Ma...».
«Ti prego» mormorò prendendomi il viso tra le mani e avvicinandosi a me «Ascoltami. Il tuo fisico non può sopportare uno scontro. Lascia che ci pensi io. Libererò Ace. Tu devi solo...stare tranquilla».
«Comincio ad essere stanca di sentirmelo ripetere» sbottai acida.
Sorrise divertito. «Promettimelo».
Rilassai le spalle, tanto era inutile discutere con lui.
«Va bene».
«Andrà tutto bene. Devi solo...».
«Se dici "stare tranquilla", ti tiro un pugno».
Rise. «Sempre la solita acidona, vedo. Sono felice che in questo tu non sia cambiata».
Gli sorrisi, complice delle sue parole.
I suoi ricordi erano anche i miei.
Rendendosi conto della sua vicinanza improvvisa al mio viso, Sabo tolse la mani schiarendosi la voce.
Imbarazzata quanto lui, abbassai lo sguardo.
«Quello cos'è?» mi chiese, indicando il mio collare, cercando di cambiare discorso.
«Algamatolite. Un materiale che è in grado di togliere i poteri a chi ha mangiato un frutto del mare. Almeno finché ne viene a contatto».
«La Marina ha pensato proprio a tutto» commentò lui sbuffando subito dopo «Vedo se riesco a togliertelo».
«Lascia stare. Devi usare le chiavi per farlo. Non si può forzare la serratura, ben che meno romperlo. È troppo resistente».
«Allora, cercheremo le chiavi» ammise lui, senza perdersi d'animo, ghignando divertito.
Mi era mancato il suo sorriso è la sua positività.
Era un'iniezione di vita ogni volta.
Improvvisamente, un suono assordante di un microfono si propagò nell'aria, facendoci mettere istintivamente le mani sulle orecchie, per non restarne assordati.
«Che succede?» chiesi confusa.
«Non lo so» ammise lui.
«C'è una cosa importante di cui voglio informarvi» disse una voce famigliare al lumaconfono, sembrava Sengoku «Voglio spiegarvi il motivo per cui, l'esecuzione del condannato in questo luogo sia per noi un profondo significato...>».
«Esecuzione?» chiese Sabo «Di già?».
«Non avrebbe dovuto essere prima di questa sera. Non credo siano passate già sei ore».
«No, infatti. Avrebbe dovuto essere fra tre ore» continuò Sabo, per poi stare in silenzio.
Sengoku aveva ricominciato a parlare.
«Dunque, Ace. Raccontaci un po'. Come si chiama tuo padre?» chiese l'uomo con tono tranquillo.
Ci fu un momento lunghissimo di silenzio.
«Maledetto!» mormorai «Se Garp ha spifferato anche questo alla Marina, giuro che quando esco di qui lo faccio secco con le mie mani» ringhiai, cominciando a tremare dal nervoso.
«Il nome di mio padre è Barbabianca» rispose Ace con serietà.
Sembrava così stanco...
Sentii una morsa al cuore.
«NON È VERO!» esclamò ad alta voce Sengoku.
«SÌ, È LA VERITÀcontinuò Ace alterandosi «È L'UNICO PADRE CHE ABBIA AVUTO. NON C'È STATO NESSUN'ALTRO».
«Ace...» mormorai sentendomi pronta a piangere nel ripensare quanto quell'odio che avevo provato all'inizio per mio padre, alla fine si fosse trasformato in rispetto.
«Basandoci su delle vaghe informazioni, forniteci dalla Chyper Pool, anni fa abbiamo cercato disperatamente un bimbo figlio di un pirata. Avevamo solo una debole pista, semplici voci che conducevano ad una certa isola...».
"Baterilla" pensai, ricordando ciò che avevamo passato quel giorno di qualche anno prima, quando condussi Ace tra le grinfie della nonna.
«Abbiamo indagato su tutti i neonati. I nascituri e le giovani madri del luogo. Tuttavia, malgrado gli sforzi, non abbiamo trovato assolutamente nulla».
«Ma di che sta parlan...?» mi chiese Sabo confuso.
«Shh!» zittii Sabo tappandogli la bocca con una mano.
«E non poteva essere altrimenti. Tua madre ha dato la vita per portare a termine la gravidanza, con un espediente impensabile. Frutto di un grande amore materno..».
Sentii un sussulto alla pancia.
Il mio bambino aveva ripreso a muoversi.
Mi misi una mano sul ventre, e piano piano si calmò, dandomi un po' di sollievo.
Chissà quante volte, Rouge aveva compiuto quel gesto mentre aspettava Ace.
«Grazie a questo trucco è riuscita a ingannarci, anzi è riuscita a imbrogliare il mondo intero. Nel mare meridionale, c'è un isola che si chiama Baterilla...».

𝕆𝕟𝕖 ℙ𝕚𝕖𝕔𝕖 - Due Cuori, Un Solo Fuoco-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora