Verità Celata

518 34 7
                                    

                               Emy

Ero certa che fosse un sogno.
Ne ero sicura perché, prima di tutto mi trovavo nella mia vecchia casa, quella in cui ero cresciuta, e poi perché ero seduta a tavola accanto a mia madre, morta molti anni prima.
Non era cambiata per niente, la ricordavo proprio così. La pelle leggermente olivastra e morbida, capelli lisci e neri, sorriso stupendo e i suoi inconfondibili occhi da cerbiatta.
Mi guardò improvvisamente, sorridendomi come aveva abitudine fare ogni volta che i suoi occhi incrociavano i miei. Quando mi accarezzò la testa, gesto usuale per lei, mi resi conto di essere ancora una bambina. Era una scena già vista, già vissuta.
«Mangia la minestra, da brava», mi disse dolcemente, facendomi notare con gli occhi che ne avevo ancora molta nel mio piatto.
«Sì, mamma», risposi con una tonalità così acuta che a stento mi riconobbi.
Mi rimisi a mangiare, alzando di tanto in tanto lo sguardo verso di lei.
Mi piaceva molto guardarla.
Era sempre stata una donna tranquilla e molto dolce.
Il mio sogno, era quello di diventare una donna esattamente come lei.
Per me era la perfezione.
Stavamo continuando la nostra cena, ridendo e scherzando come facevamo sempre quando, a un certo punto, un rumore assordante proveniente da fuori ci distrasse.
Qualcuno stava bussando ferocemente contro la porta della nostra casa.
Mamma scattò in piedi e si bloccò, facendomi segno di fare silenzio. Il mio cuore cominciò a battere più veloce, e un senso di paura mi pervase.
«Donna! So che ci sei. Apri la porta o la butto giù», disse un uomo con voce prepotente, continuando a battere il pugno sul legno massiccio.
«Emy», sussurrò mia mia madre, abbassandosi alla mia altezza «Vai in camera e esci dalla finestra. Mi raccomando, senza farti vedere».
«Ma che stai dicendo, mamma? Chi è alla porta?», Chiesi confusa.
Un altro colpo forte ci fece sobbalzare.
«Ascoltami bene. Una volta fuori, corri fino al porto. Lì c'è una locanda gestito da un uomo e sua figlia. Parla con lui e digli chi sei. Saprà cosa fare. Nasconditi lì e restarci finché non ti vengo a prendere».
La guardai confusa, mentre un altro colpo alla porta la fece scattare in piedi.
«Allora, donna! Ti do altri dieci secondi per aprire, poi sfonderò la porta», urlò nervoso l'uomo.
«Vai!», mi incitò lei agitata, spingendomi verso la mia camera.
«Mamma...».
«Ho detto vai!», Mi ordinò con un tono che non ammetteva repliche.
Mi spinse dentro la camera e chiuse a chiave. In quel momento, un tonfo assordante provenì dalla cucina.
«Che cosa volete?», Chiese mia madre, cercando di mantenere un tono calmo.
«Sei tu, Rose Price?»,Chiese l'uomo con tono prepotente.
«Sì», rispose lei dopo un momento di silenzio.
«Sappiamo che hai una figlia», aggiunse arrogante l'uomo «Dov'è?».
«Una figlia?», Ripeté mai madre, fingendo di non sapere niente «Mi dispiace. Io non ho figli».
Ma che stava dicendo?
Sentii un tonfo e capii immediatamente che il tavolo era stato buttato a terra insieme ai piatti. Un gemito lo seguì.
«Vedi di non mentirmi», ringhiò l'uomo minaccioso «So benissimo che la bambina di nasconde qui».
Misi una mano davanti alla bocca per non urlare.
Che cosa voleva da me? E perché aveva picchiato mia madre?
«Lei non c'è», mormorò mia madre dolorante.
«Dove si trova?», Chiese l'uomo sempre più privo di pazienza.
«Se n'è andata», rispose lei, abbozzando una risatina nervosa «Non la troverete mai».
Sentii un silenzio snervante e poi un tonfo, seguito da un gemito di mia madre.
Quel maledetto l'aveva scaraventa a terra.
Stavo cercando la chiave di riserva per aprire la porta, volevo picchiarlo, quando a un tratto parlò di nuovo.
«Guarda lì dentro», ordinò arrogante l'uomo a qualcuno.
«Subito, comandante», rispose un ragazzo.
Sentii dei passi farsi vicini a me.
Il cuore cominciò a martellarmi nel petto.
Corsi alla finestra e uscii di fretta, pochi secondi prima che l'uomo aprisse la porta della mia stanza con un calcio. Mi rannicchiai sotto la finestra, facendomi sempre più piccola nell'erba alta.
«Qui non c'è nessuno, signore», disse l'uomo più giovane, controllando anche fuori dalla finestra.
«Dimmi dov'è la bambina, donna!», Urlò l'uomo, per poi dare un altro schiaffo a mia madre.
Mi tappai nuovamente la bocca per non urlare, mentre le lacrime cominciavano a scendermi vigorose sul viso.
Dovevo fare qualcosa per aiutarla o chissà cosa le avrebbe fatto quel mostro.
Mi rimisi in piedi e corsi a più non posso verso il villaggio. Presi la strada per la locanda: anche se non c'ero mai stata, sapevo dove si trovava. Dovevo solo correre e chiedere aiuto.
Solo correre a più non posso, e finalmente avrei trovato...
Ero talmente presa dai pensieri che andai a sbattere contro qualcosa, e caddi come un sacco di patate. I miei occhi era così bagnati dalle lacrime che non riuscii a vedere chi avevo davanti. Riuscii a distinguere solo una grande figura sfocata di un uomo altissimo e grande come un armadio vestito di tutto punto e dall'aria scorbutica.
«E tu chi sei?», Mi chiese lui.
Mi alzai da terra, cercando di asciugarmi le lacrime. Solo in quel momento lo vidi per la prima volta.
«Perché piangi, piccola?», Mi chiese ancora, con una tale dolcezza che mi disarmò.
Senza che avessi il controllo del mio corpo, mi aggrappai a una sua gamba e strinsi forse il tessuto dei suoi pantaloni.
Scoppiai di nuovo a piangere.
«La prego, mi aiuti. Mia madre è in pericolo. Lui... Lui la sta picchiando», dissi tra i singhiozzi.
«Chi la sta picchiando?», Chiese l'uomo con la sua voce roca e confusa.
«Non lo so. È un uomo cattivo. Lui... sta cercando me».
Le parole mi uscirono strozzate, ma erano abbastanza chiare per far capire che la situazione era seria.
«Te?», Chiese l'uomo facendo una breve pausa «Come ti chiami, piccola?».
Tirai su col naso. «E-Emy Price», balbettai, alzando gli occhi per guardarlo.
Lo vidi fare un'espressione strana.
Sembrava turbato e scioccato allo stesso tempo.
«Price, hai detto?», Chiese lui incredulo.
Annuii senza capire il motivo della sua domanda, ma non m'importava in quel momento. Dovevo salvare mia madre.
«Mi aiuterà?», Chiesi pregando dentro di me che dicessi di "sì".
Si guardò intorno, come per accertarsi che nessuno ci stesse osservando... poi si abbassò verso di me.
«Ascoltami bene, piccola. Io mi chiamo Monkey D. Garp e faccio parte della Marina Militare», disse a bassa voce, mettendo le mani sulle mie spalle «Devi dirmi esattamente dove si trova la tua casa».
«Salverà mia madre?», Chiesi sentendo la speranza riaccendersi in me.
«Farò il possibile per aiutarla», disse lui con tono gentile «Te lo prometto».
I suoi occhi mi ispirarono subito fiducia, sebbene avesse l'aria da duro.
«Io e mamma stiamo circa a un miglio da qui. Dopo il fiume, laggiù», risposi indicando una stradina buia dietro di me «È l'unica casa lì».
«Va bene. Tu resta qui, al resto ci penso io».
Si alzò in piedi e si incamminò nella direzione che gli avevo indicato.
«Posso venire con te?».
«No, ma puoi nasconderti. Trova un posto sicuro, poi verrò a prenderti insieme alla tua mamma», disse allontanandosi da me a passo veloce.
Mi voltai con l'intenzione di raggiungere la locanda che mi aveva detto mia madre, ma qualcosa dentro di me mi bloccò.
La rabbia cresceva sempre più forte.
Volevo andare da quel mostro che aveva osato mettere le aveva messo le mani addosso e fargli rimpiangere di essere nato. Ero solo una bambina, ma sapevo picchiare duro. Una vocina dentro di me mi disse di correre alla locanda e nascondermi, ma alla fine l'impulsività ebbe la meglio.
Stavo per voltarmi per tornare a casa, quando vidi la gente, che poco prima mi stava passando accanto, bloccarsi e guardare un punto preciso. Le donne urlarono, e gli uomini restarono di sasso. Sembrava stessero guardando tutti una scena orribile. Mi voltai di scatto e vidi del fumo nero alzarsi in cielo. Proveniva da un posto che riconobbi subito.
Casa mia stava bruciando.
Corsi a perdi fiato, imbucando una scorciatoia che solo io conoscevo. Sentivo il cuore in gola a ogni passo che facevo. Più mi avvicinavo e più l'odore di bruciato di faceva intenso.
Dovevo arrivare in tempo...
Dovevo salvare mamma...
Quando arrivai, vidi Garp a pochi metri dalla casa mentre la osservava bruciare.
Era solo.
Gli altri se n'erano già andati.
«Mamma!», Urlai disperata.
Garp si voltò a guardarmi, mentre io corsi sperando di raggiungere mamma in tempo.
Prima che potessi avvicinarmi alla casa, Garp mi afferrò impedendomi di proseguire.
«Sei impazzita, mocciosa? Vuoi morire bruciata?».
«Devo salvare mamma! Lasciami, scimmione!», Urlai ancora, sentendo il calore del fuoco cominciare a scaldarmi il viso.
«Non possiamo più fare più niente per tua madre. Siamo arrivati tardi. Sta' ferma, piccola!», mi disse lui cercando di trattenermi, mentre io mi dimenavo come un serpente.
«Mammaaa!», urlai disperata, mentre le fiamme bruciava quello che ormai era divenuto il mio passato.

𝕆𝕟𝕖 ℙ𝕚𝕖𝕔𝕖 - Due Cuori, Un Solo Fuoco-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora