A Prima Vista

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«Lasciami andare, scimmione! Io non ci voglio andare a vivere da quella strega!», protestai, mentre mi agitavo nella speranza di liberarmi dalla stretta decisa di quell'uomo, che si era insinuato nella mia vita, solo tre giorni prima: Garp.
«Maleducata di una mocciosa! La vuoi smettere di agitarti come un pesce appeso all'amo?», ringhiò il vecchio rompiscatole, che mi aveva appena rapita dal mio villaggio.
«Mi stai facendo male!».
«Se non ti fossi rifiutata di camminare con le tue gambe, non sarei stato costretto a trasportarti come un sacco di patate. Perciò, non lamentarti, ragazzina!», brontolò, infastidito dal mio comportamento.
«Ormai sono cresciuta. Sono in grado di prendermi cura di me stessa. Non c'è bisogno che mi porti a vivere con nessuno».
«Ma sentila. Ha solo tredici anni, e già sa cosa significa responsabilità», commentò divertito.
«Certo che lo so!», risposi sgarbatamente, per poi mordergli la spalla, sperando che mi lasciasse andare, ma fu tutto inutile.
«Sei davvero fastidiosa!», brontolò irritato e dolorante, mentre mi afferrava per il colletto della maglietta, portandomi di fronte a lui.
«Lasciami andare!», ripetei, urlando ancora più forte, mentre davo pugni nell'aria.
«E dove pensi di andare? Sentiamo», m'interrogò.
«Voglio andare in mare, alla ricerca del mio papà», risposi, senza smettere di muovermi.
«Stai forse impazzita? Vorresti andare a cercare un pirata? Non se ne parla. Tu diventerai un marine, come i due marmocchi che conoscerai tra poco. È chiaro?».
Gli feci la linguaccia. «Scordatelo!», esclamai, dandogli un calcio sul naso.
«Maledizione!», esclamò lui, dolorante, rimettendomi sulla sua spalla, come una scimmia con il suo piccolo.
Mi stringeva così forte che sentivo di essere intrappolata in una morsa.
«Mi stai facendo male! Mettimi giù!».
«Cose da non credere. Davvero pensi che ti lascerò andare in mare da sola, alla ricerca di una persona morta?».
«Mio padre non è morto! Me lo ha detto la mamma!», ringhiai.
Come poteva permettersi di dire tali sciocchezze?
«Tuo padre è morto, proprio come tua madre. Per questo motivo, ti sto portando a casa di Dadan. Sei rimasta orfana e io non posso prendermi cura di te».
«Nessuno te l'ha chiesto!».
«Tua madre me l'ha chiesto!», continuò lui, irritato. «Quindi, smettila di dimenarti e comportati bene!».
«Sei un bugiardo! Non conosci veramente la mia mamma. Lasciamiii!».
Lo sentii sospirare. «Se fossi stata una bambina normale, ti avrei affidato a qualcun altro, senza esitazione», mormorò, tra sé e sé.
«Io sono una bambina normale», lo corressi, ancora più irritata di prima.
Chi credeva di essere?
«Hai capito o no, che quello che hai mangiato, era un frutto del diavolo?», mi urlò contro, ormai in preda a una crisi isterica.
Coprii le orecchie con le mani, per evitare di essere assordata.
«E come avrei potuto sapere che era un frutto del diavolo? Avevo fame e quella era l'unica cosa commestibile a portata di mano».
«Tua madre non ti ha insegnato che non bisogna mangiare le cose che non si conoscono?».
«Certo che lo ha fatto!», esclamai, ribadendo la mia posizione, senza timore del suo tono di voce. «Ma non vedo perché tu debba prendetela tango. Alla fine, non ho ottenuto alcun potere», affermai, un po' delusa.
Avevo letto molte storie sui frutti del diavolo e i poteri che contenevano, ma non avevo avvertito alcun cambiamento, dopo averne mangiato uno. Forse il mio era difettoso.
«Lo hai, eccome!», ruggì lui. «Semplicemente, non ne sei ancora consapevole. E francamente, preferisco che tu sia lontana dagli abitanti del villaggio, quando lo scoprirai».
«Ma...».
«Basta, signorina!», m'interruppe il vecchio con un tono autoritario. «Farai come dico, senza protestare! In caso contrario, sarò costretto ad adottare misure che avranno conseguenze negative per te».
«Minacciare una bambina. Sei davvero uno scimmione antipatico!», replicai con tono amaro.
«Chiudi il becco!», urlò lui, così forte, che la sua voce risuonò nell'intera foresta, spaventando persino alcuni uccelli che volarono via, gracchiando di paura.

Garp non mollò la presa su di me, fino a quando non arrivammo di fronte a una modesta casa di legno, con dei panni stesi come unica decorazione.
Prima di bussare, mi lasciò andare, facendomi cadere sul soffice terreno coperto d'erba.
«Rimani qui e non ti muovere!», mi ordinò.
In risposta, incrociai le braccia e le gambe, voltando la testa dall'altra parte con un'espressione irritata.
«Neanche fossi un cane», borbottai, irritata.
Senza degnarmi di attenzione, il vecchio si diresse verso la porta di legno, e cominciò a bussando con forza.
«Se continui così, la butterai giù», lo avvertii con arroganza.
«Zitta, mocciosa! So quello che faccio», ribatté, irritato, continuando a bussare.
In quel momento, una donnona alta e grassa, si affacciò dalla porta con un'aria infastidita.
«Ma insomma, chi sta facendo tutto questo baccano? E soprattutto, chi disturba a quest'ora?».
«Sono iooo!», urlò Garp, in risposta.
Appena i loro sguardi s'incrociarono, la donna impallidì e si ritirò di qualche passo. Dal suo viso, potei dedurre che conosceva bene lo scimmione.
«G-Garp, cosa ci fai qui?» balbettò lei, cercando di mantenere la calma. «Se è per Luffy, sappi che sta bene e-».
«Mi fa piacere sentirlo, ma non sono qui per questo», la interruppe lui, rivolgendo poi lo sguardo verso di me.
La donna si spostò leggermente per vedere oltre il massiccio corpo di Garp e, dopo avermi guardata attentamente, impiegò solo un paio di secondi, prima di spalancare la bocca scioccata.
«M-ma q-quella è una b-bambina», balbettò ancora, indicandomi con un dito.
«Però, che occhio», commentai con arroganza, ormai esausta di quella scenetta.
«N-non vorrai mica-», continuò lei.
«Te ne dovrai occupare», la interruppe di nuovo Garp.
La donna rimase in silenzio. Sembrava aver perso la voce, ma ci volle poco, perché si rendesse conto della situazione.
«Stai scherzandooo?», urlò, così forte, da spaventare uno stormo di uccelli. «Non me la farai, un'altra volta!».
«Be', dovrai farlo, donna. Questa bambina è rimasta orfana della madre, morta una settimana fa. Non ha nessuno che possa prendersi cura di lei».
«E quindi, ti sono venuta in mente io? Ascolta Garp. Sono stufa di fare da balia, ai mocciosi che mi porti!».
In quel momento, uscirono due uomini che si fermarono dietro di lei.
Uno era molto piccolo, alto forse mezzo metro più di me, dallo sguardo annoiato, mentre l'altro era altissimo, dalla pelle scura e con i capelli che ricordavano la cresta di un gallo.
Entrambi avevano un'espressione stupida, anche se leggermente più simpatica di quella che possedeva la strega.
«Cosa succede, Dadan?» chiese l'uomo dalla cresta di gallo.
«Perché stai urlando?» domandò il nanetto con voce nasale, confuso quanto il suo amico.
Appena videro Garp, entrambi impallidirono. Lo scimmione doveva essere un vero e proprio incubo, per loro.
«Garp! Che piacere rivederti. Cosa ti porta qui?» balbettò l'uomo dalla cresta di gallo, cercando di mantenere la calma, anche se non riuscii a ingannarmi: era chiaro che quei tre stavano sudando freddo.
Garp lanciò loro, un'occhiata veloce. «Tra poco lo scoprirete», tagliò corto il vecchio, rivolgendo di nuovo lo sguardo alla donna. «E allora? Non hai nulla da dire, Dadan?».
«E cosa dovrei dire? Ho libertà di scelta, adesso?» sbottò lei irritata, incrociando le braccia sul petto.
«Ti ho sempre dato, la scelta di decidere», rispose lui con tono tranquillo.
«Certo. Scegliere, se passare il resto della vita in galera o crescere le canaglie che mi porti».
«È sempre una decisione presa in piena libertà», ammise Garp con leggero tono ironico. «Sapete, non mi va di ricordarvi sempre la vostra collezione di reati, ma se proprio devo...», aggiunse, mettendosi a ridere subito dopo.
I tre si afflosciarono davanti a lui, come fiori appassiti al sole.
«Ma non è giusto!», dissero i tre, all'unisono.
Alzai gli occhi al cielo. «Che gente», commentai, senza preoccuparmi se mi avessero sentita o meno.
«Scusa, Garp, posso farti una domanda?», continuò Dadan. «Sei sicuro che la piccola si sentirà a suo agio, qui?».
«Già», intervenne il nano. «In fin dei conti, è solo una bambina, e qui siamo tutti maschi, tranne Dadan, anche se non ne siamo così sicuri», borbottò, tra sé e sé.
«Cosa hai detto?», sbraitò la strega contro il suo amico, colpendolo in testa con un pugno che lo fece cadere a terra stordito.
Scossi la testa, sospirando. «Che banda di idioti». Erano ancora più buffoni di quanto pensassi.
«La piccola si adatterà benissimo», tagliò corto Garp. «Dovrà solo abituarsi ai vostri ritmi».
«Adattarsi?», ripeté Dadan, poco convinta. «Se non lo sai, quei due pestiferi che hai portato qui, sono un incubo. Ace è qui da tredici anni e ancora fa quello che gli pare, senza ascoltare nessuno. Senza parlare di tuo nipote, che lo segue come un papero con sua madre. E ora, vuoi rifilarci un'altra seccatrice?».
Stanca di ascoltarla parlare di me, e di essere insultata, decisi di porre fine a quella sceneggiata senza senso.
Mi alzai in piedi, furiosa. «Adesso basta!», urlai, picchiando il piede a terra e stringendo i pugni. «Per vostra informazione, nemmeno io sono entusiasta di stare qui con voi. E, onestamente, sembrate solo un branco di imbecilli! E tu, brutta strega, ti conosco da pochi minuti e già vorrei picchiarti!».
La donna esplose di rabbia. «Taci o ti sfondo la faccia, ragazzina maleducata!», sbraitò, mentre i suoi amici la trattennero per impedirle di avvicinarsi a me.
Io non mi scomposi. «Non appena ne avrò l'opportunità, scapperò da qui», ammisi, incrociando le braccia sul petto.
«Perché non te ne vai subito, e ci risparmi la fatica di mandarti via?», chiese, improvvisamente, una voce sconosciuta alle mie spalle.
«È arrivato Ace dalla caccia», esclamò soddisfatto il signor Gallo.
Mi voltai bruscamente e, per la prima volta, i miei occhi incrociarono delle iridi nere come pozze di petrolio, cgr mi fissanlvano in modo serio e privo di emozioni.
A prima vista, quel bambino lentigginoso con i capelli neri e ribelli, sembrava avere la mia stessa età. Notai che teneva una canna da pesca, appoggiata sulla sua spalla destra. All'improvviso, dietro di lui comparve un altro bambino molto più piccolo e basso, che indossava un cappello di paglia con una fascia rossa. Trascinava, quasi senza sforzo, un pesce almeno venti volte più grande di lui.
Tutto ciò mi lasciò sbalordita.
«Ah, Ace e Luffy. Siete qui, ottimo», esclamò Garp con gioia, notando i due ragazzi avvicinarsi. «Sono felice che siate tornati così presto. Voglio presentarvi una persona, la vostra nuova sorella, Emy».
«Ti ho già detto che non voglio rimanere qui!», ribattei acida, al vecchio.
«Qual è il problema? Non siamo abbastanza "raffinati" per te?», chiese Ace, senza scomporsi, dopo aver dato un'occhiata veloce ai miei abiti che erano decisamente più eleganti dei suoi: sembrava un pescatore.
In effetti, ero abituata a frequentare persone decisamente più educate di loro, nonostante il mio carattere burbero lasciasse pensare il contrario. Mia madre era molto conosciuta nel villaggio per la sua grazia e compostezza, quindi si era fatta molti amici di una certa "classe", anche se nessuno sull'isola poteva davvero definirsi nobile, salvo rare eccezioni.
Ferita nell'orgoglio, e sentendo il bisogno di difendere il mio onore, avanzai con i pugni stretti verso il ragazzino lentigginoso, con l'intenzione di colpirlo sul naso, quando sentii Garp afferrarmi nuovamente per il colletto della maglietta.
Mi sollevò in aria, facendomi raggiungere lo stesso livello del suo naso.
«Lasciami! Voglio rompergli il muso! Come osa, parlarmi in quel modo? Lasciami!», urlai, dimenandomi incessantemente.
Ace sospirò, deluso. «Un'altra isterica».
«Sta' calma, terremoto. Questo è tuo fratello Ace. Da oggi dovrai convivere con lui, quindi cerca di andarci d'accordo», disse Garp.
«Cosa? Guarda che io non ho ancora deciso nulla!», intervenne Dadan.
Tutti la ignorammo.
«Convivere con lui?», urlai. «Preferisco essere divorata da una tigre».
«Se vuoi, ne conosco una che sarebbe felice di averti come spuntino», ammise Ace, con un ghigno divertito.
«Lo vedi che mi istiga? Lasciami andare. Voglio chiudergli quella bocca!», urlai ancora, dimenandomi come un pesce appena pescato.
Notai l'atteggiamento sfacciato di Ace, farsi sempre più evidente sul suo volto, indicando che provocarmi gli aveva dato soddisfazione.
«Una sorella, che bello», esclamò entusiasta il moccioso, dietro di lui. «Mi chiamo Luffy», proseguì, avanzando verso di noi, per poi porgermi la mano.
Mi lasciai andare a un sospiro esausto, smettendo di dimenarmi. Alla fine... Doveva andare così.
«Il mio nome è Emy», sospirai, cercando di calmarmi.
A che scopo agitarsi in quel modo, quando avevo capito che il mio destino era ormai segnato?
Sarebbe stato meglio conservare le energie, per quando mi sarei trovata da sola con Ace.
Gli avrei sicuramente sferrato un pugno, non appena ne avessi avuto l'opportunità.
«Brava, comportati bene», disse Garp, appoggiandomi delicatamente a terra.
Non appena mi lasciò, fulmini Ace con lo sguardo. Iniziai a fissandolo con crescente irritazione, notando che anche lui mi stava fissando nello stesso modo.
Sentivo dentro di me che non avrei mai potuto andare d'accordo, con quel tipo.
Al contrario, Luffy sembrava molto più collaborativo e gentile.
«Vedrete che tra qualche giorno  diventerete dei buoni fratelli», commentò Garp con sicurezza.
«Posso dire la mia?», urlò Dadan, stanca di essere ignorata.
«Certo, parla!», rispose lo scimmione con tono irritato, girandosi verso di lei per fulminarla con lo sguardo.
Dadan e gli altri sbiancarono nuovamente, per poi riprendersi all'improvviso, e dire all'unisono: «Saremo felici di avere qui, la piccola Emy».
«Esattamente, ciò che volevo sentire», ammise Garp. «Tornerò a trovarvi, quando avrò tempo».
«Immagino che dovrò considerare le spese per il vitto e l'alloggio, anche per lei», borbottò Dadan.
«Ti crea problemi?», domandò Garp con tono arrogante.
«C-certo che no», balbettò la donna, gentilmente. «Come sempre, ci basta la tua protezione, onorevole Garp».
«Bene», grugnì lui. «Tornerò presto. Comportatevi bene, voi tre», disse, dandoci un'ultima rapida occhiata, per poi andarsene senza voltarsi indietro.
Aveva davvero avuto il coraggio, di lasciarmi in quel luogo miserabile, in compagnia di individui del genere?
«Ma come faremo a sfamare un'altra persona?», domandò l'uomo gallo, ai suoi amici.
«In qualche modo, ce la faremo. Ora, chiudi il becco e andiamo a mangiare», rispose la strega, arrogante. «Ace! Luffy! Portate dentro quel pesce», continuò, sparendo dentro casa.
Senza proferire parola, Ace fu il primo a mettersi in movimento, superandomi senza battere ciglio, seguito da Luffy e dal suo pesce gigante.
«Ehi, moccioso!», lo chiamai con arroganza, ma Ace non mi diede minimamente importanza. Continuò il suo cammino verso casa, senza disturbarsi di voltarsi a guardarmi.
Se pensava che fossi una di quelle tipiche ragazzine che correvano a piangere dietro l'angolo, sperando di ricevere conforto da qualcuno, si sbagliava di grosso. Non avevo intenzione di permettergli di insultarmi in quel modo, e lasciarlo andare indisturbato. Non ero una persona debole e glielo avrei dimostrato presto.
Lo seguii con passo deciso all'interno della dimora, notando l'oscurità che l'avvolgeva e la mancanza totale di arredamento. Per non parlare dell'odore intenso che si respirava.
Tutti sembravano essersi improvvisamente dileguati, quindi iniziai a cercarli, sperando di trovarne qualcuno presto, quando sentii una presa sulle mie spalle, percependo, subito dopo, qualcosa di sottile e affilato appoggiarsi delicatamente sulla mia gola.
«Ehi, ragazzina. Chi sei?», mi chiese l'uomo che mi stringeva così forte, da impedirmi di muovermi.
«Ma cosa-?».
«Dammi tutti i tuoi soldi, altrimenti ti faccio fuori», m'interruppe.
«Ma io non ho soldi», ammisi, cercando di mantenere la calma.
Quello era un rifugio per squilibrati!
«Allora, chiedili ai tuoi genitori e poi portaceli», insistette lui.
«Io... Non ho genitori», mormorai, provando un vuoto dentro di me nel pronunciare quelle parole.
«Non è possibile che tu non abbia nemmeno un parente, qui. Come sei arrivata nella nostra dimora?».
«Mi ci ha portato uno scimmione».
«Uno scimmione, dici? E non ha un nome? Magari, possiamo chiedere a lui i soldi».
«Lo scimmione è Garp», disse tranquillo l'uomo nano, che comparve all'improvviso accanto a noi.
Il mio assalito s'irrigidì, nell'udire quel nome. Era evidente che la mia deduzione fatta, qualche minuto prima su Garp, era corretta.
«C-che? G-Garp ha portato questa moccioss, qui?», balbettò l'uomo, che ancora mi teneva minacciosamente l'arma puntata alla gola. «Questa casa sta diventando un asilo», si lamentò, lasciandomi andare.
«State zitti, banda di imbecilli! Ora è l'ora di pranzo, quindi venite a mangiare, senza perdere altro tempo», brontolò Dadan, sbattendo a terra il piatto più grande che avessi mai visto.
Nessuno se lo fece ripetere due volte e, da ogni angolo, apparirono diversi uomini con la bava alla bocca, vestiti con la stessa tunica beige, che si avventarono sul piatto gigante pieno di cosciotti di maiale fumanti.
Ma in quanti erano dentro quella casa?
Cominciarono a divorare la carne con così tanta voracità, che sembrava fossero a digiuno da una settimana.
Osservai disgustata alcuni di loro litigare per lo stesso pezzo di cibo, come se fossero animali selvatici.
Mi venne la nausea a guardare quella scena.
Ogni minuto che passavo lì dentro, era un minuto speso a pensare a quanto sarei voluta scappare da quel postaccio infernale.
Presa dallo sconforto, mi avvicinai a Dadan sedendomi di malavoglia accanto a lei.
Avrei preferito riposarmi altrove, ma quello sembrava essere l'unico posto libero.
E anche l'unico dove sarei stata al sicuro da quel branco di uomini affamati.
Chissà, avrebbero potuto scambiarmi per un cosciotto e divorarmi senza accorgersene.
«Tieni», disse improvvisamente la donnaccia, allungandomi una ciotola di riso bianco e un bicchiere d'acqua.
Guardai confusa ciò che mi stava porgendo, per poi guardarla in silenzio.
«Che c'è? Non hai fame, per caso?», mi chiese lei, già irritata dal fatto che non li avessi ancora accettati.
«Perché io non posso mangiare la carne come loro?».
«Sei qui da solo pochi minuti e già pretendi? Hai idea di dove ti trovi? Sei nel covo della famiglia Dadan. I banditi che controllano Monte Corvo».
«E allora?», domandai, facendo spallucce.
«E allora?», ripeté sbraitando, puntandomi il dito contro. «Voglio farti presente che non sono per niente felice di averti qui con noi, ma non ho potuto farci nulla. Se non ti sta bene quello che ti diamo da mangiare, puoi pure andartene. Fatti divorare dalle bestie del bosco, se preferisci. A me non importa».
«Andiamo, Dadan. Non ti agitare così», mormorò l'uomo gallo alle sue spalle, cercando di calmarla.
«Tanto non ho fame», mentii incrociando le braccia al petto.
Garp quel giorno mi aveva svegliata davvero prestissimo, facendomi saltare la colazione.
Percependo qualcuno mangiare vicino a me, spostai lo sguardo per capire chi fosse e vidi Ace seduto accanto a Luffy, entrambi impegnati a divorare, con poca eleganza, dei cosciotti di carne.
In quella famiglia erano tutti dei maiali.
Sebbene il loro modo di mangiare mi disgustasse, il mio stomaco reclamava un po' di cibo.
Al movimento della mia bocca affamata, Luffy notò la mia presenza e, senza dire una parola, allungò uno dei cosciotti intatti verso di me.
Il mio cuore sussultò per un momento a quell'atto di gentilezza, percependo l'acquolina in bocca, mentre quel pezzo di cibo si avvicinava al mio viso, ma prima che potessi afferrarlo, Dadan lo prese dalle mani del bambino e se lo portò alla bocca per poi addentarlo.
«Fammi chiarire una cosa, mocciosa», disse con la bocca piena. «Questa preda proviene da un bisonte che Ace ha cacciato di persona, aiutato dal piccolo Luffy e l'ha messa in tavola, perché una parte del bottino spetta a noi. Se vuoi mangiare qualcosa di diverso dal riso, dovrai guadagnartela lavorando per me».
«Lavorare?».
«Esattamente. Dovrai ramazzare, fare il bucato, lucidare le scarpe, pulire le armi e poi ti daremo da rapinare e truffare la gente. E guai a te, se dici qualcosa a Garp di quello che fai qui».
«Non ho intenzione di sottostare alle tue regole, megera», urlai.
«Allora dovrai procurarti il cibo da sola», urlò Dadan in risposta, per poi calmarsi. «Non aspettarti un trattamento speciale, solo perché sei una femmina. Sarai trattata esattamente come gli altri. Nessuno ti aiuterà a crescere quassù».
«Sai che me ne importa. Ho già detto addio alla mia felicità», mormorai, notando Ace alzare uno sguardo curioso verso di me.
Dadan si arrabbiò e, come successe poco prima, i suoi amici la fermarono prima che potesse colpirmi.
Restai ferma ad osservare la scena, quando notai, con la coda dell'occhio, un movimento alla mia sinistra. Vidi Ace alzarsi e abbandonare la stanza senza dire una parola, dopo che ebbe finito di mangiare.
Sorrisi compiaciuta che avesse deciso di andarsene proprio in quel momento.
Era la mia occasione per ricevere le scuse che meritavo. E dopo come mi aveva trattata quella mattina, le avrei avute ad ogni costo, anche se fossi stata costretta a ficcargli la testa nella terra.

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