Figlio Di Un Mostro

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Era ormai un po' che camminavamo silenziosi verso casa di Dadan.
Le ferite che avevamo riportato non erano profonde, ma abbastanza dolorose da rallentare la nostra andata.
Al contrario di tutti, io ero quella meno infortunata fisicamente, nonostante avevo riportato un taglio sotto la clavicola, che mi doleva più di quanto davo a vedere.
Avevo decido di non dire ai ragazzi della ferita, perché non mi andava di dare l'impressione di essere debole: soprattutto a Ace.
Ero certa che non si sarebbe fatto scappare l'occasione di prendermi in giro, e non avevo nessuna voglia di litigare: ero troppo stanca.
«Sei certa di stare bene?», Mi chiese Sabo con tono preoccupato, dopo avermi vista fare una smorfia di dolore.
Immediatamente rilassai il viso, per non destare sospetti.
«Tranquillo, Sabo. Sono solo stanca», mentii raddrizzando la schiena, procurandomi una fitta alla clavicola, che però riuscii a non far notare ai suoi occhi.
«D'accordo. Ma se dovessi stare male, fammelo sapere, intesi?», Insistette lui, premuroso.
«Non l'hai sentita? Ha detto che sta bene», si intromise Ace con il suo solito tono arrogante.
«Scusami, se cerco di essere gentile», brontolò Sabo «Dopotutto, è una ragazza».
«E cosa c'entra?», Domandò Ace confuso e irritato.
«Ecco...», Sabo diventò improvvisamente rosso in faccia, e cominciò a grattarsi la nuca con fare imbarazzato «Be', io so che bisogna essere sempre gentili con le donne», ammise.
Ace fece spallucce. «Bah».
Sabo non disse più nulla, limitandosi solo a darmi una veloce occhiata, per poi tornare a guardare diritto.
«Ace ha ragione», dissi «Non voglio un trattamento speciale, solo perché sono una ragazza. Preferisco essere trattata come fareste con un maschio».
«Per me non sei neanche quello», ammise Ace acido.
Con uno scatto mi voltai verso di lui, fulminandolo con lo sguardo.
«E quindi, cosa sarei se non sono né un maschio né una femmina?», Ringhiai, pronta a colpirlo con un pugno.
Ace mise le braccia dietro la testa per sostenerla, chiuse gli occhi e rispose «Per me sei semplicemente un mostro mutante».
Fui grata che avesse gli occhi chiusi, così non poté vedere il mio pugno arrivargli dritto in faccia.
Ace cadde a terra, tenendosi la guancia con espressione dolorante.
«Ma sei fuori?», Urlò, massaggiandosi la guancia «Mi hai fatto malissimo, cavolo!».
Sabo e Luffy si misero a ridere.
«Ace, dovresti vedere la tua faccia», disse il piccoletto tra le lacrime.
«Begli amici, siete. Mettersi a ridere in questo modo», ringhiò Ace per nulla divertito.
«Scusami, ma è esilarante. Tu che ti vanti tanto di essere un duro, sei stato atterrato da una ragazza», disse Sabo ormai senza fiato.
Ace si alzò lentamente senza staccare la mano dalla guancia ormai gonfia, mi fissò con aria severa cercando di intimorirmi, ma io non mossi un muscolo, anzi, alzai un sopracciglio in segno di sfida.
«Che c'è? Il signorino si è arrabbiato?», Chiesi con tono arrogante e divertito.
«Non provocarmi, cosina! Se voglio, posso atterrarti in mezzo secondo».
«Libero di provarci... koala».
Ace fece un passo avanti verso di me, ma Sabo si piazzò davanti a lui per braccarlo.
«Andiamo, ragazzi. Non vi sembra che abbiamo combattuto abbastanza, per oggi? Io direi di andare a dormire, e di dimenticarci questa storia».
Luffy sbadigliò sonoramente. «Io ho tanto sonno», mugugnò, sfregandosi un occhio con fare da bambino.
«Siamo tutti stanchi», ammise infine Sabo voltandosi verso di me «Vieni, Emy. Fammi strada».
Mi prese delicatamente per un braccio, trascinandomi avanti con lui, facendo evitare al mio sguardo di incrociarsi ancora con quello di Ace, mentre il moretto sbuffò sonoramente per poi iniziare a seguirci con aria irritata.

Io e Sabo fummo i primi ad arrivare e, una volta entrati lentamente dalla porta principale, venimmo accolti da una Dadan ronfante, seguita a ruota da tutti gli altri banditi.
«Quanto fracasso», bisbigliò sbigottito Sabo.
«E questa sera sono silenziosi», dissi.
Sabo si mise una mano sulla bocca per bloccarsi dall'esplodere a ridere.
Avanzammo di qualche passo, quando ci accorgemmo entrambi che Ace e Luffy non erano dietro di noi.
«Ma dove sono finiti?», Mi chiese Sabo, ma io in risposta feci spallucce.
In quel momento, vedemmo Ace entrare a passo lento con Luffy addormentato sulla sua schiena.
«Che è successo?», Chiesi preoccupata.
«Questo idiota si è addormentato di botto», commentò Ace irritato.
Io e Sabo cercammo in tutti i modi di trattenere le risate: Luffy era sempre il solito.
Scossi la testa e salii le scale, seguita a ruota da Sabo e gli altri, fino ad arrivare alla nostra camera.
Aprii la porta, e feci segno al biondino di seguirmi.
«Questa è la vostra stanza?», Chiese Sabo confuso.
«Già. L'unica che ci hanno dato».
Sabo si grattò la testa con un dito, mentre Ace entrava a sua volta per poggiare Luffy sul materasso.
«Qualcosa non va?», Chiesi notando la perplessità di Sabo.
«No, è solo che... ecco... credevo fosse più grande», ammise lui.
«È sicuramente più grande, del buco dove dormivi prima», commentò Ace.
«Sì, ma noi siamo in quattro, e questa stanza è massimo per due persone... credo che dovremmo... stringerci», mormorò Sabo lanciandomi l'ennesima occhiata quella sera, per poi arrossire.
Io e Ace ci guardammo confusi.
«Ma ce l'ha con me?», Chiesi a Ace a bassa voce.
«E chi lo sa», rispose lui facendo spallucce.
«Bene, ehm... io dove mi metto?», Domandò Sabo curioso.
«Puoi stare vicino a me e Luffy. Emy dorme sempre accanto alla porta», rispose Ace.
«Perché?».
«Sempre meglio che dormire accanto a quel rompiscatole di Ace. Non fa altro che russare».
«Io non russo», sbottò Ace irritato, voltando la testa da un lato e incrociando le braccia al petto con fare infantile.
«Sì, certo», dissi con tono ironico.
«Va bene, va bene. Dormirò vicino a loro», concluse il discorso Sabo, per evitare di sentire altre discussioni.
Dopo esserci accordati per la notte, lasciai che i ragazzi si sistemassero prima di sdraiarmi a mia volta sul mio materasso.
Provai a girarmi su un fianco, ma il dolore stava diventando insopportabile e dare peso alla parte dolorante non mi aiutava.
Di lì a poco, cominciai a sentire i loro respiri pesanti, segno che ormai si erano addormentati: avevano fatto in fretta.
Approfittai della situazione per uscire dalla stanza e dirigermi in cucina, alla ricerca di un disinfettante.
Dopo svariate ricerche, finalmente riuscii a trovare dell'acqua ossigenata e del cotone e a passo lento, uscii di casa.
Arrivai al laghetto dove andava sempre Dadan a lavare i panni, che stava poco lontano dall'abitazione, e mi sedetti sull'erba.
La brezza fresca mi aiutò a rilassarmi.
La luna piena e le stelle si riflettevano sull'acqua, donando al tutto un'atmosfera magica, ma non potevo perdere tempo.
Nel modo in cui sentivo pulsare il taglio, intuii che si stava già infettando.
Abbassai la maglietta fino a lasciar scoperta la parte dalla spalla alla clavicola, appena poco sopra quel leggero seno, che stava cominciando a formarsi sul mio petto, e controllai.
«Che stai facendo?», Mi chiese improvvisamente una voce dietro di me.
Urlai dallo spavento e mi voltai, guardando quell'idiota di Ace che mi osservava con aria confusa dietro un cespuglio.
«Brutto idiota! Mi hai spaventata a morte», brontolai, portandomi una mano sul petto e cercando di far calmare il mio cuore.
«Quante storie», commentò lui con fare da menefreghista, avvicinandosi a me.
«Non stavi dormendo?», Sbottai acida.
«Sì, però mi sono alzato per andare in bagno, ma non ti ho vista, quindi...».
«Quindi, per evitare che Dadan ti faccia saltare il pasto per colpa mia, sei venuto a cercarmi. Ho capito», lo interruppi infastidita «Se è per questo, te ne puoi anche andare. Non sto cercando di scappare».
«A dire il vero, ho notato che non stavi bene, e quindi ho deciso di venire a controllare per vedere se avevi bisogno di aiuto».
Sgranai gli occhi confusa, ma il mio stupore durò poco: non potevo credere che quel menefreghista di Ace, fosse diventato improvvisamente gentile, specie se si trattava di me.
«Mi riesce difficile crederlo», ammise, facendogli capire con lo sguardo che non ero rimasta incantata dalle sue parole.
Lui si sedette accanto a me, e mi rivolse uno sguardo serio.
Posò gli occhi sulla bottiglietta che avevo in mano e sul cotone accanto a me, per poi ghignare soddisfatto.
«Quindi, avevo ragione», disse, ammiccando un sorriso beffardo.
«Sta' zitto», ringhiai, girandomi per dargli le spalle.
«Fammi vedere».
«No!».
«La pianti di essere così scontrosa? Voglio solo controllare che non si sia infettata».
«So farlo benissimo anche da sola. Non ho bisogno del tuo... ehi!».
Prima che potessi finire la frase, mi sentii afferrare per il braccio e girare velocemente nella direzione opposta.
Ad aspettarmi, c'erano gli occhi tenebrosi di Ace che mi guardavano con aria, severa, in completo silenzio.
Il mio cuore sussultò per un momento, ma fu abbastanza per farmi provare una strana sensazione di disagio e imbarazzo, da cui sentivo di dover scappare.
«Lasciami», dissi tra i denti con tono minaccioso.
«Preferiresti lo facesse Sabo?», Mi chiese con tono quasi irritato.
«Certo che no», risposi stufa di quelle sue domande stupide.
Vidi spuntare nuovamente quel ghigno soddisfatto sul suo viso, cosa che mi fece irritare ancora di più.
«Allora, lasciami vedere», insistette.
«No!».
«Perché no?».
«Perché è in un punto... delicato», ammisi imbarazzata.
«E cosa cambia?», Domandò lui confuso.
«Cambia per me», ammisi, liberandomi dalla sua presa con uno strattone.
Lo sentii sbuffare sonoramente. «Be', non posso vedere se tengo gli occhi chiusi. Dove si trova esattamente?».
Alzai gli occhi al cielo, e senza guardarlo in faccia, indicai il punto sotto la clavicola.
«E quello sarebbe un punto delicato?», Mi chiese confuso.
«Per me lo è. Sono una ragazza, ricordi?».
«Non sei stata tu a dire che vuoi essere trattata come un maschio?».
Feci per parlare, ma mi zittii subito.
Aveva ragione.
Non volevo un trattamento speciale da parte di nessuno, e ora che Ace mi stava trattando come volevo... mi vergognavo?
Sospirai. «Va bene, ma fa' in fretta».
«Togliti la maglietta», mi ordinò lui, con tutta la tranquillità del mondo.
«Cos-no! Non ci penso nemmeno», mi sentii avvampare «Sposto solo questo lato, se vuoi farlo tu, altrimenti mi arrangio», aggiunsi afferrando con un dito il colletto della maglia.
«Un maschio se la sarebbe tolta», mi fece notare lui dando voce ai suoi pensieri, afferrando scocciato la bottiglietta di acqua ossigenata.
Sospirai irritata, e guardando la luna riflessa sull'acqua, tirai giù lentamente la maglia fino a scoprire la parte della clavicola.
Mi sentii nuovamente avvampare, e sperai con tutta me stessa che Ace non notasse il rossore che si era appena creato sulle mie guance.
Con la coda dell'occhio lo vidi mettere un po' di disinfettante su del cotone, che poi posò con estrema accuratezza sulla ferita.
Chiusi gli occhi e mi mossi all'indietro a causa dell'improvviso bruciore che percepii, ma riuscii a non urlare.
«Sta' ferma», mi disse tenendomi con una mano poggiata sull'altra spalla «Sei proprio una femminuccia».
«Sta' zitto», brontolai, mentre strinsi gli occhi soffrendo in silenzio.
«Ti fa così male?», Mi chiese distrattamente, addolcendo il tono.
Evidentemente, aveva notato la mia espressione.
Accennai velocemente un "sì" con la testa, e lo sentii avvicinarsi a me.
Allarmata, riaprii velocemente gli occhi.
«Che fai?», Domandai confusa cercando di arretrare con la schiena, ma la sua presa mi tenne salda al mio posto.
Avvicinò le labbra fino ad arrivare a un centimetro dalla mia ferita, e cominciò a soffiarci sopra.
L'aria fredda che emanò la sua bocca mi fece venire i brividi, e ben presto cominciai a tremare sia per il freddo, che per l'imbarazzo.
Vedere quella massa di capelli corvini così vicini al mio petto, mi fece battere il cuore all'impazzata.
Avevo paura di fare qualsiasi movimento.
Lo avrei spinto via, ma alla fine si stava prendendo cura di me, e un gesto del genere avrebbe potuto fargli pensare che ero un'ingrata, perciò optai per restare immobile e lasciarlo finire.
Grazie all'aria, notai che il bruciore stava diminuendo, e fui grata di questo.
Cominciai a rilassarmi, quando lo vidi alzare la testa.
I nostri sguardi si incrociarono e per un istante, il suo viso fu vicinissimo al mio.
Avrei voluto dire qualcosa, ma un colpo di singhiozzo mi impedì di parlare.
Ace decise di allontanarsi con sguardo basso, fingendo che nulla fosse successo.
«Non dovrebbe restarti la cicatrice», mormorò poi, estraendo un cerotto di garza dalla tasca dei suoi pantaloncini.
«E quello?», Domandai confusa.
«Te l'ho detto che avevo notato che stavi male, no?».
Abbassai lo sguardo imbarazzata, e lo sentii applicare il cerotto sulla ferita con delicatezza.
«Penso che tra qualche giorno starai meglio».
«G-grazie», balbettai, ricoprendomi con la maglietta «Non me lo sarei mai aspettata da te».
«Che cosa?».
«Che mi aiutassi, dopo ciò che è successo tra noi».
Restammo in silenzio per un po', non sapendo cosa dire a causa di quella situazione che stava diventando sempre più strana.
Io e Ace non facevamo altro che litigare, e quando non accadeva, era solo perché ci eravamo fermati a pensare a cosa avremmo potuto fare, per toglierci di mezzo a vicenda.
Ora invece, mi aveva trattata con gentilezza e rispetto, perciò provavo una profonda sensazione di gratitudine nei suoi confronti.
«A cosa ti riferisci esattamente, quando dici "Ciò che è successo tra noi"?», Mi chiese, senza smettere di fissare il riflesso della luna sul lago.
«Be', a tutto... credo. Ormai, lo hanno capito anche i muri, che tra noi non scorre buon sangue».
«Ed è così?».
«Che vuoi dire?».
«Mi odi?», Mi chiese, spostando lo sguardo per guardarmi diritto negli occhi.
Deglutii nervosamente.
Perché improvvisamente mi aveva fatto una domanda del genere?
A che gioco stava giocando?
«Perché hai questa ossessione di voler sapere che cosa pensa di te la gente?», Chiesi esausta, ma curiosa di conoscere il motivo di quelle sue insistenti domande.
Lentamente, Ace tornò a guardare l'acqua calma del lago davanti a noi.
I grilli cantavano, il vento leggero soffiava di tanto in tanto, e notai anche qualche lucciola che ci svolazzava vicina.
Era una serata magnifica.
«Chiunque odierebbe una persona, in cui nelle cui vene scorre... il sangue di un mostro», ammise con tono stranamente cupo.
Restai sbalordita dalle sue parole.
Quindi era così che Ace la pensava?
Odiava così tanto suo padre, che era arrivato alla conclusione di reputarlo un mostro?
«Perché dici questo?».
«Perché un mostro è quello che sono. Non avrei mai dovuto nascere. Mi sono sempre posto una domanda: "Cosa avrebbe pensato la gente, sapendo che Gold Roger aveva un figlio?". Un giorno cominciai a porla a ogni passante che incontravo. Ricevevo risposte diverse, ma tutte basate su un'unica cosa: l'odio verso mio padre».
«Così... tu credi di essere un mostro, solo perché tutti pensano questo di tuo padre?».
«A causa sua, mia madre è morta. Io fin dalla nascita ho dovuto nascondermi qui, come se fossi un ladro, crescendo nella paura che, se avessero mai scoperto la mia esistenza, mi avrebbero ucciso. Per colpa sua, non potrò mai vivere una vita normale. Non potrò mai essere amato da nessuno. Sono felice che sia morto».
Pronunciò ogni parola con un disprezzo e un odio così profondo, che potei percepire la sua rabbia repressa fino al mio cuore.
«La morte di tua madre è stata solo una disgrazia. Ogni tanto succede», gli dissi, sperando di fargli capire che non era colpa sua se sua madre non c'era più.
«Se mio padre non l'avesse messa incinta, lei non sarebbe morta. Entrambi, le abbiamo portato solo guai».
Avrei voluto dire qualcosa per confortarlo, ma provava così tanto disprezzo verso quell'uomo che, ero certa, ogni parola sarebbe stata inutile.
Abbassai lo sguardo e cominciai a giocherellare con le mie unghie, in cerca di conforto.
«Io non voglio avere figli, quando sarò grande».
Alzai lo sguardo per osservarlo confusa. «È ancora presto, per pensare a certe cose. Sei ancora un bambino».
«No, io ho già deciso», ammise serio «La stirpe di Roger finirà con me».
«Lo dici perché non sei innamorato», lo rassicurai «Quando si ama, tutto è diverso. Anche ciò che ci ha sempre fatto paura, alla fine risulta una stupidaggine, quando trovi la persona giusta con cui affrontarla. Sarai un uomo diverso da tuo padre».
Sospirò. «Vedremo», dissi per poi restare in silenzio per qualche secondo «Non riesco a capire la fissazione che ha Luffy, sul diventare il Re dei Pirati», aggiunse, cambiando discorso.
Lo guardai sorpresa, che avesse tirato fuori un discorso di cui ancora non sapevo nulla.
«Il nanetto vuole diventare il prossimo Re dei Pirati?», Chiesi incredula.
«Non fa altro che ripeterlo. Quel moccioso è un pazzo».
Mi misi a ridere
«Perché ridi?», Mi chiese Ace, confuso.
«Niente, è solo che... Te lo immagini Luffy adulto con i baffi, che urla a tutti "Sono il Re dei Pirati", mentre un branco di marine lo insegue con i fucili?».
Ace ci pensò un momento, mettendosi a ridere subito dopo nell'immaginare la scena, e il suo sorriso mi rasserenò.
Era la prima volta che lo vedevo ridere, e quella visione mi fece venire un leggero brivido di piacere allo stomaco.
Dovevo ammettere che, quando non mi brontolava contro o mi guardava male, era decisamente più carino di tutti i ragazzi, che avevo avuto modo di incontrare al villaggio.
Ci guardammo per una manciata di secondi con espressione serene, per poi tornare subito seri, schiarendoci la voce.
Su certi aspetti eravamo uguali, questo ormai lo avevamo capito.
«Che tipo di pirata vuoi diventare?», Gli chiesi curiosa, cercando di sviare il discorso.
«Che tipo... di pirata?», Ripeté lui confuso.
«Penso che avrai un'idea, su che uomo vorrai essere un giorno».
Lo vidi pensarci su, ma solo per qualche secondo.
«So solo che diventerò un lupo di mare», ammise con una strana luce negli occhi «E sconfiggerò chiunque intralci il mio cammino. Guadagnandomi la gloria che molti sognano. Soltanto allora, sarà valso vivere la mia vita».
Le sue parole mi pervasero l'anima come una scossa elettrica.
Non potei che restare emozionata dal suo discorso.
Ace era più intelligente e maturo di quello che voleva far credere.
Lo guardai sorridendo senza avere la forza di trattenermi, e lui si voltò a guardarmi confuso.
«Perché mi guardi così?», Mi chiese.
«Così», risposi frettolosamente, distogliendo lo sguardo.
Restammo in silenzio per qualche secondo, prima che cominciasse a mugugnare.
Si schiarì la voce e, dopo essersi stiracchiato, si alzò in piedi e mi porse la mano.
«Sarà meglio rientrare o Dadan ci farà fuori entrambi, se non ci trova nei nostri letti».
«Sì», dissi afferrando la sua mano, sentendo un leggero batticuore a contatto con le nostre pelli «Meglio rientrare».

𝕆ℕ𝔼 ℙ𝕀𝔼ℂ𝔼

Il giorno dopo fu la voce da orchessa di Dadan a svegliarci.
«Ace, Emy, Luffy mi volete spiegare chi è quello?», Brontolò la megera già arrabbiata.
«Dadan, di chi parli?», Chiese Luffy mettendosi seduto due secondi sul materasso, per poi crollare di nuovo.
«Dadan, è ancora presto. Parla piano», brontolò Ace, mimando gli stessi movimenti di Luffy.
«Non te l'ha detto nessuno che svegliare le persone è maleducazione?», Le chiesi mimando a mia volta i movimenti dei miei amici.
Sabo fece lo stesso, però senza dire una parola, avendo sentito il baccano che la vecchia stava facendo.
«Che cosa ci fa qui, un altro moccioso?», Chiese ancora lei, questa volta con più calma «Parla! Tu chi sei?».

«Dici a me?», Mugugnò Sabo alzandosi in piedi, mentre si sfregava un occhio dal sonno «Io sono Sabo, piacere. Tu sei Dadan?», Chiese lui con il suo solito sorriso a cui mancava un dente.
«Sabo?», Ripeté Dadan pensierosa «L'ho già sentito questo nome».
«Bene, allora possiamo saltare le spiegazioni», continuò lui sorridendo «Da oggi, starò qui con voi», disse infine, prendendo amichevolmente la mano di Dadan.
La donna fu sorpresa di quel gesto, a tal punto da lasciare immediatamente la presa.
«Come scusa? Stai dicendo che vorresti venire a vivere con noi?», Ringhiò lei.
Sabo sorrise, e lo sentii mollare un peto.
«Sabo!», Lo rimproverai, mettendomi una mano sul naso a causa della puzza che stava invadendo la stanza.
«Vergognati! Che modi sono?», Sbraitò Dadan irritata.
Sabo rise imbarazzato grattandosi la testa con un dito.
Ne mollò un altro.
«Oh, oh», esclamò il biondino.
«Ma la vuoi finire?», Chiese Ace tappandosi il naso.
«L'aria si sta facendo pensante qui dentro», commentò Luffy, anche lui con il naso tappato.
«Non ti voglio in questa casa», urlò Dadan «Ho sentito dire che sei un moccioso impossibile, una vera peste».
«Ah, sì? E io ho sentito dire che tu sei una vecchia bisbetica», ammise Sabo in risposta, marcando bene le ultime due parole.
Soffocai una risata sotto le lenzuola: di certo, non era uno che le mandava a dire.
«E sentiamo, chi avrebbe detto queste cose su di me? E comunque, non ho alcuna voglia di prendermi in casa un altro moccioso», brontolò Dadan sempre più irritata.
«Però, ho anche saputo che non sai dire di "no", a qualcuno che ha bisogno del tuo aiuto», aggiunse Sabo cercando di addolcirla un po'.
«Uhm?», Grugnì l'orchessa dai capelli rossi e crespi.
«Anche se sei un po' acida e irascibile, in fondo sei un'altruista», continuò Sabo.
Sperai che Dadan prendesse la parte positiva della frase, ma...
«Sarei acida e irascibile? È questo che pensano in giro?», Sbraitò lei, sull'orlo di esplodere «Se becco chi l'ha detto...»
Aveva preso la parte cattiva della frase.
Sabo continuò a ridere con un'espressione da ebete sul volto.
Dadan lo fissò con tutta la cattiveria che aveva in corpo, e proprio quando sembrava che stesse per esplodere, sospirò rilassandosi subito.
«Se volete vivere tutti qui non ci sono problemi, ma intendiamoci bene, mocciosetti. Io vi do un tetto sopra la testa, ma in cambio voi dovrete darvi da fare qui dentro, ci siamo capiti?».
«Grazie infinite, Dadan», la ringraziò Sabo continuando a ridere, mollando un altro peto.
«Smettila», urlammo in coro noi ragazzi, compresa Dadan.

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