Il Segreto Di Barbabianca

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Quella notte non riuscii a chiudere occhio.
L'idea che Barbabianca era sulla stessa nave su cui mi trovavo io, insieme alla voglia di volerlo incontrare, mi impedivano di addormentarmi.
Non avevo idea di che ore fossero, ma la nave sembrava completamente deserta.
Non si sentiva alcun suono se non il rumore delle onde e qualche cigolio di legno.
Spostai lo sguardo verso Ace che dormiva beatamente accanto a me a pancia in giù, e con un braccio sul mio addome che mi faceva come da barriera.
Quante ne avevamo passate, da quando prendemmo la decisione di andarcene da Monte Corvo.
Eppure, nonostante le difficoltà eravamo ancora insieme.
Ancora non riuscivo a credere di essermi innamorata di lui, e non potevo esserne più felice.
Mi allungai per dargli un bacio, provando a uscire dal letto.
Dovevo vedere Barbabianca il prima possibile.
Avevo un sacco di domande in testa e solo lui poteva rispondermi.
Provai a spostare il braccio di Ace per uscire dal letto, quando lo sentii stringermi ancora di più.
Sospirò svegliandosi, per poi aprire lentamente gli occhi.
«Che fai?» Mi chiese assonnato.
«Volevo uscire per prendere una boccata d'aria», mentii sperando che si rimettesse a dormire.
«Dopo l'ultima volta, non uscirai mai più a prendere una boccata d'aria senza scorta», brontolò lui, girandosi a pancia in su, iniziando a strofinarsi gli occhi per svegliarsi.
Sorrisi. «Sono al sicuro qui».
«E chi te lo dice?».
«So per certo che l'unica persona al mondo abbastanza stupida da attaccare la nave di Barbabianca, è proprio accanto a me».
Sorrise alle mie parole, per poi sospirare.
«Comunque, non ci vai da sola», ribadì, tornando a guardarmi.
Sbuffai sonoramente, per poi sistemarmi meglio accanto a lui.
«Non puoi proteggermi da tutto», gli dissi accarezzandogli il viso con le dita.
«Posso invece! E lo farò!» Tagliò corto lui, girandosi su un lato per guardarmi.
«Mettendo a rischio la tua vita?».
«La mia vita non ha valore senza di te», ammise lasciandomi di stucco «Ancora non hai capito quanto ti amo?».
«Ace...».
«Lo so che sembrano frasi fatte, e probabilmente lo sono. Ma non esiste nessuno al mondo che possa amarti più di quanto ti amo io».
Gli sorrisi, per poi congiungere le mie labbra con le sue in un bacio delicato.
«La stessa cosa vale per me», ammisi sentendomi il cuore pieno di gioia «Ti amo, pirata da strapazzo».
Ace sorrise e si avvicinò a me per continuare a baciarmi, approfondendo sempre di più quel contatto.
Un bacio delicato che si era trasformato ben presto alla ricerca passionale della lingua dell'altro.
Feci scivolare una mano sulla sua schiena, facendo aderire i nostri corpi ancora di più.
Mi era mancato così tanto che volevo sentirlo il più possibile.
In tutta risposta, Ace fece andare una mano sulla mia natica, stringendola con una presa ferrea, ma delicata imponendomi poi di alzare la gamba per posarla sul suo fianco.
Percepii la sua erezione cominciare a crescere, e sfregare sulla mia intimità. Entrambe erano coperte solo dai nostri indumenti intimi, ma potevo sentire la sua parte delicata gonfiarsi sempre di più in maniera molto percettibile.
Improvvisamente, quel contatto mi ricordò il bestione nella nave di Mellow quando mi venne a prendere per portarmi da lui...
Il ricordo della sua erezione che premeva contro di me mi fece saltare, facendomi perdere il controllo.
Mi scansai istintivamente, sentendomi il cuore in gola.
Mi misi seduta frettolosamente, tenendomi la testa tra le mani.
«Che succede?» Mi chiese Ace preoccupato «Stai male?».
Ansimavo in preda al panico.
Per quanto avevo cercato di dimenticare l'accaduto, sentivo che era ancora vivo nella mia mente.
«Stai tremando», mi fece notare Ace, posando una mano sul mio braccio «Chiamo Deuce!» Aggiunse, spostando le coperte per uscire dal letto.
«No!» Esclamai, fermandolo per un polso «Sto bene».
«Come fai a stare bene? Sei impallidita all'improvviso, e stai tremando».
«Ti prego, fidati di me... sto bene», ripetei, cercando di calmarmi.
Non volevo che lo sapesse.
Non volevo che conoscesse la verità su ciò che mi avevano fatto su quella nave.
Avrebbe rovinato tutto.
Ace si sarebbe sentito in colpa e io mi sarei sentita ancora più uno schifo.
C'eravamo ritrovati da pochi giorni, non volevo allontanarlo.
«Cosa devo fare?» Mi chiese preoccupato.
Gli misi una mano intorno al collo e portai nuovamente le mie labbra sulle sue.
Lo baciai disperatamente, cercando di pensare che ora stavo con l'uomo che amavo.
Non correvo alcun pericolo con lui.
Ero al sicuro.
«Ehi...» Sussurrò Ace cercando di rispondere al bacio, senza capire il mio improvviso cambio di umore «Che fai?».
Senza dire una parola continuai a baciarlo spingendolo a sdraiarsi sul letto.
Mi misi sopra di lui senza staccare le labbra dalle sue, cominciando ad accarezzargli i capelli, le braccia, il petto... fino a scendere con una mano sul suo addome, dove cominciai a giocare con l'elastico dei suoi boxer che uscivano appena dai bermuda.
«Emy...» Bisbigliò tremante, cercando di allontanarmi dolcemente, spingendomi per le spalle «Non posso».
«Ti prego», lo implorai sentendomi una stupida, ma non potei farci nulla «Ho bisogno di te».
Senza che ne avessi il controllo, una lacrima rigò la mia guancia.
Ace rimase con la sua espressione preoccupata, non capendo cosa dovesse fare.
Sapevo che aveva paura di farmi di nuovo del male, ma non ce la facevo più.
Non volevo avere paura di lui.
Non volevo rovinare quella parte del nostro rapporto, per colpa di ciò che mi era successo.
Non volevo rinunciare ancora al nostro amore.
Dopo avermi guardata a lungo, senza dire una parola Ace mi accarezzò una guancia, per poi alzarsi leggermente per baciarmi.
Ricambiò il mio bacio intenso e disperato, contrendo i muscoli e l'addome.
Non volevo costringerlo, ma avevo davvero bisogno di lui: gli abbracci non mi bastavano più.
Si stese sul letto, trascinandomi con lui.
Fece scivolare le braccia sulla mia schiena, accarezzandomi le natiche.
Dopo qualche secondo, sentendo la sua esitazione, presi le sue mani e le portai sul mio seno.
«Qui», sussurrai, per poi tornare a baciarlo.
Sorridendo a causa della mia impazienza, cominciò ad accarezzarlo, facendo aderire le mani in modo da poterlo afferrare meglio. Gemetti a quel contatto, mentre sentivo la sua erezione ricominciare a premere sotto di me.
Allungai una mano sul suo membro per accarezzarlo, ma non appena sentì il mio tocco mi fermò.
«Aspetta», ansimò in preda dall'eccitazione, mettendosi seduto e costringendomi ad alzarmi.
«Ace...» Lo implorai, cercando di muovermi sopra di lui per incitarlo a lasciarmi proseguire.
«Non così», ansimò ancora, spostandomi leggermente con le mani «Facciamo a modo mio, stavolta».
«Che vuoi dire?».
«Girati», mi ordinò dolcemente.
Mi tolsi da sopra di lui, mettendomi con le ginocchia e i gomiti sul letto, per poi percepire le sue labbra sulla mia schiena mezza scoperta.
Mi morsi il labbro inferiore gustandomi a occhi chiusi quel tocco delicato e sensuale allo stesso tempo.
La sua lingua si muoveva a ritmo delle sue labbra, disegnando piccoli cerchi umidi sulla mia pelle che mi fecero rabbrividire.
Portò una mano sulla mia intimità ancora coperta dalle mutandine e mi accarezzò dolcemente, stimolandomi con le dita.
Gemetti cercando di trattenermi, affondando la testa sul cuscino per non farmi sentire.
«Non trattenerti», mi disse sensuale all'orecchio «Voglio che tutti sappiano che sei mia, e mia soltanto».
«Prima dovresti... ah... farmi tua», ammisi ansimando, sentendomi sempre più accaldata.
«Non questa notte», disse lui «Ma posso fare questo».
Si raddrizzò, per sistemarsi meglio dietro di me. Posò le sue labbra sulla mia intimità ormai umida ancora coperta, cominciando a baciarmi e ad accarezzarmi con la lingua.
Fatto in quella posizione mi sembrò strano, ma estremamente piacevole.
Strinsi le lenzuola tra le mani, cercando di trattenere gli spasmi, ma senza riuscirci.
«Ace...» Mormorai dopo qualche minuto «Mi sta andando il sangue al cervello».
Con un gesto rapido mi fece voltare, sistemando un cuscino sotto la mia testa.
«Va meglio?» Mi chiese premuroso.
«Andrebbe meglio, se anch'io potessi fare qualcosa», mi lamentai.
«Preferisco essere lucido, per ora», ammise «Se provo piacere, mi distraggo».
«Non è giusto!».
«Shhh!» Bisbigliò, baciandomi il naso «Avrai tempo di lamentarti più tardi. Ora ho da fare, visto che mi hai svegliato».
Cominciò a baciarmi il collo, procurandomi ancora brividi su tutto il corpo.
Provai a toccargli il suo punto più sensibile, ma mi afferrò le mani e me le portò a toccare il cuscino.
«Non ci provare, cosina», sussurrò lui, scuotendo la testa sorridendo.
Sorrisi a mia volta, allungando il collo per baciarlo velocemente.
Scese lungo il petto, scoprendo il seno e cominciando a stuzzicare un capezzolo ormai già turgido per via della pelle d'oca che continuavo ad avere, mentre con l'altra mano andò a stimolarmi ancora lì sotto, facendomi sussultare.
Passò a baciarmi l'addome con decisione, sapendo bene che punti toccare per farmi avere quei piccoli spasmi di piacere che adorava.
Mi fece togliere velocemente le mutandine, per poi tornare a stuzzicarmi l'addome.
Continuò a baciarmi, scendendo sempre di più, fino a sostituire le sue dita con la lingua.
Cominciò a stimolarmi ancora, facendomi provare un piacere intenso che m'impose di inarcare la schiena.
Istintivamente gli afferrai i capelli, affondandoci le dita e tirandoli leggermente.
A quel gesto, Ace aumentò il ritmo, e i miei fianchi lo seguirono in quella dolce danza peccaminosa.
«Ace...» Ansimai, sentendoli vicina al culmine del piacere.
«Dillo ancora», mormorò lui, facendomi sentire il suo fiato caldo su quel punto così sensibile, e al momento tremendamente bagnato «Il mio nome. Dillo ancora».
«A-Ace... Ace», balbettai, in preda al piacere.
Mi fece divaricate le gambe, avendo più accesso e facendomi percepire la sua lingua dentro la mia apertura, stimolandomi al di fuori con le labbra.
Inarcai la schiena sentendo il piacere farsi sempre più intenso.
«Ace, non... Ah!».
«Vieni per me», disse sentendomi vicina all'orgasmo, per poi tornare a torturami con movimenti sempre più intensi sul mio punto più sensibile, alzando gli occhi per incrociare i miei.
Potevo leggere la sua eccitazione placata dall'autocontrollo che si era imposto, ma pur sempre lussurioso dal momento così intimo.
Non ci volle molto prima di sentire l'orgasmo pervadermi, facendomi sentire leggera come una piuma.
Cominciai a tremare, sentendo la sua lingua continuare il suo gioco perverso sul mio clitoride.
«Ace.. che cosa... Ah!!» Lo implorai, percependo di nuovo uno spasmo di piacere «Basta», lo supplicai, in preda ai brividi e alle sensazioni che mi stava provocando in quel momento.
Non rispose, continuando la sua tortura, fino a farmi venire per la seconda volta nel giro di dieci secondi.
Tremai ancora più di prima, facendo tremare Ace a sua volta, con la scusa che era ancora incollato a me.
Affondai sul materasso in preda a continui spasmi e brividi di piacere che sembravano non avere fine.
Mi baciò l'intimità un'ultima volta, prima di posare le labbra sul mio addome che ancora si contorceva a causa di ciò che avevo appena passato.
Avevo gli occhi chiusi, perciò non potei vedere la sua espressione, ma gli scappò una risatina trattenuta che mi fece capire che il vedermi in quelle condizioni lo divertiva.
«Com'è stato?» Mi chiese soddisfatto, mentre mi baciò velocemente il collo.
Spostai la testa verso di lui e lo guardai ansimando.
Il cuore mi batteva così forte che sembrava che volesse uscirmi dal petto.
«Estenuante», ammisi, con un sorriso divertito.
«Sono bravo, eh?» Chiese ghignando beffardo.
Risi alla sua domanda.
«Sei molto bravo», ammisi ancora, cercando di calmarmi «Mi dispiace solo non aver potuto farti felice a mia volta».
«I tuoi gemiti lo hanno fatto, tranquilla», mi rassicurò lui «Per adesso, sono felice così».
«Sei il ragazzo più strano che abbia mai incontrato, Portgas D. Ace», gli dissi, incredula che solo una cosa così banale come dei semplici gemiti, avessero potuto renderlo felice.
Il suo sguardo però non mentiva, perciò gli credetti senza fare domande inutili.
«Adesso, cerchiamo di dormire», disse, stendendosi accanto a me.
«Sicuro che non vuoi... un momento da solo?».
«Uhm?».
Con gli occhi gli indicai la sua erezione ancora abbastanza visibile, ma non ci fece caso.
«Non preoccuparti. Passerà», disse senza darci peso.
«Come vuoi, ma adesso devo per forza alzarmi», dissi, scendendo dal letto.
«Per andare dove?».
«In bagno a pulire il macello che hai fatto», risposi, mettendomi una sua maglietta.
«Vengo con te», disse, preparandosi a balzare giù dal letto.
«No!», Esclamai e lui si bloccò «Credo di poter sopravvivere durante il tragitto da qui al bagno».
«Ma...».
«Ace! Ti prego».
Usai la mia aria da cucciolo.
Quella a cui sapevo non poteva resistere.
Sospirò, rigettandosi sul letto, mentre feci un'espressione soddisfatta.
«E vuoi uscire così?».
«Andiamo, non sono nuda», tagliai corto, dirigendomi verso la porta.
«Ferma!», Mi ordinò Ace, per poi lanciarmi sulla faccia i miei pantaloncini «Metti quelli».
«Va bene, capitano», dissi pronta a indossarli «Ah, Ace. Domani dovrei...».
Il russare del mio ragazzo mi fece capire che si era addormentato di botto.
Alzai gli occhi al cielo, scuotendo la testa sorridendo divertita.
Mi infilai in fretta l'indumento, per poi uscire e dirigermi verso il bagno.

                        𝕆ℕ𝔼 ℙ𝕀𝔼ℂ𝔼

Fortunatamente non incontrai nessuno lungo il tragitto. Se fosse successo, sarebbe stato strano parlarci normalmente, messa in quelle condizioni.
Stavo per tornare nella mia cabina, quando un suono di voci, provenienti dalle stanze che si trovavano sotto il ponte, mi distrasse.
Senza pensarci troppo, mi diressi giù per le scale per controllare che andasse tutto bene. Forse era qualcuno che aveva bisogno di aiuto...
Mi incamminai lungo un corridoio semi buoi e lunghissimo.
Più mi avvicinavo e più percepivo le voci farsi sempre più chiare e distinte.
Ne riconobbi solo una: quella di Marco.
«Avrei dovuto informarti prima, mi dispiace», ammise Marco.
«Avrai avuto i tuoi motivi», rispose una voce più matura e profonda che non avevo mai sentito «Ma questo complica le cose».
«Che intendi fare?» Chiese Marco.
L'uomo sospirò. «Non ne ho idea, figliolo»,
Mi avvicinai alla porta socchiusa, da dove usciva un po' di luce e fu in quel momento che lo vidi per la prima volta.
Si, doveva essere lui.
Barbabianca.
Stava seduto su un letto gigantesco, con dei fili attaccati alle narici e al corpo.
Una macchina medica accanto a lui, teneva conto delle sue pulsazioni che sembravano essersi fatte più veloci del normale, in quel momento.
Mi sentii il cuore in gola alla vista di quell'uomo così possente.
Certo, sapevo che era diverso da tutti gli uomini che avevo visto, ma non mi aspettavo che fosse di quella stazza.
«Se posso esprimere un mio parere, credo che tu debba farti avanti. Anche solo per capire il suo punto di vista».
Barbabianca sospirò pesantemente.
«L'unico modo per togliersi ogni dubbio è parlare e scoprire le carte. Non ha senso continuare a evitare la cosa».
Improvvisamente abbassarono il tono, e cominciai a fare fatica a sentire le loro voci.
Mi avvicinai alla porta con l'intenzione di origliare ancora un po'.
La mia curiosità era alle stelle.
«Devi dirglielo».
«Non mi crederà mai», ammise lui, abbassando lo sguardo.
Probabilmente era una conversazione troppo privata, per questo avevano abbassato il tono della voce.
Mi sentii in colpa nel stare lì a spiarli, perciò decisi di andarmene.
Feci un passo indietro, prendendo la strada del ritorno, quando...
«Emy è tua figlia, papà!».
Mi bloccai sul posto.
Il sangue mi si gelò nelle vene, e il mio corpo si paralizzò.
A malapena percepivo il mio respiro, mentre Marco riprese la parola.
«Ha il diritto di saperlo!».
Percepii il mio corpo tremare, come se improvvisamente fossi entrata dentro un frigorifero.
«Hai ragione. Domani le parlerò», disse Barbabianca «Ora va a riposare, Marco. Sei stato via per tutto il giorno»,
«Va bene», rispose Marco «Abbi cura di te fino a domani».
In un secondo, il mio corpo scattò in avanti nell'udire i passi di Marco farsi sempre più vicini.
Corsi fino al ponte, buttandomi contro il muretto di legno che mi divideva dal mare.
Inspirai a pieni polmoni cercando di calmarmi.
Ero scioccata.
Barbabianca non poteva essere mio padre.
Non lui.
Non potevo avere nessun legame con quell'uomo.
«Emy», esclamò improvvisamente Marco dietro di me, stupitosi di vedermi in piedi a quell'ora «Che ci fai qui?».
Frettolosamente, mi sistemai i capelli scompigliati dal vento.
Dovevo fingere di non sapere.
Non avevo la forza di affrontare una conversazione del genere in quel momento.
Mi girai verso di lui, sorridendogli.
«Stai bene?» Mi chiese, avvicinandosi con sguardo preoccupato, con le mani nelle tasche dei pantaloni.
«Sì, cioè... ora sì. Sono uscita per prendere una boccata d'aria».
«Hai bisogno di qualcosa?» Chiese, questa volta con tono più premuroso.
«No, no. Stavo solo ammirando il mare, ora me ne torno in cabina. Comincio ad avere freddo».
«In effetti, fa un po' freddino questa sera».
«Già», ammisi, mordendomi il labbro inferiore dalla tensione nervosa che ancora sentivo dentro di me.
«Allora, buonanotte», disse Marco, distogliendomi dai miei pensieri.
«Oh, sì... buonanotte», dissi frettolosamente per poi avviarmi verso la mia cabina, lasciando un Marco pensieroso a fissarmi.

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