Breve (ultimo) Incontro

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                                Emy

 «Ho deciso di partire», disse Sabo con tono cupo.
«Che stai dicendo?», Gli chiese Ace mentre mi stringeva ancora la mano.
«Non posso più restare. Non... dopo quello che è successo».
«Ma...».
«Ormai ho deciso!», Lo interruppe Sabo «Non cambierò idea», aggiunse prima che nella stanza cadesse un silenzio tombale.
Non sapevo che fare.
Una parte di me voleva aprire gli occhi, prendere la testa di Sabo e scuoterla fino a far uscire tutti quei pensieri stupidi che si era messo in testa.
L'altra parte di me invece, non riusciva a muoversi, preda della curiosità che mi stava logorando il petto.
Percepii delle scariche elettriche pervadermi le braccia e le gambe: dovevo cercare di stare calma o avrebbero capito che ero sveglia.
«Non vuoi aspettare che prima Emy si riprenda?», Gli chiese infine Ace rompendo finalmente quel silenzio estenuante.
«Preferisco che non mi veda partire. Penserebbe che sia per causa sua, e non voglio che abbia altre preoccupazioni», ammise Sabo.
«Non posso impedirti di andartene, se è questo che vuoi», mormorò Ace dopo un lungo silenzio «Ma sappi che non sono felice di questa tua decisione».
«Non posso restare. Non riuscirei a vivere... in questo modo. Ho bisogno di schiarirmi le idee e per farlo, devo allontanarmi da questo posto... e da lei».
Sentii Sabo alzarsi e prendere la direzione della porta a passo lento.
Forse avrei dovuto parlare. Dirgli che la sua idea era una scelta assurda.
Come poteva abbandonarci?
«Sabo», lo chiamai piano, non riuscendo più a stare zitta.
Ero debole, ma non potevo lasciarlo andare, senza prima aver provato a fargli cambiare idea.
Eravamo una squadra.
Non potevamo separarci, specialmente non in quel modo.
Avevamo un sogno, e dovevamo realizzarlo ad ogni costo.
«Non pensare nemmeno... a prendere il mare, senza di me», dissi con un filo di voce.
«Emy», esclamò Ace incredulo di vedermi sveglia.
I miei occhi si puntarono su Sabo, che mi guardò con aria seria.
Cercai di mettermi seduta.
«Aspetta, fa' piano», disse Ace aiutandomi a sedermi.
«Non ho più nulla da fare qui», disse Sabo tornando a darmi le spalle.
«Invece hai eccome, qualcosa da fare. Ti sei dimenticato il nostro sogno? Siamo una squadra, e come tale dobbiamo restare uniti», dissi cominciando ad alterarmi, cosa che mi costò delle fitte alle costole.
«Lo eravamo. Ma le cose sono cambiate. Come ho detto, non posso più restare in questo posto. Non servo più».
«Ma che dici?», Chiesi confusa.
Sabo non rispose, ma notai le sue mani serrate in pugni stretti, tremare come foglie. Conoscevo quel ragazzo, lo conoscevo davvero molto bene, e sapevo che stava cercando di trattenere la rabbia e la frustrazione dentro di sé, nella vana speranza di risultare un duro.
Rivolsi lo sguardo verso Ace, e lui capì al volo quello che volevo dirgli.
Nonostante le nostre divergenze, non ero più arrabbiata con lui e qualcosa nei suoi occhi mi fece capire che lo aveva intuito.
«Sono qui fuori, se hai bisogno», disse alzandosi da terra, mentre si sistemava meglio il cappello arancione sulla sua chioma corvina.
Si avviò a passo lento verso l'uscita, per poi chiudersi la porta alle spalle.
Nella stanza calò nuovamente il silenzio.
«Adesso, dimmi che cosa intendevi con la frase di poco fa», ordinai a mio fratello.
«Esattamente, quello che ho detto. Non vi servo più. A dire la verità... non avete mai avuto bisogno davvero di me», rispose ancora senza voltarsi.
«Che assurdità. Come puoi dire questo?».
«Non prendiamoci in giro, Emy!», Sbottò esausto, voltandosi a guardarmi con occhi tristi «Siamo cresciuti, ormai. Non siamo più dei bambini. Sappiamo entrambi che la nostra "ciurma", ormai si è sciolta da un pezzo. Inoltre, ho parlato con Ace poco fa. Prima che ti svegliassi. La mia decisione è stata presa, non per istinto, ma per salvare me stesso».
Le sue parole mi confusero.
«Che vuoi dire?».
Sabo abbassò lo sguardo, cercando di nascondere delle lacrime che intravidi comunque rigargli le guance.
L'avevo visto piangere tante volte nel corso degli anni, ma sentivo che quelle erano lacrime diverse.
«Io ti amo, Emy».
Quella frase mi lasciò di sasso.
Sapevo i sentimenti che Sabo provava per me, già me lo aveva detto, ma il tono che aveva usato questa volta, fecero frantumare il mio cuore in mille pezzi.
«Ed è proprio perché ti amo, che me ne devo andare. Non posso più restare qui. Lo capisci?».
Sospirai, abbassando lo sguardo.
Aveva ragione.
Se i ruoli fossero stati invertiti, non sarei mai riuscita a vivere, sapendo di dovermi svegliare ogni giorno, e vedere Ace tra le braccia di un'altra.
Solo ora, comprendevo il dolore che Sabo stava provando.
Cercai di alzarmi dal letto, mi dolevano le gambe dopo essere stata ferma tutto quel tempo.
«Che fai? Sei ancora debole», disse Sabo correndo in mio soccorso per aiutarmi «Non dovresti alza...».
Il mio abbraccio lo zittì, lasciandolo di stucco. Non riuscii a trattenere le lacrime nel compiere quel gesto. Lo strinsi più che potevo, nonostante la mia forza fosse minima.
«Non posso darti ciò che vuoi», sussurrai tra i singhiozzi «Ma sappi che ti voglio bene. Tanto. Per me sei importante, Sabo».
Sentii il suo corpo irrigidirsi, sotto la mia debole stretta.
Per un momento, mio fratello restò impietrito non sapendo bene come comportarsi.
Poi, con delicatezza, mi strinse a sé, e posò la fronte sulla mia testa.
Ero davvero piccola in confronto a quei tre mascalzoni, ma ognuno di loro sembrava adattarsi bene a me, quando ci capitava di stare così vicini.
«Porterò sempre con me queste parole. Grazie, Emy».
«Promettimi che starai bene, e che un giorno tornerai da me».
Lo percepii sospirare leggermente.
«Te lo prometto», rispose infine, dopo un breve silenzio.
Quella frase mi suonò come una bugia, ma era l'unica cosa che Sabo poteva permettersi ora, con la sua confusione.
Forse un giorno avrebbe mantenuto quella promessa... chissà quando.
«Perdonami... se ti ho fatto soffrire. Non era mia intenzione», mormorai.
«Non possiamo controllare i nostri sentimenti. Se si potesse, avrei smesso di amarti molto prima».
Lo strinsi ancora a me. Non volevo lasciarlo andare. Volevo che restasse e che partisse insieme a me e agli altri, verso le nostre avventure che avevamo tanto sognato.
Fu Sabo a sciogliere l'abbraccio.
«Ora devo andare. Tu cerca di riprenderti in fretta. Luffy non sopravviverà molto, se non ci sarai tu a proteggerlo dai pugni di Ace».
Risi debolmente alla sua frase, cercando di non farmi troppo male, mentre Sabo mi adagiò con cautela sul materasso per farmi sedere.
«Mi mancherai».
Lui sorrise. «Anche tu».
Mi avvicinai a lui e gli diedi un bacio lungo sulle labbra.
Era tutto ciò che potevo offrirgli, oltre alla mia eterna amicizia.
«Grazie», disse sorridente, dopo aver assaporato quel contatto che tanto aveva desiderato «Faccio rientrare Ace».
Si alzò in piedi e si diresse verso la porta, ma prima di aprirla si fermò, con la mano sulla maniglia.
«Oh, Emy. Un'altra cosa».
«Dimmi».
Si voltò verso di me, sorridendomi come aveva sempre fatto, riempiendomi il cuore di gioia.
«Non dimenticarmi».
Sorrisi. «Non potrei neanche se volessi».
Sabo mi sorrise ancora una volta, prima di lasciare definitivamente la stanza.
Lo sentii parlare con Ace, ma non me la sentivo di origliare.
Anche loro dovevano avere il loro momento per dirsi addio.
Mi rimisi sotto le coperte, dopo aver bevuto un bicchiere d'acqua che qualcuno aveva lasciato accanto al mio materasso, e provai a mettermi comoda.
Il dolore stava cominciando a farsi sentire in tutto il corpo.
Probabilmente, avrei dovuto chiamare Magura per farmi dare qualcosa.
«Posso entrare?», Mi chiese una voce familiare.
«Certo», risposi, voltando lo sguardo verso Ace.
Si avvicinò a me e si mise seduto accanto al mio futon, incrociando le gambe.
Ci guardammo senza dire una parola per molto tempo.
Entrambi ci stavamo studiando, per cercare di capire che cosa dire senza arrabbiarci.
La situazione in cui ci eravamo lasciati non era di certo delle migliori, e fingere che non fosse successo nulla non era da noi.
«Mi dispiace», dicemmo all'unisono.
Abbassammo gli sguardi, imbarazzati.
Era incredibile quanto simili potevamo essere a volte.
«Forse, dovrei dirlo io. Ho combinato io il casino», mormorò Ace.
«La colpa è anche mia. Non avrei dovuto insistere così tanto».
«Non hai colpe. La tua era un'idea più che giusta. Ero io, l'idiota che cercava di guadagnare tempo».
«Ora... lo sanno tutti?», Chiesi.
«No. Dadan e gli altri non sanno ancora nulla. Glielo diremo quando ti sarai ripresa».
«Vuoi farlo davvero?».
«Non voglio più rischiare di perderti per il mio egoismo. L'ho già fatto una volta, non rischierò di nuovo».
Le sue parole mi riempirono il cuore.
Allungai una mano verso di lui, che afferrò subito senza esitare.
Le stringemmo entrambe, con tenera delicatezza.
Quel gesto, per noi, valse più di mille parole.
«Pensavo di averti persa», disse con il magone.
«Per un momento, l'ho creduto anch'io», ammisi esausta.
Ace si sporse verso di me per posare le sue morbide labbra sulle mie.
Fu un bacio dolce e pieno di sentimento. Percepii tutto il suo amore e tutta la sua gioia di avermi finalmente ritrovata.
Nessuno dei due parlò più.
Ci limitammo a restare in quella posizione per non so quanto tempo, consapevoli che da quel momento la nostra vita sarebbe cambiata per sempre. Avremmo detto addio a un amico, rivelato i nostri sentimenti a tutti, pur sapendo che Dadan non ne sarebbe stata felice, e poi avremmo dovuto decidere che fare delle nostre vite.
Ace posò poi la sua fronte sulla mia, sospirando in un modo che mi fece venire i brividi, e non riuscii a pensare a niente, tranne che a una cosa: quanto lo amavo.

𝕆𝕟𝕖 ℙ𝕚𝕖𝕔𝕖 - Due Cuori, Un Solo Fuoco-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora