Il Frutto Take Take

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«Basta pirati», sospirai esausta da tutto, trovandomi davanti uno stormo di uomini di mare, una volta arrivata a destinazione.
Mi guardarono tutti confusi, mentre quello che aveva detto di chiamarsi Marco rimase accanto a me con fare protettivo.
«Non avere paura», mi disse il biondo, con tono tranquillo e leggermente divertito «Sembrano cattivi, ma sono innocui. Te lo assicuro».
Lo guardai senza dire nulla, cercando di fidarmi delle sue parole.
Uno di loro si fece avanti avanzando di qualche passo verso di me, e istintivamente mi nascosi dietro il corpo del mio salvatore.
L'uomo si fermò.
«Scusami, non volevo spaventarti», mi disse «Volevo solo presentarmi. Io sono Satch, il cuoco della nave e comandante della quarta divisione dei pirati di Barbabianca. Piacere di conoscerti».
Osservai con attenzione il suo sguardo.
Sembrava gentile e dava l'impressione di essere molto amichevole, nonostante la cicatrice sul viso gli desse un'aria un po'... Be', da pirata.
«I-io sono...».
«Emy Price», mi interruppe lui con un sorriso «Ti conosciamo bene. Sei la compagna di quel ragazzino da cui nostro padre è andato qualche giorno fa».
Lo guardai confusa.
«Cosa?».
«Portgas D. Ace», rispose lui «Il mocciosetto che ha mangiato il frutto Foco Foco. Una bella testa calda, a quanto si dice», aggiunse divertito.
Rimasi senza parole.
Che cosa era successo in quei giorni che ero stata via?
«Ha avuto un bel coraggio a sfidare nostro padre», continuò Satch «Ma credo che gli darà una bella lezione».
«Sta' zitto!», ringhiai, irritata dalle sue parole «Non hai idea di quanto forte possa essere Ace. Non ti conviene sottovalutarlo».
«Scusa», disse lui alzando le mani in segno di resa assumendo un'aria divertita e sfacciata «Non volevo offendere il tuo ragazzo».
Sentivo che stavo per esplodere.
Non mi piaceva per niente l'idea che aveva quel tipo di Ace.
Ben che meno che lo chiamasse ragazzino o mocciosetto, anche se era scusato visto che sembrava parecchio più grande di noi.
Stavo per aprire bocca di nuovo, quando una fitta allo stomaco mi fece piegare in avanti.
Mi tremavano le gambe...
La testa aveva ripreso a girarmi, sentivo che stavo per svenire.
«Vacci piano, Satch», intervenne Marco per aiutarmi «La ragazza ha passato un brutto momento. Facciamola riposare».
«Hai ragione», disse il suo amico «Vado a prepararle qualcosa da mangiare».
Si allontanò da noi con passo veloce, mentre Marco mi aiutò a sostenermi, afferrandomi per le spalle con tocco gentile.
Quel contatto mi innervosii.
Non solo perché avevo passato un momentaccio poche ore prima, ma anche perché non ero abituata che altri ragazzi mi toccassero oltre a Ace.
«Ti aiuto io», disse premuroso, sorridendomi.
Quel gesto mi fece arrossire.
Eppure dovevo essere abituata alla presenza dei maschi, dopo aver passato tutta la vita in loro compagnia.
«G-grazie», mormorai, abbassando lo sguardo.
«Adesso, vediamo di trovarti un posto più comodo. Così potrò visitarti».
«Visitarmi? Tu?», Chiesi sentendomi avvampare ancora.
«Certo. Sono un dottore», ammise con estrema naturalezza.
Continuando ad aiutarmi, Marco mi condusse dentro la nave, facendomi scendere lentamente delle scale, per poi arrivare dentro una stanza davvero spaziosa.
Mi sorprese l'ordine e la pulizia con cui era stata tenuta.
Non sembrava per niente una stanza di una nave pirata.
«Sistemati qui», mi disse, facendomi stendere sul grande letto dal materasso comodissimo «Starai più comoda».
Dopo giorni rinchiusa in una cella, quel letto mi sembrava morbido come una nuvola.
Marco mi sorrise ancora una volta, aiutandomi ad alzare le gambe per poi posarle delicatamente sul letto.
«Non sembri per niente un pirata», ammisi, mentre lo guardavo prendersi cura di me.
«Ah no?», Chiese lui curioso.
«Sei troppo gentile», ammisi «È strano».
Marco rise, come se la mia fosse una battuta.
«Credi che i pirati siano tutti perfidi e maleducati?».
«Non lo so. A parte i miei compagni, e rare eccezioni, quelli che ho incontrato lo erano tutti».
Mi sorrise ancora.
«Non ho motivo per comportarmi diversamente con te», disse raddrizzando la schiena «Sei nostra ospite».
«Ospite?», Ripetei confusa.
«Be', di certo non ti ho salvata per poi tenerti qui come prigioniera, ti pare?», Ammise lui divertito.
Mi sentii immediatamente stupida nel aver avviato quella conversazione.
Probabilmente rideva perché mi trovava una ragazzina sciocca, come il suo amico trovava un ragazzino sciocco Ace.
«Una volta che ti sarai ripresa, sarai libera di fare ciò che vuoi, non preoccuparti. Non intendo trattenerti contro la tua volontà».
«In questo momento, voglio solo una cosa. Ritrovare Ace e i miei compagni», dissi, distogliendo lo sguardo dal suo.
«Succederà prima di quanto pensi».
Lo guardai nuovamente.
«Che vuoi dire?».
«Come ha detto Satch poco fa, nostro padre è andato a incontrarlo. Se tutto va bene, già domani ce lo troveremo sulla nave, insieme ai suoi compagni», disse, cercando di trattenere una risata.
Non capivo perché, ma quel suo sorriso e il tono con cui pronunciò quella frase mi diede sui nervi.
«Come ho detto al tuo amico, Ace non è un ragazzo da sottovalutare», dissi acida.
«Barbabianca è un uomo decisamente più forte e abile del tuo ragazzo. Di certo, non perderà contro di lui».
Assottigliai lo sguardo, imbronciandomi.
Marco invece sorrise divertito.
«Quando vi rincontrerete, potrete decidere cosa fare. Nel frattempo, provvederemo noi a te».
Rimasi in silenzio, pensando a come sarebbe stato quando finalmente ci saremo ritrovati tutti insieme.
«Adesso dimmi, dove ti fa male?».
«Direi un po' ovunque».
«Ho visto che ti tenevi l'addome prima. Immagino ti abbiano colpita maggiormente in quel punto».
Annuii in silenzio.
Ripensarci mi scatenava una tale rabbia che mi avrebbe portata sicuramente a piangere, e non era di certo il caso di frignare in quel momento.
Già mi sentivo abbastanza ridicola per conto mio.
Dovevo cercare di trattenermi.
«Dovresti alzare la canottiera», mi suggerì improvvisamente Marco, facendomi tornare alla realtà.
«C-cosa?».
«Non posso curarti, se prima non vedo il problema», ammise lui tranquillo.
Mi irrigidii nel pensare che avrebbe dovuto toccarmi per farlo.
«Mi rendo conto di quello che hai passato», disse con voce calma «Ti assicuro che non ho nessun'altra intenzione, se non quella di visitarti. Fidati di me».
Sospirai, sentendo il mio fiato tremare.
Cominciai a provare una strana sensazione di paura mista a disagio, ma lo avrebbe fatto per farmi stare meglio, quindi...
«Va bene», mormorai infine.
Con un gesto lento, mi sollevai la canottiera mostrandogli il mio addome dolorante.
«Posso?», Mi chiese facendomi capire che era arrivato il momento del contatto.
Sospirai pesantemente, prima di annuire.
Al contatto con le sue dita sussultai, sentendomi tremendamente ridicola.
Era un dottore! Mi stava visitando!
Non era la prima volta che mi succedeva.
Perché ero così nervosa?
Cominciai a pensare a ogni teoria, e l'unica che avrebbe potuto essere quella più plausibile, era solo una: Marco era più un ragazzo giovane e attraente, dell'ultimo dottore che mi aveva visitata.
Un mix perfetto.
Non appena fece un po' di pressione sull'addome, contrassi i muscoli cercando di trattenere un gemito di dolore, ma senza riuscirci.
«Qui, vero?», Mi chiese guardandomi.
Annuii velocemente, sentendomi quasi svenire per il dolore.
«Ora rilassati. Passerà tutto in un attimo»
«Che vuoi dire?».
Il biondo fece una leggera pressione con la mano, stendendola più che poteva sul addome.
Percepii un calore intenso, ma non faceva male.
Anzi, tutto il contrario.
Alzai leggermente la testa, e notai un fuoco azzurro uscire dalla sua mano che si propagava lentamente per tutto il mio corpo.
«Che cosa sta succedendo?», Chiesi, cominciando ad agitarmi.
«Tranquilla. Sto solo usando il mio potere per guarirti. Così posso curarti prima, rispetto al metodo tradizionale», rispose con tono calmo, per tranquillizzarmi.
«Il tuo potere?», Ripetei confusa.
«Ho mangiato anch'io un frutto del mare. Esattamente come te».
Ricordai il momento in cui era apparso per liberarmi, ma non poté toccare le manette di algamatolite... La mia supposizione era esatta.
«Va meglio?», Mi chiese, mentre continuava il suo operato.
«Sì», ammisi incredula, sentendo il dolore passare poco a poco «È incredibile».
Lui sorrise, continuando il suo lavoro.
Sentivo che ero capitata in mani sicure.
Cominciavo a fidarmi un po' di più di quel ragazzo.
«Dimmi un po'», disse improvvisamente Marco «Che tipo di frutto hai mangiato?».
«Non lo so», ammisi imbarazzata.
«Devi sapere almeno che potere hai», continuò lui con tono amichevole.
«Sono in grado di prosciugare la forza a chi mi tocca, a creare delle piccole scie di energia che posso usare come attacco, facendo così perdere la forza ai nemici, e a percepire attraverso l'acqua o il terreno, la forza vitale degli essere viventi, anche a chilometri di distanza».
L'espressione di Marco cambiò improvvisamente.
Sembrava aver capito di che frutto stavo parlando.
«Non dirmi che hai mangiato il frutto Take Take».
Sembrava sorpreso e sconvolto allo stesso tempo.
«Il frutto Take Take?», Ripetei confusa.
«Anche se è di tipo Paramisha, è uno dei frutti più forti che esistano», disse, realizzando pian piano la cosa «Incredibile! Credevamo fosse andato perduto», mormorò tra sé e sé.
Lo guardai, ancora più confusa.
«Perduto? Perché?».
La mia domanda lo riportò alla realtà.
«Niente, niente. Parlavo da solo», tagliò corto, per poi continuare il suo lavoro in rigoroso silenzio.
Ci volle quasi mezz'ora, prima che Marco mi riportasse completamente a nuovo.
Aveva preferito concentrarsi su una zona alla volta, curandosi di ogni minimo dettaglio, per aiutarmi a guarire al meglio.
«Abbiamo finito», disse, fiero del suo lavoro «Una notte di riposo e tornerai come prima. Per i segni sul viso, se vuoi, posso sistemarteli».
«Non c'è problema», dissi con un sorriso «Hai già fatto molto. Guariranno da soli».
«Come preferisci. Adesso riposa», mi suggerì premuroso, coprendomi con un lenzuolo leggermente ruvido.
«Dimmi una cosa», dissi improvvisamente «Tu per caso sai, chi erano quei tizi che mi hanno rapita?».
Marco sospirò pensieroso, prima di rispondere.
«Come hai potuto constatare da sola, erano cacciatori di taglie, appartenenti all'associazione della Baroque Works. Capitanata da Crocodile, un membro della flotta dei sette, rifugiatosi ad Alabasta molti anni fa. Era lì che ti stavano portando».
Pensai a quei nomi intensamente, ma non avevo mai sentito parlare né di Alabasta né di Crocodile.
Però una cosa mi chiedevo.
La flotta dei sette, era la flotta più potente che il Governo Mondiale avesse a sua disposizione.
Che cosa poteva volere uno di loro da me?
«Non mi dice nulla quel posto. Ben che meno questo Crocodile», ammisi, cercando di mostrare indifferenza.
«Meglio così. Sarà più facile dimenticare l'accaduto».
In quel momento, il mio stomaco brontolò così forte da mettermi in imbarazzo.
«Ti davano da mangiare, almeno?», Mi chiese serio.
«Quel poco che bastava per non farmi morire», ammisi, sentendo i crampi farsi più forti al solo pensiero del cibo.
Non ero mai stata una mangiona, ma in quel momento avrei dato qualsiasi cosa per addentare un pezzo di pane che non fosse raffermo o con della muffa attaccata.
«Sei magronila, in effetti», disse, osservandomi velocemente «Vado a dire a Satch di prepararti qualcosa di sostanzioso».
«Posso farlo da sola», dissi cercando di alzarmi «Non voglio che nessuno si occupi di me».
«Invece resterai qui», sentenziò lui, prendendomi dolcemente per le spalle, riportandomi a sdraiarmi sul letto «Come ti ho detto, sei una nostra ospite e gli ospiti non lavorano», disse con tono che non ammetteva repliche.
In quel momento, sentimmo bussare alla porta.
Vedemmo Satch entrare nella stanza, tenendo un vassoio in mano pieno di cibo.
Alla vista il mio stomaco brontolò di nuovo.
Cercai di nascondere il rumore con le braccia, ma fu inutile.
«Vedo che sono arrivato giusto in tempo», commentò il cuoco divertito.
Si avvicinò al letto su cui ero sdraiata, con un sorriso amichevole.
«Come ti senti?», Mi chiese premuroso.
«Molto meglio», risposi imbarazzata.
«Be', senza togliere nulla alle cure di Marco, posso assicurarti che i miei piatti ti faranno rinascere», disse con fierezza, posando il vassoio accanto a me.
«Sempre il solito sbruffone», commentò Marco con aria annoiata.
Satch raddrizzò la schiena, incrociando le braccia al petto con aria altezzosa, mentre io non riuscii a trattenermi dal sorridere.
Quei due mi ricordavano davvero moltissimo Ace e Deuce.

𝕆𝕟𝕖 ℙ𝕚𝕖𝕔𝕖 - Due Cuori, Un Solo Fuoco-Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora