3.4 𝚄𝚗 𝚙𝚘' 𝚍𝚒 𝚖𝚎. 𝚄𝚗𝚊 𝚟𝚒𝚝𝚊 𝚙𝚛𝚒𝚖𝚊

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Beveva e oltre a dimenticare papà, dimenticava me.
Mi lasciava da sola per andare a sballarsi con le sue amiche e i suoi amici, mi lasciava perché la mattina era stanca e oltre dormire non faceva altro, mi lasciava dopo ogni suo rigurgito su di me. Dopo ogni frase cattiva, dopo ogni sigaretta, dopo tutte le volte che le andavo in contro anche non capendo cosa stesse accadendo.
Ho imparato ad andare avanti, a non farmi toccare da niente, a rifiutare un sorriso, a picchiare, a fare male per difendermi.

A 11 anni vagavo per le strade in cerca di medicinali per lei, per la sua sorte di depressione, ritrovandomi così, chiusa in bagno per entrare in un'altra dimensione smodellata e del tutto colorata.

A 14 anni mi sentivo un mostro. Nessuno osava avvicinarsi. I miei nonni passarono a miglior vita e nonostante non avessi più motivo per continuare a vivere, l'ho fatto ugualmente.

Dai 15 anni ho iniziato a scrivere la mia storia sul corpo, ho dato vita a tutto ciò che di più brutto avevo vissuto; tuttavia nessuno mi sa leggere, per loro sono solo scarabocchi neri su una pelle perfetta.

A 17 anni ho conosciuto un ragazzo, una possibilità.
Quella sera ero in un bar, ad un passo dal cadere, c'era un uomo, regista da poco, e sorte volle che mi scelse come protagonista per il suo terzo film. Da lì ho iniziato a prendere lezioni private e a studiare recitazione per dare un chance alla mia vita.

Dai miei 18 anni, la vita si è rivoltata. Ho preso le redini in mano e film dopo film sono cambiata. Ho conosciuto il mio quasi marito, Michele, di 7 anni più grande. Pensavo di aver trovato l'uomo perfetto, quello giusto. Invece si è rivelato un alcolista, un uomo pompato e forte ma egoista e tirchio. Io l'amavo, lo amavo nonostante il suo caratteraccio, nonostante le notti ubriache.
Avevo giurato che mai e poi mai l'avrei lasciato, perché l'amore non è solo felicità, ma saper accettare anche la parte buia di chi ami. E così ho fatto. Per lui ho donato tutto di me. Tutto. Ritrovando nuovamente la Selvaggia di 10 anni, quella fredda, cattiva e a detta di alcuni antipatica.

Non nego che più di due volte sono stata in carcere, giusto il tempo di pagare la cauzione per uscire di nuovo.
Non ho amiche...ma ho i miei fan, non ho figli, ma ho i miei bambini...non ho una nonna...ma ho la mia vicina. E sono le uniche persone per le quali sarò buona.
Della mia età non conosco nessuno, e ciò non mi preoccupa perché prima o poi la ruota gira e so che qualcosa di bello è riservato anche per me.

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Quando riprendo nuovamente la mia vita in mano sono già le 23.56, porto sulle mie ginocchia la chitarra e ricordo quando passavo intere notti con essa, adesso è solo sporca e quasi arrugginita.
Mi rendo conto che è stonata ma non ne sono stupita.

Vado in cerca del diapason che ovviamente non trovo. Provo ad improvvisare rendendomi conto che è davvero fastidioso per le mie orecchie.
C'è solo un'idea che mi viene in mente — E quando c'è non posso far altro che assecondarla.

Entro in auto arrivando senza alcuna fermata altrove, direttamente in un giardino grande e verde anche se un po' spento per la mancanza della luce.

Busso alla porta.
<<ciao>> Mi guarda stupito e si scombina i capelli con un'espressione che dice chiaramente "che ci fai qui?"

<<Okay...se per te è tardi...torno domani>>
Faccio velocemente un giro su me stessa per ritornare sui miei passi. Mi ferma prima che riesca anche solo a muovere un piede.

<<aspetta. Accomodati pure, ormai sei qui, sarebbe un peccato mandarti via>> lo seguo con entusiasmo <<prego>> indica il divano libero <<aspetta un secondo>> lo vedo scomparire dietro la porta che in questo momento non ricordo dove porta. In fondo ci sono stata una sola volta ed è così grande che se non ci passo una vita non ricorderò mai la piantina.
Quando finalmente torna, si siede sulla sua poltrona, quella di fronte a me, ma soltanto dopo aver portato due fette di pizza sul tavolino che ci divide. Evidentemente è il residuo della sua cena consumata da poco, di cibo me ne intendo e questa è stata messa da parte da forse mezz'ora, poco più.
<<hai deciso di prendere lezioni private?>>
Chiede contenuto, dopo il suo secondo morso dato senza fretta.

<<In realtà no...sono qui solo per il diapason>>
Rispondo con volto amareggiato

<<Pensavo che volessi dormire con me>> commenta alzando l'angolo della bocca.

<<Posso chiederti una cosa?>>
Esterno prima di addentare per la prima volta la pizza.

<<Oh!>> mi guarda scettico e arriccia il naso <<Si...>> si ferma un attimo e con gesto rotante della mano mi spinge a continuare <<certo>>

<<Ci sono delle volte...in cui non so che fare. Odio quelle volte.>> Guardo la chiatarra e in questo momento mi sento una bambina con le idee confuse.

<<Sai? Quando ero...più piccolo, ed anche più piccolo di te...alternavo grandi momenti di entusiasmo a cadute dalle quali non riuscivo a rialzarmi.>> mi guarda annuendo alle sue stesse parole <<È vero>> posa la sua fettina mentre io non potrei lasciarla mai - se non quando si smaterializza dalle mani per decomporsi nel mio stomaco <<Bastava poco per farmi sprofondare e non avevo nulla in grado di portarmi su. Ben presto mi resi conto che non potevo sempre essere fregato dalla vita: dovevo fregarla io. Avevo voglia di fare cazzate...tante cazzate.>> dà un'occhiata veloce al mio strumento e dopo ai miei tatuaggi <<Mio nonno mi ha insegnato la musica nel vero senso della parola, è grazie a loro se sono riuscito ad allontanarmi un po' dalla strada e dai compagni di muretto. Ho incominciato così ad avere più stima di me. Ricordo che mi disse che in questa vita bisogna saper riconoscere i momenti di successo così da bilanciarli ai momenti di insuccesso, capito? Quelli senza soldi in tasca.>> L'ho ascoltato in silenzio assorbendo tutto ciò che mi ha permesso di apprendere... ero così immersa in lui che non mi sono neanche resa conto di quando ha preso la mia chitarra per accordarla.
<<ecco qui>> l'allunga soddisfatto, con movimenti incerti la riprendo.

<<be'...allora grazie...>> esito un po', riporto i miei occhi su di lui e sorrido per poter continuare: <<"pirata">> saluto come è suo solito fare - con due dita che partono dal lato della testa verso l'esterno - esco da qui con tanta gioia e senza neanche litigare. Sarà perché è tardi, sarà perché forse ho davvero trovato un amico... ma sono felice, e non vedo l'ora di tornare a suonare per intere notti.

Mi incammino per le scale salendo i gradini due a due, raggiungo allo stesso modo il piano superiore e senza perdere tempo, mi immergo fra le lenzuola così da poter suonare, suonare e suonare ancora fino a non poter più tenere gli occhi aperti.

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𝑇𝑖𝑒𝑛𝑖𝑚𝑖 𝑝𝑒𝑟 𝑚𝑎𝑛𝑜 ×𝖇𝖊𝖋𝖔𝖗𝖊 𝖞𝖔𝖚 𝖌𝖔× Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora