4.2 𝙸𝚕 𝚋𝚊𝚜𝚝𝚘𝚗𝚎

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Lo sorpasso provando a tenere le lacrime dentro, so che se queste dovessero uscire farei un macello.
Con grandi falcate mi raggiunge ancora per  guardarmi con occhi letteralmente infuocati, mi afferra per le spalle senza pensare minimamente alla mia espressione distrutta <<io posso capirti>> sussurra. Lo guardo mentre mi strattona per invitarmi a rispondere. Il mio silenzio è straziante, studio i suoi occhi come se mi ci stessi perdendo dentro, l'unica cosa che penso è..."non piangere. Non adesso". Alzo piano le braccia e scosto dalle spalle le sue mani inermi.

Indietreggio di un solo passo e aggiungo subito con un filo di voce tremante e con occhi taglienti: <<Tu non sai nulla>>
Mi allontano al più presto raggiungendo la prima fermata.
Dopo un'oretta passata lì, da sola con lo sguardo al nulla, continuo ad aspettare ma pensando a me: a tutto ciò che ero, a quello che sono...

Quando salgo anche se provo a nascondermi, le persone mi parlano e chiedono autografi, ciò che non concepisco è: Non vedete che sono nervosa e che non ho voglia di parlare con nessuno? No! Evidentemente no! Evitandoli uno ad uno mi infilo palesemente con la testa nel finestrino sporco.

Raggiungo casa dopo un bel viaggio infernale e la prima cosa che faccio è lanciarmi a capofitto sul letto senza neanche pranzare, fisso un punto della parete, i miei occhi smarriti diventano lucidi riuscendo a farmi avere le allucinazioni: tutto intorno a me ruota, l'unica immagine che riesco a vedere sono i suoi occhi...quelli di Johnny! E mi fa paura.

Oltre alle sue parole, nella mia testa risuonano quelle di questa canzone che proprio ora sta passando in radio:
"ci siamo detti addio solo a parole, sono morta un centinaio di volte"
<<e perché sono ancora qui?>> urlo tenendo gli occhi serrati e le unghie nella carne.
Se ci fosse mio padre sarebbe tutto diverso.
Di lui non ricordo molto, solo che ero felice, che ridevo tanto e nessuno mi chiamava Selvaggia, che mia madre c'era, mi aiutava, non beveva, non fumava mai...mi amava, e questo bastava.

Quando scendo al piano di sotto, chiamata dal citofono, apro la porta sbadigliando, questa tecnica dovrebbe funzionare, anzi, funziona sempre, serve per non far credere di avere gli occhi lucidi per il dolore.
<<Selvaggia, stavi piangendo?>>
Chiede nonna Greta dopo un'accurata squadrata al mio viso rosso. Evidentemente non è servito a nulla, le lacrime pur restando dentro, o forse soprattutto per questo, hanno reso i miei occhi rossi e gonfi. Funziona su tutti, tranne che per me.
Poi dicono che la vita non è ingiusta!
C'era da aspettarselo e questa volta il gatto non c'entra.

<<No...sono solo un po' stanca..., entrate>> le faccio strada fino al salone, dove le libero il divano dalle infinite felpe (che indosso la sera per uscire senza farmi riconoscere)

<<C'è qualcosa che non va...ti sembro troppo grande per permetterti di aprirti con me?>> Chiede un po' delusa, la stessa che non vedevo dall'ultima volta che mi ha parlato di suo marito.
Perché quando due persone si amano e si amano tanto, neanche la morte può dividerli — la loro storia è l'unica in grado di farmi ancora credere nella parola "amore". Il loro amore.

Vorrei continuare a darle del voi per sembrare educata, ma capisco che potrebbe pensare che la sua idea sia giusta <<non pensarlo neanche per scherzo>>
Il problema è che non so neanche io cosa non va. Sono fatta male, mi piace scontrarmi, mi piace la guerra, e quando mi sputano la verità addosso fa male. Ogni volta che mi avvicino a qualcosa o qualcuno lo allontano e distruggo tutto: ogni amicizia, affetto, con esso il mio entusiasmo...il problema è che quando agisco so a cosa vado in contro eppure non riesco a fermarmi: vomito, sputo veleno, caccio la parte più brutta di me...quella riservata a tutti, i più fortunati se non conoscono questa parte sono davvero fortunati e non se ne rendono conto perché sono lo stesso sgorbutica anche avendo un'idea, una semplice idea diversa.

<<Come va la tua vita amorosa?>>
mi aiuta a parlare iniziando dal punto più tragico di tutti. L'amore.
Quella cosa che non so come descrivere se non con una fitta al cuore, una un po' più giù e l'altra molto più su. Cosa che ho provato una sola volta nella vita e sembra impossibile da riprovare.

<<Male>>
Sorrido lasciando scivolare la mano sul mio volto per non sprofondare, per non piangere e per non mostrare il mio dolore che potrebbe spezzare lei più che me.

<<Sono sicura che si sistemerà tutto>>
Prova a rassicurarmi spostandomi una ciocca di capelli che divede a metà il mio viso.
Vorrei avere un pizzico della sua sicurezza, della sua positività, tutti intorno a me sono colorati...perché io no?

<<Michele...è con un'altra e Joh-oooh>>mi blocco di colpo ripensando velocemente a ciò che stavo per esternare "e Johnny ama un'altra" la guardo con gli occhi spalancati e le labbra strette che si contorciano

<<Non scoraggiarti bambina mia. Vedrai che andrà tutto bene. E non aver paura. L'amore è dolore prima di viversi. E il dolore ci cambia, ci aiuta a crescere. Superarlo è difficile perché ci spezza, un po' come il mio mal di schiena. Da soli non ce la possiamo fare, per questo mi serve il bastone, e a te, serve il tuo. Pensa a questo e prova a guardare la vita da un altro punto di vista>>
Il mio bastone?

<<Io non sono mai stata diversa. Non potrei mai vedere la vita da un altro lato. Sono sola...>> e bisbiglio <<nessun bastone>>

<<Perché tu "vuoi" essere...>> dice un po' titubante avendo paura di offendermi ma ciò non ferma la sua parlantina <<...sola>>
Dopo aver continuato e deviato il problema primario, finisce la nostra conversazione;

Alle 17.13 preparo la borsa con la tovaglia nera e indosso un bel costume verde militare, sgambato e scollato con intreccio.

Domani, in un modo o nell'altro devo riprendere la Maserati, ma ora, con l'altra macchina, di certo non meno importante (l'audi), mi dirigo al mare in cerca di un po' di pace e tranquillità.

𝑇𝑖𝑒𝑛𝑖𝑚𝑖 𝑝𝑒𝑟 𝑚𝑎𝑛𝑜 ×𝖇𝖊𝖋𝖔𝖗𝖊 𝖞𝖔𝖚 𝖌𝖔× Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora