|Dovevo saperlo|

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Ogni volta che la giornata finisce in quel modo, nel nostro unico modo, svegliarmi mi terrorizza. Temo sempre che qualcosa possa andare storto, temo di non farcela, di non poter essere pronta alle conseguenze.

Accettare alcune realtà dopo esplosioni di emozioni, non è poi così bello. Sapevo di dover fermare tutto quando ero ancora in tempo, quando la mia mente era ancora conscienziosa e, il cuore non batteva così forte.

Johnny non è al mio fianco.
Arrotolo il mio corpo fra queste lenzuola bianche, raggiungo con espressione spenta e passi lenti la cucina, dove come immaginavo, lui non c'è.

Mi blocco provando a non dare di matto, resto immobile a contemplare il tavolo in legno, ma ho le lacrime agli occhi e quel senso di inadeguatezza che speravo di non dover sentire per molto tempo.

Ne ero quasi sicura, sento la rabbia circolarmi fra le vene, trabboccarmi dagli occhi.

È rabbia legata al fatto che mi sono donata come una stupida, come chi credeva un uomo davvero innamorato di sé, come chi sperava in un futuro certo. È rabbia legata al semplicissimo fatto di aver fatto l'amore con l'unico uomo che sapevo avrebbe potuto ferirmi e ci sono cascata...
Mi ha lasciata sola e più vuota di prima. Di nuovo.

Con uno scatto veloce, afferro un vaso di cristallo con dentro tre rose rosse legate da un velo blu notte e lo scaglio contro la parete opposta.
<<TI ODIO!>> Urlo fuori di me, respiro a fatica, mi sento un leone con la bava alla bocca, mi chiedo come sia possibile che il tempo continui a scorrere ora che il mio cuore è a pezzi.

Nessuno sa essere banale come me davanti alla banalità...prevedibile, la mia vita! Banale, un attimo di felicità contornata da inutile dolore e tanto tanto male, che no, non è per niente banale, il male non è mai banale quanto le persone.

Indosso gli stessi indumenti del giorno prima non avendo altro a disposizione e ripercorro - marcando bene il pavimento - i miei passi, tutti, uno per uno, fino ad intravedere lui e perdere un battito:

Johnny. Vorrei pensare positivo, ma la sua espressione morta è sufficiente a trasmettermi altra ansia. Si chiude la porta dietro le spalle, mi guarda, poi guarda il vaso sbriciolato e poi ancora me <<Dobbiamo andare.>> Queste sono le sue prime ed uniche parole: stanche, vuote e deprimenti.
Mi sono svegliata da poco e come minimo vorrei un buongiorno che si rispetti, un cappuccino, un cornetto anzi due... Magari anche un bacio!

Nonostante tutto, decido di non rispondere, significherebbe iniziare una giornata litigando e sarebbe inutile visto che avremo tutta la vita per questo! Da quanto lo conosco? Sicuramente parecchio e, non facciamo altro che litigare, poi fare pace, allontanarci e poi sfiorarci ancora.

Nel viaggio verso casa, non mi rivolge né la parola, né un misero sguardo; pensa semplicemente a passare con insistenza il suo indice sinistro sul pizzetto. L'aria diventa secondo dopo secondo più pesante da sopportare.
Ed è proprio questa mancata attenzione a far sentire il mio cuore stretto in una morsa, come se non fosse successo nulla...come se il nostro calore fosse semplicemente...calore.

Quando finalmente vedo quel giardino enorme che da giorni, mesi, ha catturato una parte di me, scendo con fretta dall'auto e mi fermo inciampando in uno scatolone — Uno di 4, più alcune valige. Questo posto caldo che serviva a darmi pace, ora diventa solo un posto che mi fa paura, tutti quei colori diventano nero e i miei peggiori incubi sembrano diventare realtà:

<<Ho provato a dirtelo!>> Esclama serio; passa al mio fianco per inserire la chiave nella serratura così da spalancare la porta. Provo a trattenere tutte le lacrime che ancora minacciano di uscire, le labbra che già si preparano ad un altro pianto disperato e il fuoco dentro di me che mi sta uccidendo ancor prima <<Parto...>> ammette senza giri di parole infilandomi l'ennesima lama.

Era questo ciò che stava cercando di dirmi ieri sera, e non l'ho permesso...
ha voluto me, per una notte... Forse l'ultima, ed io ci sono stata!

"Non ti lascio" ripeteva in continuazione fra sospriri e sguardi. Non ti lascio, pur sapendo che sarebbe andato via, ci ho creduto, non mi avrebbe lasciata!

Me lo aveva promesso.
Doveva restare con me.

<<T...tu vai via>> sussurro veloce come se dovessi dare delle spiegazioni più al mio cuore che ricevere una risposta da lui <<Tu vai via?>> grido. Credo di non averlo mai visto così consumato e odio pensare che forse è stata colpa mia.

<<È che...>> fa un sospiro, si avvicina lasciando da parte ogni suo tipo di forza. Prende il mio viso fra le mani <<Selvaggia lo faccio per->> Levo bruscamente le parti del suo corpo che ancora osano toccare me <<è per lavoro...>>

<<Non sei obbligato ad andare via>>
Dico con voce tremante mostrandogli tutta la mia delusione nei suoi confronti.

<<Non sono obbligato, è vero>> fa un passo verso me e si blocca subito <<ma l'ho deciso io>> ad ogni sua parola sento una parte di me che muore.

<<Hai...Johnny hai passato la notte con me, hai fatto "l'amore" con me. Ed ora? Scappi? Ieri sera sei stato con me! Con me, cavolo>> Trattenere il dolore non è semplice, però devo avere risposte e questo significa che devo essere forte.

<<Non è così>>
Fa un passo incerto verso me ed io uno indietro per mantenere le distanze e soprattutto per proteggere quel che resta del mio cuore già dimezzato. Pensavo fosse diverso, pensavo di poter posare le armi, di potermi "fidare".

<<No? NO? Lo sapevi! Tu lo sapevi che saresti andato via.>> Gli punto un dito contro senza dar peso alla sua espressione stanca. Stanca di che? Di sentire le mie lamentele? Di sentirsi una pezza? Sono io che dovrei sentirmi così. Ha cercato di dirmelo, ma ha anche preferito fare altro.

<<Lo sapevo, si>> lo guardo accigliandomi e continua prima di potermi far rispondere <<non voglio rovinarti la vita, lo capisci? Io non ho nulla da perdere, ma tu? Tu si, Selvaggia.>>

<<Cosa stai dicendo? Che devo ringraziarti perché tu vai via?>>
Scuote la testa abbozzando una risata per farmi intendere che è inutile parlare con me, prova ad andare via, lo fermo dal polso e mi avvicino a lui per guardarlo negli occhi <<Potrei venire con te...No-non lasciarmi qui>> guarda altro e intanto muoio, la sua freddezza, quel senso di distanza che ha nei miei confronti, mi svuota.

<<Queste sono le chiavi della casa. Puoi restarci finché vuoi.>> Le prendo come se fosse la cosa più meccanica del mondo e lo guardo andar via. Sta andando davvero via da me. Stringo i pugni e i denti per non urlare, so ciò che voglio, ciò di cui ho bisogno e ciò che amo, io lo so bene, ed è per questo che comincio a correre per fermarlo. Ho il cuore in gola, le lacrime che bagnano le guance, una voglia matta di mettermi in ginocchio e il fiatone a mille.

Ci guardiamo negli occhi e i suoi sono così vuoti che non riesco a leggerci <<Ti...ti ricordi quando a voler scappare ero io? Quando pensavo che il tuo aiuto fosse inutile?>> annuisce <<ecco...io non ti lascerò andare>> ma al suo sospiro, abbasso lo sguardo e mi rendo conto di quanto tutto sia sbagliato — sono la prima a non sopportare chi insiste sapendo di non essere corrisposto, non posso trattenerlo, sono patetica. <<J-Johnny...>> inizio a balbettare, le parole mi muoiono in gola e lo stringo forte a me sentendomi una stupida bambina che parla semplicemente al suo attore preferito che sta per andare via. <<Ti prego. Non andare. Non lasciarmi di nuovo.>> lo supplico, mi ritrovo col mondo sulle spalle quando riempie il petto e una lacrima squarta velocemente la mia guancia rossa mentre lascio piano il suo corpo, il suo cuore, la sua anima...forse per sempre.

𝑇𝑖𝑒𝑛𝑖𝑚𝑖 𝑝𝑒𝑟 𝑚𝑎𝑛𝑜 ×𝖇𝖊𝖋𝖔𝖗𝖊 𝖞𝖔𝖚 𝖌𝖔× Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora