Chapter 65

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*Harry's POV*

Non ho nemmeno la macchina. Era stata mia madre a portarmi a scuola, questa mattina. "Non c'è bisogno che tu vada a piedi, o che chiami un taxi" mi aveva detto, sorridendomi bonaria mentre indossava la pesante e finta pelliccia di zibellino che mio padre anni prima le aveva regalato. "Devo comunque andare al centro accoglienza, giù in città. Non mi farà certo male arrivare di qualche minuto in anticipo". Fu così che spense ogni mia possibile forma di ribellione e protesta, indicandomi chiaramente che nessuna parola la quale fosse uscita dalla mia bocca l'avrebbe convinta a desistere.

Se non avevo avuto modo di pensare, in completa solitudine, alla mattina, lo avrei avuto quantomeno al ritorno, pensavo. Così, ora che mi guardo attorno nel parcheggio, avendo così modo di constatare che la vecchia auto di mia madre non sembra essere in vista, posso rilassarmi, tirando un delicato ma ben sentito sospiro di sollievo.

Ho il telefono ancora stretto nella mano, mentre mi avvicino alla fermata dell'autobus, quella più vicina. Inevitabilmente mi scappa di sorridere al pensiero della prima volta che mi ritrovai in piedi accanto a questo traliccio culminante con un opaco pannello luminoso, quando spinsi Louis a rispettare il suo incontro con Liam, incaricandomi così io stesso di ordinare i libri scolastici al posto suo.

"E se non avessi scelto di ordinare i suoi stessi libri, e frequentare la scuola con lui? Ora tutto questo sarebbe ugualmente successo?"

"Probabilmente no" penso, facendo spallucce e riponendo il telefono nella tasca posteriore dei jeans, senza nemmeno crucciarmi che ne tocchi veramente il fondo. "Anzi, sicuramente non sarebbe successo. Non avrei mai incontrato Zayn, e con ogni probabilità nemmeno Teddy. Louis mi sarebbe venuto ugualmente a recuperare a New York, ed io mi sarei in seguito trasferito a Londra per esigenze prettamente scolastiche, e infine-"

"Infine vi sareste persi di vista" conclude una vocina al posto mio, aiutandomi così a completare la frase con quelle parole che mi sarebbero altrimenti restate impigliate nei meandri della mente, troppo dolorose per essere anche solo potenzialmente pensate.

Sento il gelo percorrermi le ossa, e se una parte di me sa che la vocina ha ragione, l'altra si ritrova a pensare se davvero sia possibile per me e Louis restare distanti. Perché un angolo recondito del mio Io più profondo, continua a sostenere imperterrito che, in un modo o nell'altro, ci saremmo rincontrati: in una discoteca, forse, dove entrambi saremmo stati letteralmente trascinati, venendo presi per le orecchie; o forse fra vent'anni, quando entrambi avremmo già messo su famiglia, e allora ci saremmo ritrovati a discutere delle nostre diverse famiglie davanti ad un boccale di birra munito di due cannucce, e alla fine della serata saremmo finiti con il fare ciò che facciamo sempre, quando le parole sembrano essere troppo deboli perché esprimano ciò che in cuore sentiamo: avremmo scopato; fatto l'amore, se vogliamo dare al termine un tocco di romanticismo.

Penso alla chiamata appena avuta con Ed mentre l'autobus accosta piano al lato della strada, ed io mi ritrovo schiacciato fra una ragazzina di non più di una dozzina d'anni, e un vecchio anziano con un bizzarro ciuffo di capelli sparato in aria. Sorrido, ripensando a come l'irlandese mi abbia fatto uno svogliato, fiacco terzo grado.

"Domande alle quali hai mentito. Come sempre" dice una voce, puntigliosa, spingendomi così ad abbassare il capo. Mentire non è mai stata impresa facile, dal canto mio; ma arrivano momenti della propria vita nei quali fingere si rivela essere necessario.

E non avrei mai potuto rispondere alle domande inerenti alla festa di Zayn rivoltemi da Teddy dicendogli cose come "ho mandato tutto a puttane" e "sono uno stronzo"; nemmeno Nadine, con la quale avevo avuto una discreta conversazione al termine della sera, era al corrente di ciò che avevo passato davvero, interiormente.

No ControlDove le storie prendono vita. Scoprilo ora