Chapter η

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Era passato circa un anno, da quando Louis era entrato a far parte del loro duo. Zayn non era a conoscenza dell’esatto ammontare di giorni trascorsi, ma di una cosa era ora sicuro: un anno, giorno più, giorno meno, è in grado di cambiare le cose; oh, se era in grado di cambiarle.

Il rapporto fra Zayn e Evan si era freddato; quello costruito con Louis e il suo migliore amico, congelato in una bolla di sapone, ora vagamente somigliante ad una galassia, un universo lontano lanciato nello spazio e rimasto intrappolato fra due meteoriti rocciosi.

Non che lui ed Evan avessero propriamente litigato. Quella avvenuta nel loro rapporto non era stata una scissione derivante da gelosia, o da qualche stupida, insignificante incomprensione; non era stato il fatto che Evan non lo avesse chiamato nemmeno dopo che Zayn fu rientrato in città in seguito al suo inaspettatamente prolungatosi soggiorno in Pakistan.

Era stato quello che Zayn aveva scoperto dopo che Liam si era premurato di parlargli al locale, gli occhi inondati di lacrime; il fatto che fosse stato Zayn, a ritrovare Louis, e che il ragazzo fosse pressoché ridotto a una larva, un bozzolo vuoto accantonato contro il vano lasciato vuoto dalla stretta area compresa fra la parete e il letto.

Ricordò, Zayn, mentre camminava per le fredde strade inglesi, di come avesse sentito il suo cuore stringersi, e una rivelazione sconcertante (quella che Evan avrebbe potuto ridurre in quello stato perfino lui stesso, se solo lo avesse voluto) atta a sconvolgergli la mente, causandogli un turbinio inarrestabile all’interno del suo cervello che, puntualmente, gettò all’aria tutti i suoi pensieri altresì ben riposti sugli scaffali della sua memoria; quei pensieri che Zayn sapeva non sarebbe mai più stato in grado di mettere in ordine.

Si era rabbuiato, Zayn, quando chinandosi aveva accidentalmente urtato con il ginocchio la struttura inferiore e lignea del letto, e Luis aveva sussultato, dinnanzi a lui, la testa piegata in avanti, le tempie strette fra le ginocchia tremanti, le mani predisposte a rincorrersi, continuamente, senza mai darsi un istante di tregua; senza che avessero un vero e proprio posto nel quale approdare.

Aveva pensato, Zayn, che il ragazzo accovacciato lì di fronte a lui non potesse essere Louis. Ma quando quest’ultimo alzò lo sguardo, e i suoi occhi incontrarono quelli scuri ma allo stesso perfettamente leggibili del pakistano, quest’ultimo non ebbe alcun dubbio sul nome del loro legittimo proprietario.

Ricordò, Zayn, mentre, le mani conficcate in tasca, camminava a testa bassa sotto gli ingrigiti e minacciosi cieli del Cheshire, di come fosse stato straziante ascoltare Louis parlare, le parole annaspanti in mezzo ai suoi innumerevoli, forti singhiozzi. Era stato lui stesso, a costringerlo, nemmeno troppo elegantemente, a raccontargli cosa diavolo fosse successo, e perché mai si fosse comportato in quell’assurdo e bambinesco modo, finendo così con il far stare in pensiero tutti quanti.

Non disse, Zayn, che quel “tutti quanti” coincideva al momento con il solo nome di Liam; concentrato com’era a maledirsi per essere stato così precipitoso, per aver voluto deliberatamente giocare allo spregevole gioco del fingersi una persona autoritaria, non avrebbe potuto pensare a null’altro.

Mentre Louis parlava, e il dolore trapelava dalle sue parole, dagli occhi traboccanti di lacrime sebbene le palpebre fossero calate, la bocca dalle labbra screpolate e tirate in una linea che mai e poi mai, temette Zayn, sarebbe tornata ad assumere la gentile e sinuosa piega di un sorriso, tutto ciò a cui il ragazzo riusciva a pensare era che il suo cuore stata morendo; che la sua mente si sarebbe rifiutata di accettare e catalogare come vero ciò che Louis aveva da dirgli, e che sarebbe finito con l’ammazzarlo, intimandogli di tacere, prima della fine della giornata, quando il sole torna a cedere il posto alla luna e i più mattinieri rientrano, stremati, a casa.

No ControlDove le storie prendono vita. Scoprilo ora