Chapter 59

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*Harry's POV*

La notte è buia, e la luna, per buonissima parte già coperta dalle fitte nubi, svetta alta nel cielo; maestosa, impone la sua luce al mondo sottostante con placida, delicata fierezza. I raggi lunari non sono come quelli solari, spesso fastidiosi e, se osservati da vicino o da lontano non ha importanza, accecanti; i suoi sono dolci, quasi consolatori. Spesso mi è capitato di ritrovarmi a chiedere aiuto alle autorità celesti, e con il termine "autorità" non intendo Dio, o gli Angeli, o tutte quelle creature dalle fattezze incerte e mitologiche che tradizioni e religioni narrano vivere in cielo.

Ho sempre pensato alla luna, e alle stelle. A tutte quelle cose che, vicine o lontane che siano, riescono a sembrare comunque più vicine o più lontane... di quanto non siano. "Harry, l'aria londinese ti sta dando alla testa" sussurra una vocina, ridacchiando cristallina. Ella stessa, mi accorgo con mia tacita sorpresa, sembra aver tratto i suoi personali benefici da questa luce cose rasserenante.

Il viaggio fino a Londra non è stato così lungo come tutti in macchina avevamo temuto fosse stato. Preferii non avvertire Louis della mia partenza, che sapevo comunque non si sarebbe protratta per più di un paio di giorni. Sapevo che, se lo avessi messo al corrente del tragitto imminente che mi attendeva, avrebbe insistito per seguirmi; per stare al mio fianco, qualunque cosa mi avesse spinto ad allontanarmi.

Ricordo che appena arrivati nel piccolo monolocale di Nadine, entrambi i miei fortuiti e ritardatari accompagnatori si premurarono di ripulirmi per bene da ogni traccia di terriccio, e polvere, e sangue. "Avremmo dovuto farlo prima" aveva detto Nadine, sussultando ad un mio reciproco sussulto, causato da una fitta di dolore provocata dall'acqua ghiacciata infiltratasi all'interno della ferita sul labbro ancora aperta.

"Non avevamo tempo, Nadi" le ricorda Ed, sorridendole sornione; quasi a dirle che tutto ciò che era in loro potere è stato fatto, e che non avrebbero dovuto preoccuparsi di nulla.

Lei aveva sbuffato, chiaramente contrariata. Poi mi aveva sorriso, mentre con le labbra mi mimava un tacito "scusa", consapevole che la ferita che stava andando a disinfettarmi avrebbe ripreso a bruciare, probabilmente perfino più di quanto non avesse fatto fino a poco prima.

"Lo so" aveva detto poi, mentre con una mano tastava il mio polso, volendo forse assicurarsi che non rischiassi di svenirle dinnanzi da un momento all'altro. "Stavo pensando però che se la polizia o i controlli stradali ci avessero fermato- Ed, saremmo probabilmente finiti a trascorrere la notte in una cella, lo sai questo, vero?". Ridacchiò, nonostante le frasi da lei pronunciate fossero frasi di per sé abbastanza forti, dal contenuto piuttosto brusco; mi ritrovai a ridere a mia volta quando, alzando lo sguardo, colsi quello di Ed: gli occhi sbarrati e il pomo d'Adamo che faceva su e giù inutilmente.

"Harry?". La voce di Nadine mi strappa dal mondo appartenente ad un recente passato nel quale ero soavemente scivolato, riportando così con i piedi per terra. Torco il busto, giusto di quel tanto che mi è necessario per vedere la ragazza muoversi rapida nella mia direzione, il corpo avvolto in una morbida, soffice coperta.

"Che ci fai qui?" chiede, prendendo posto al mio fianco, le mani strette attorno a quella che mi pare essere una tazza di cioccolata calda; fumante. Sorrido, pensando che questo deve essere un chiaro segno lasciatole dalle sue origini austriache. "O forse no, e stai solo straparlando" suggerisce una vocina, e posso immaginarmela mentre, scenicamente, rotea gli occhi nelle orbite.

"Potrei farti la stessa domanda" dico, citando la frase di un qualche vecchio film famoso del quale ora mi sfugge il grottesco titolo. "Comunque, non riuscivo a dormire" ammetto infine facendo spallucce, tornando a rivolgere gli occhi alla luna, prendendo a mordicchiarmi l'unghia del pollice, nervoso.

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