Chapter 70

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Era da poco più di venti minuti che avevano lasciato il parcheggio dell'ospedale, Louis al volante della comoda e invidiabile auto d'epoca regalatagli anni addietro. Ridevano, e quando Harry si voltò in direzione del compagno seduto al proprio fianco, poté bearsi per qualche istante di quella che, a tutti gli effetti, ritenne essere una visione: Louis, la testa gettata all'indietro, gli occhi sbircianti da sotto le palpebre e le ciglia semiabbassate la strada fuggitiva dinnanzi e sotto di loro.

Tutto ciò a cui Harry riusciva a pensare, era quanto fosse fortunato. "Non tutti possono vantare di possedere un Louis Tomlinson" pensò il riccio, il petto gonfio di orgoglio, mentre sorrideva al pensiero di come Louis, in quel medesimo istante, apparisse ai suoi occhi come uno di quei prodotti per casa, che le casalinghe più infervorate vanno ad elogiare con le amiche prive di tale piccolo, costoso miracolo tecnologico.

"Sarebbe un aspirapolvere, se fosse un elettrodomestico" pensò Harry, ridacchiando sommessamente, attirando così l'attenzione di Louis, il quale si voltò a guardarlo, sorridendogli confuso.

"Che hai da ridere?" domandò poi il minore, le guance spolverate di una lieve tonalità rossastra, così lieve che, se soltanto Harry non avesse avuto modo di scolpire la sua immagine lungo le pareti del suo cervello, non avrebbe avuto modo di percepire; cogliere nella sua unicità.

"Nulla. Davvero, nulla" ribatté il riccio, sventolando fiaccamente una mano a mezz'aria, indicando poi a Louis l'asfalto fuggitivo, facendogli così intendere che sarebbe stato meglio per entrambi se avesse continuato ad osservare l'asfalto, anziché perdersi in mirabolanti, lontani mondi, rischiando così di causare la morte di entrambi.

"Quanto la fai tragica, Harry" lo derise una vocina, ma per quanto le sue parole fossero state di una serietà mista ad un'ingente quantità di esagerazione, Louis sembrò cogliere il suo suggerimento, e deglutendo nervoso si rimise dunque in carreggiata.

Harry accese la radio, nonostante la presenza di Louis a pochi centimetri da lui. "Ho voglia di sentire qualcosa che mi faccia rilassare per davvero" pensò Harry, ancora scosso dagli eventi precipitativi avvenuti nell'arco di quella corroborante giornata, mentre poggiava il gomito sullo spazio vacante lasciato dall'ora abbassato finestrino.

Continuava a pensare, Harry, e la sua mente sembrava essere un aeroporto nel pieno della sua attività; così rumorosa che perfino Louis, vuoi anche per l'azione combinata delle rughe che erano andate a decorargli il volto, si accorse che qualcosa non andava.

"Harry, piccolo?" lo chiamò dapprima, senza però ottenere alcun tipo di reazione da parte del compagno. Si schiarì la voce, più rumorosamente che poté, sentendo un bruciore sordo sorgergli in gola. Sospirò, spazientito, prima di premere prepotentemente una mano sul clacson, dando così vita ad un baccano assordante.

Vide Harry sobbalzare, al suo fianco, gli occhi spalancati, la bocca altrettanto malamente sigillata e una mano premuta con foga sul petto, in cerca di quello che Louis suppose dovesse coincidere con il proprio sottostante battito cardiaco.

"Sei impazzito?" chiese Harry, con mano tremante, cercando di darsi un contegno; di recuperare la palma ormai in procinto di spiccare il volo, per raggiungere così terre lontane.

Louis ridacchiò, sinceramente divertito, chiedendosi come potesse Harry essere così piccolo ed innocente, alle volte. Poi, fece spallucce, e "nulla. Mi sembravi troppo assorto nei suoi pensieri, così ho pensato che riportarti con i piedi per terra sarebbe stata una buona mossa, da compiere" fu tutto ciò con cui banalmente Louis trovò il modo di giustificarsi.

Harry sospirò, e il suo fu un sospiro carico di sollievo; di liberazione. "Avresti potuto chiamarmi in altri modi, Lou, senza rischiare che mi prendesse un infarto" sottolinea Harry, il sopracciglio inarcato, guardandolo torvo.

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