Chapter 20

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{Warning! In questo capitolo sono descrtitte scene a sfondo sessuale esplicite; per tanto, se siete sensibili, valutate bene la situazione. Che angolo avvisi inutile!}

*Louis' POV*

Non era passato molto tempo da quando mia sorella era venuta a cercarmi in cucina, chiedendomi se potessi aiutarla nella decorazione di una mensola. Ovviamente si trattava di ben più di una mensola: eravamo finiti col decorare l'intero salotto, appendendo calze lanuginose, e angioletti con tanto di arpe e trombe e tamburi, e qualunque cosa vi venga in mente di strettamente collegata al Natale per tutto il salotto.

La situazione era più o meno buffa: più per lei, meno per me. Mentre Daisy se ne stava con i piedi per terra, il visino solcato da rughe di profonda concentrazione, le mani a rovistare in questa e quella borsa cercando ciò che più ritenesse facesse al caso suo, io me ne dovevo stare come un equilibrista in piedi su uno sgangherato sgabello di legno: uno di quelli che, quando apri la seduta, mettono in moto il carillon, così antico da non funzionare poi più bene come una volta.

"Louis, quell'angelo è storto" ha detto mia sorella storcendo il naso. Ho lanciato una rapida occhiata al maledetto in questione, e con profondo rammarico ho dovuto constatare che sì, era proprio storto. Un errore di capitale importanza, al quale si può essere costretti a ripagare con le pene più severe, soprattutto quando esse stesse vengono dettate da una bambina di otto anni.

Penso in fretta a cosa dire, e poi "Daisy, non è storto; lo sembra, ma in realtà è così perché sta volando, e-". Le risate di mia sorella mi interrompono. Risate acute, cristalline; risate che normalmente mi farebbero sorridere, mentre ora come ora tutto l'effetto che riescono a sortirmi è quello di farmi accapponare la pelle.

"Louis" inizia lei, guardandomi con occhi che sanno, occhi che vogliono dire "stai provando a fregarmi, vero piccolo Louis?". "Quell'angelo è storto e basta"

"Mamma, perché le hai insegnato a marcare le parole?" penso mentre sconsolato torno ad allungare la colonna vertebrale, raggiungendo la statuina ciondolante per aria e dandole un colpo secco, riuscendo inspiegabilmente a raddrizzarla senza dover compiere poi così tanto sforzo come temevo sarebbe stato necessario.

"Louis, fai attenzione! Potevi romperla!". Daisy mi rivolge uno sguardo truce, ed io vorrei scendere e spettinarle i capelli e dirle che farebbe meglio a sorridere, perché ne avrà di tempo nella vita per arrabbiarsi.

"Potevo" ribatto, guardandola trionfo dall'alto del mio scranno. "Ma non l'ho fatto, per cui-"

Lei sbuffa, annoiata, girando gli occhi nelle orbite; "sei decisamente portata per il teatro, piccola" penso sorridendo, ricordando i tempi delle scuole elementari, quando quella pazza della maestra decise di farci recitare "Grease" davanti ad un pubblico di soli adulti. Ebbi un discreto risultato, io, interpretando al meglio delle mie capacità il ruolo assegnatomi di John Travolta. Un gran ridere, non c'è che dire.

Una manina mi tira la manica della felpa, di nuovo, e quasi temo che Daisy voglia dirmi qualcosa del tipo "dobbiamo decorare anche le finestre del bagno, Loueh", sfarfallando gli occhioni dolci, conscia del fatto che io non sappia resistervi.

"Louis, appendiamo le luci rosa, quelle da principessa. Ti va?"

La domanda da lei rivoltami è chiaramente una domanda relativa, una di quelle alle quali non bisogna veramente rispondere, se non nei mezzi e nelle misure volute unicamente dalla diretta interessata.

"Sì, Daisy, mi va" rispondo annuendo, pensando che quelle luci sono davvero di buon gusto, e che quella che sto pensando è una cosa altamente gay. I suoi occhi si illuminano, gioiosi; poi un sorrisino malizioso inquadra il suo volto, e un cattivo presagio mi invade la mente, facendomi pensare una catena di "no" scongiuratori che aspettano solo di essere accompagnati da un qual certo movimento del capo.

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