Chapter ζ

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{Per la lettura di questo capitolo consiglio il contemporaneo ascolto del brano In The End - Linkin Park}

Evan gli aveva mandato un semplice, coinciso messaggio. "Ci vediamo fuori da scuola" diceva, e poi "la roba l'ho consegnata io". Zayn storse il naso nel leggere quell'ultima parte, perché, come si era sempre premurato di dire all'amico, non era mai buona cosa mettere per iscritto tali scomodi fatti, specialmente via messaggio, dove anche una volta cancellati, non potevano venire realmente eliminati.

Aveva sbuffato, e roteato gli occhi nelle orbite, mentre si affretta a riporre il cellulare nella tasca posteriore dei decisamente troppo larghi pantaloni della tuta che amava indossa. L'unico capo d'abbigliamento che fosse di un colore differente dal suo proprio, solito nero, contenuto nell'armadio.

Lui non era un spacciatore, ed Evan ancora meno; l'idea di dare una mano a certi rivenditori della zona, di tanto in tanto, era venuta al biondo una sera, quando dopo una festa data sulla spiaggia nel mezzo dell'estate pensò che, forse, prendersi carico di svolgere qualche lavoretto sporco non fosse poi una così malvagia idea.

Ripensandoci ora, Zayn avrebbe detto che Evan aveva ragione: l'idea non era malvagia, ma ben cento volte peggiore. Il pakistano odiava lasciarsi tormentare dal pensiero che, se qualcosa fosse andato storto, sua madre lo aveva scoperto; fino ad allora, Pat si era limitata ad andarlo a recuperare un paio di volte alla centrale di polizia, solitamente in seguito ad una rissa o ad una guida non autorizzata condotta a folle velocità.

Ma detto ciò, pensava Zayn mentre usciva di casa, incamminandosi lesto lungo il marciapiede, in direzione della scuola, non avrebbe nemmeno potuto rifiutarsi. Non quando era stato Evan, a chiedergli di aiutarlo di tanto in tanto nelle sue scomode mansioni.

E Zayn, infondo, ritenne di amarlo, quel ragazzo tanto problematico al quale nessuno sembrava voler mai prestare aiuto, od anche solo un semplice, pietoso ascolto. Ma lui, lui si era fatto carico di Evan, e delle cose oscure che gli albergavano dentro. Erano corsi insieme da un ospedale all'altro, e mai Zayn aveva pensato di abbandonarlo; mai, nemmeno quando le situazioni si surriscaldavano e respirare sembrava divenire impossibile.

Dopo dieci minuti, Zayn era lì, dinnanzi all'ingresso dell'edificio, in attesa che Evan si mostrasse. Pensò che, probabilmente, si fosse nascosto da qualche parte, anche se l'ipotesi suonava stramba alle sue stesse orecchie; Evan non si era mai crucciato di nascondersi ai professori, o agli occhi indiscreti del personale scolastico, nemmeno in seguito ad una vera e propria evasione scolastica.

"Ma le cose cambiano" si affrettò a ricordarsi Zayn, un retrogusto amaro in bocca, le mani conficcate in profondità all'interno delle tasche del comodo giubbotto di pelle nera che era solito indossare, mentre i suoi piedi non si crucciava di aver preso a camminare nel fango, protetti com'erano da quegli spessi e borchiati anfibi, prolungamento del suo corpo strappatogli con violenta crudeltà al momento della nascita.

Stava camminando in tondo, Zayn, attraversando il prato umido e fangoso, cercando di raggiungere la parte posteriore dell'edificio, sforzandosi con tutto se stesso di non cadere a faccia in giù nel fango. Non avrebbe saputo spiegare perché si stesse muovendo proprio in quella precisa direzione; di certo, non avrebbe mai ammesso che qualcosa lo stava sospingendo dall'intero a seguire quella strada, qualcosa di tacito e insistente.

Non vi impiegò molto a riconoscere Evan, un punto ancora indistinto incollato con gli occhi alla recinzione metallica facente da divisore fra l'esterno e il cortile della scuola, il naso letteralmente trapassato all'interno di uno dei buchi creati dalla maglia di ferro e sporgente dall'altro lato.

No ControlDove le storie prendono vita. Scoprilo ora