Chapter 71

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*Louis’ POV*

Ero in camera mia, quando sentii suonare il campanello al piano inferiore; se fosse stata una qualunque mattina, una comune, come tante altre, dove non appena sveglio ti accorgi di avere la propria voglia di vivere posata sotto i piedi, e dove sai che, qualunque cosa tu proverai a fare, il lento e ben programmato scorrere delle cose continuerà, per l’appunto, a scorrere lento e programmato, bene, se fosse stata una mattinata di questo genere, avrei pensato che fosse stato il postino, a citofonarmi.

Avrei ritenuto plausibile perfino che mia madre avesse scordato qualcosa sul tavolo della cucina, o su una mensola in casa, se soltanto la mattinata non fosse stata confusa come invece si rivelò essere. Caotica, e tutto (ma proprio tutto) pareva essere sfocato; visibilmente fuori posto.

Ricordo chiaramente come il suono di quel campanello mi portò a sobbalzare, sconvolto, sul letto; come Eleanor, la quale aveva passato la notte con me, cercando vanamente di allontanare gli incubi e le lacrime e i tremori che non volevano accennare a lasciarmi in pace, continuando, al contrario, a tormentarmi, incessantemente, si ritrovò a sobbalzare a sua volta, i nervi a fior di pelle e gli occhi stanchi e adombrati, circondati da un profondo, solcato alone nerastro.

Sapevo come Eleanor si stesse sentendo inutile, in quel momento. L’avevo chiamata, sull’orlo della disperazione più euforica e totale, implorandola di raggiungermi; e lei, benché sapesse fin dall’inizio di non chiamarsi Harry Styles, e di non potermi per tanto proteggere da loschi e atroci solamente detti sogni notturni, si era offerta di restare, per la notta, se solo avessi voluto. Perché, mi disse, ci avrebbe provato. Ed io accettai.

Dopo qualche secondo passato col fiato sospeso, e le mani atte ad arpionare il lenzuolo e il materasso ricoprenti il letto, sentii Pat muoversi al piano inferiore, e chiusi gli occhi quando sentii il cigolio sordo prodotto dal lento (lentissimo) aprirsi del portone d’ingresso.

E fu così che sentii la sua voce: quella voce che avevo udito centinaia di volte, nei miei sogni, e che non avevo fatto altro se non desiderare di udire, magari a stretto sussurro con il mio orecchio, per l’intera durata di tempo che io ed Harry avevamo trascorso, stupidamente, lontani l’uno dall’altro.

Fu piacevole sentirlo, ancora una vola; sentire la delusione nel suo tono di voce quando Pat, prontamente, gli mentì, dicendogli dunque che non ero in casa, ma che mi trovassi piuttosto in un generico “da qualche parte”. Un posto che, pensai, avrebbe sicuramente coinciso con il cuore di Harry.

Fu piacevole, e allo stesso tempo mi ruppe; mi infranse il cuore pensare a come i suoi occhi dovevano essersi probabilmente scuriti, le sue spalle senz’ombra di dubbio ora erano afflosciate. Fu appagante sapere che, nonostante tutti i nonostante del caso, Harry si fosse presentato alla porta di casa mia, all’apice di una fredda mattinata di non ancora proclamata primavera, per me.

Sentii calde e pungenti lacrime spingere contro le pareti delle mie palpebre, protestando affinché le lasciassi uscire, ma non glielo concessi; prima, sebbene da lontano, volevo vederlo. “Solo per qualche secondo” pensai, come se fossi in dovere di fornire giustificazioni perfino a me stesso. fu così che mi alzai dal letto e, Eleanor al seguito, mi avvia verso il bagno. Lo stesso bagno dalla cui finestra avevo avuto modo di scorgerlo allontanarsi quelli che mi parevano essere diventati anni luce prima.

Lo vidi andarsene. Si girò, una sola volta, a guardarmi, spinto da qualcosa che definii scioccamente essere “mano di Dio”, ma alla quale non seppi realmente dare un’immagine; una delineazione ben precisa.

“Louis” mi richiamò Eleanor quando, dopo parecchi minuti trascorsi a fissare la strada ormai vuota, non avevo ancora accennato a smuovermi da lì. “Possiamo tornare in camera da letto? Non fraintendermi, questo bagno è perfetto, ma-“

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