Chapter 73

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*Harry's POV*

Ricordo ancora perfino l'esatto momento in cui mi svegliai; quello strano, dolce e allo stesso amaro istante, in cui i miei occhi si aprirono, ed un me stesso di soli sei anni, spaventato, eccitato e allo stesso tempo tremante, aveva ripreso conoscenza, alzandosi di scatto a sedere, per metà ancora coperto dalle sottili lenzuola con le quali era stato rifatto il mio letto.

Ricordo la paura, l'angoscia nello scoprire, poco alla volta, secondo dopo secondo, di che impasto fossero fatti i sogni; un po' come quando vai dal tuo migliore amico nel doposcuola, e scopri che sua mamma vi ha preparato un'intera teglia di biscotti fatti in casa, solo per voi. E tu sai, sai che non sono gli stessi che prepara tua madre nel vostro piccolo cucinino domestico, eppure quando li assaggi, la consistenza di questi ultimi (sconosciuti) non ti appare malaccio.

Così te li gusti, e morso dopo morso ne diventi sempre più succube: diventi schiavo dei granelli di zucchero e della leggere, pressoché invisibile spolverata di cannella con i quali sono stati spolverati; decorati, oserei dire, come se decorare il cibo fosse davvero importante, perfino più di quanto non potrebbe esserlo il semplice gustare.

Mi ero goduto il mio sogno. Il mio bizzarro, triste sogno. Mi ero goduto l'abate, e quei colori che, magicamente, sembravano essere scomparsi. Quei colori a cui ero così assuefatto, nel mondo reale, e che nei miei sogni supposi dovessero invece essere stati rubati.

Me lo ero goduto, ma ricordo comunque quel miscuglio di emozioni che nemmeno ora, a distanza, saprei descrivere, proprio come allora. Era una sensazione strana, quasi di smarrimento. Dove sentivo di essere felice e teso allo stesso tempo; dove mi era data possibilità di palpare rabbia, amarezza, e tant'altro.

Quando mia mamma era entrata in camera, forse allarmata in seguito ai miei respiri affannati (davvero troppo affannati, perché una madre potesse pensare fosse un semplice problema dettato da una narice otturata), si era precipitata nella mia direzione. E quando avevo sollevato i miei occhi nei suoi, così verdi ed eccitati come, lessi sul suo viso, non li aveva mai visti, potei scorgere i suoi nervi sciogliersi, i muscoli rilassarsi.

"Hai sognato?" mi chiese, sedendosi al mio fianco e lasciando che la mia testa poggiasse sul suo seno, mentre lentamente si apprestava ad accarezzarmi i capelli con una mano; con l'altra, senza quasi pensarci, in seguito ad un impulso dettato forse da un riflesso incondizionato, aveva afferrato l'inalatore, poggiato su un centrino in pizzo piango depositato sul mio comodino.

"Ha sognato?" chiese poi Gemma, la cui presenza avevo percepito ben prima che facesse capolino all'interno della stanza, i capelli scomposti e gli occhi assonnati. Vidi mia sorella con occhi diversi, quella volta, nuda se non per una semplice vestaglia di bianco cotone; più viva, ecco come mi apparve.

Anne sorrise, vedendola arrivare, mentre lentamente lasciava che le sue dita magre scorressero fra i miei capelli, districandone i nodi che le capitava talvolta di incontrare lungo l'inesorabile discesa verso il basso. Verso la mia schiena, la quale, una volta raggiunta, veniva lasciata l'istante successivo, per essere poi sfiorata qualche minuto più tardi.

"Credo di sì" rispose mia madre, spostando gli occhi sul mio sguardo inchiodatosi su di un punto indefinito, posto a metà fra il bordo del mio letto, il pavimento, e i piedi di mia madre, avvolti in quelle che alla sola vista si sarebbero potute descrivere come due morbide, vellutate pantofole rosa.

~

"Ora saprei come descriverlo" penso, ancora seduto al fianco di Liam su questa stupida di questa stupida aula di questa stupida scuola; e non dico che tutte le cose da me precedentemente indicate siano stupide perché le odio, o perché la verniciatura di questi mobili lascia nettamente a desiderare.

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