Chapter 47

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*Louis' POV*

Sono passate pressoché ventiquattr'ore da quando io e Harry siamo finiti col far l'amore nelle acqua fredde e serene del lago; da quando abbiamo discusso cosa fosse meglio lasciare scoperto della nostra relazione, e cosa fosse meglio tenere all'oscuro.

"Tutte cose che tu hai deciso, e che tu hai discusso" mi rimbecca la vocina, acida. Roteo gli occhi nelle orbite, zittendola. Mio malgrado, devo ammettere che, almeno sulla parte del decidere, è lei ad avere ragione. Se non avessi accennato all'argomento, probabilmente ad Harry non sarebbero mai passate per la testa idee balzane come le mie.

"Lo stai facendo per lui, Louis. Ricordatelo" sussurra la mia stessa coscienza, dandomi così modo di rilassare i muscoli, sciogliendo i nervi accavallatisi gli uni su gli altri, provocandomi non poche sensazioni fastidiose che con il tempo sono sicuro riuscirò a controllare.

"Perché cazzo hai scelto che ignorarvi di netto fosse la soluzione migliore, Louis" mi rimprovera il mio povero, affranto cuore; il quale non riesce a reggere alla vista di Harry appoggiato contro la lunga fila di armadietti, la schiena leggermente ricurva, a poco meno di venti metri rispetto alla panca in legno sulla quale mi ritrovo seduto.

"Perché la gente avrebbe parlato, dannazione! E lo avrebbero preso di mira" rispondo poi, gentilmente, stringendo i pugni fino a quando non sento i pochi rimasugli di unghie che mi sono rimasti raschiarmi con debole insistenza contro i palmi delle mani, pizzicandomi.

La verità è che sapere di avere Harry a così poca distanza da me, e riuscire a vederlo con così chiara nitidezza, mi sta distruggendo. Logorando, dall'interno, bucandomi gli organi e scucendo vecchie ferite. Temo che fra poco il mio corpo sarà dato in pasto ad una delle migliori emorragie causate da un improvviso e immotivato cedimento cardiaco; o almeno questo è il modo in cui vedranno i medici il mio corpo riverso al suolo, colmo di sangue.

"Ci penserebbe Liam, a salvarti" mi suggerisce una voce, definitivamente catalogata dai miei pensieri come la voce più ilare della storia. "Certo, Liam" penso, un retrogusto amaro in bocca.

Come ogni persona di questo mondo (me escluso, ovviamente) si sarebbe naturalmente immaginata, il corso di medicina frequentato dal mio migliore amico è qualcosa di piuttosto impegnativo: una pausa di dieci minuti al termine della terza ora, pausa pranzo (quando possibile, ovviamente) al termine della quarta. Semplice, lineare. Un piano categorico, non c'è che dire.

Peccato che adesso l'ora corrente sia la terza; la quale, per essere puntigliosamente precisi, non è ancora iniziata. Saranno trascorsi poco più di tre minuti da quando la lezione di inglese è terminata. La seconda delle due già affrontate nel corso della giornata, le quali non hanno fatto altro che lasciarmi sorpreso di quanto la mia proprietà di linguaggio non fosse calata di mezza tacca; proprio come le mie capacità ortografiche non avevano mostrato nemmeno un minimo cenno di miglioramento.

È stata dura passare le prime due ore lontano da Harry. Il riccio ha fatto di tutto per restarmi il più vicino possibile, lo riconosco. D'altra parte, come avremmo potuto non dare nell'occhio se ci fossimo attaccati come due cozze, due facce di una stessa identica medaglia?

Fortunatamente nessuno aveva prestato attenzione al mio ragazzo. La mia ansia era stata quasi completamente immotivata; fino a quando una sgualdrina dell'ultimo anno non è entrata in classe, per consegnare un foglio intonso all'insegnante. E un istante dopo che i suoi piccoli e graziosi piedini ebbero varcato la soglia, ecco che i suoi puntarono al viso di Harry. Il quale, teneramente, non si accorse di nulla. Fu l'occhiata che lanciai a quella ragazza dai capelli rosa e gli occhi grandi appesantiti da qualcosa come un quintale di mascara che la sconcertò più di ogni altra cosa, probabilmente. Prima di andarsene notai come mi guardò, confusa, gli occhi ora fortunatamente concentrati su qualcosa che non fosse Harry.

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