Chapter 68

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{Dedico questo capitolo al pilota giordano di recente caduto vittima di un mondo ingiusto e crudele e corrotto, Muath al Kasasbeh; riposa in pace, piccola Grande anima}

*Louis' POV*

Finalmente, parcheggio l'auto nel posto a me riservato, locato a poco più di tre metri rispetto al mio portone di casa. Le mani si ostinano a tremare, perdurando il loro impossibilitante movimento nel tempo. "Tutta colpa sua" penso, girandomi poi ad osservare il ragazzo seduto al mio fianco, ancora intento a passarsi maliziosamente la lingua sulle labbra, gli occhi assetati di fuoco; sesso.

Quando siamo usciti dall'ospedale, Harry mi ha chiesto, dolcemente, se per caso non potesse seguirmi. "Io non ho comunque nulla di meglio da fare" aveva detto, strusciando i piedi al suolo, contro il duro asfalto, le mani allacciate dietro la schiena e i capelli che gli ricadevano leggiadri dinnanzi al viso, curvato con gli occhi ad osservare la punta delle proprie scarpe.

Non sembrava essere sincero. E con questo mi ricordò che, per certi versi, anche io e il mio corpo reagivamo al suo stesso identico modo quando, da bambino, chiedevo a mia madre se per caso non potessi uscire fuori, così da raggiungere i miei amici al parco. "Ho perfino fatto i compiti. Non mi resta nulla da fare" aggiungevo poi, lesto, mentendole. E lei, forse accecata da un incondizionato amore materno, forse sinceramente convinta che ciò che le stessi dicendo corrispondesse a verità certa, mi concedeva di prendere le mie cose, e andarmene.

Fu così che mi ritrovai ad acconsentire, annuendo e sorridendo al tempo stesso, avendo dunque modo di osservare il viso di Harry nell'atto di sollevarsi e illuminarsi, contemporaneamente. "Sei un debole, Louis" aveva detto una vocina, punzecchiandomi; divertendosi a prendersi così gioco di me.

"Non sono un debole" pensai, deglutendo mentre, mano nella mano, ci avviavamo entrambi verso il lotto nel quale la mia macchina era stata parcheggiata, munita con tanto di biglietto stampato dopo aver profumatamente pagato il parchimetro.

Cercai di convincermi che il motivo del mio consenso, era stato dato unicamente dal fatto che, nel bene o nel male, Harry era un uomo. A volte mi risultava difficile, crederlo. Erano quelle fossette, o quelle mani grandi ma spesso impacciate, o gli occhioni immensi e verdi che alle volte si riempivano di lacrime, a spingermi a vederlo come se fosse un bambino. "Il mio, bambino" pensai, sorridendo inebetito, mentre la vocina riprendeva ignorata a farsi beffe di me.

Se soltanto ne avessi modo e tempo, ora resterei seduto qui, magari reclinando di poco il sedile all'indietro, così da renderlo più confortevole. Stenderei le gambe e le accavallerei su di loro, i piedi comodamente poggiati sul volante. Inviterei Harry a fare lo stesso, poi chiuderei gli occhi e, in un istante, sono certo che finirei con il rivivere le brevi ma intense avventure affrontate durante l'altrettanto razionalmente breve viaggio da noi appena compiuto.

So però che tale desiderio non può essere più che un mero, irrealizzabile desiderio, per l'appunto. Corrugo la fronte, scrutando attentamente la facciata apparentemente dormiente di casa mia. Ad una prima, rapida occhiata, potrebbe apparire come se tutto fosse in perfetto ordine. Perfino ad una seconda e una terza più approfondite, magari. "Ma non quando vivi in un edificio da anni. In quel caso, te ne occorre mezza, per capire cosa vi sia di sbagliato" penso, slacciandomi la cintura, gli occhi puntati sulle finestre dalle persiane sbarrate dei piani superiori, in uno stato di completa, spiritica trance.

"Louis?". Sobbalzo, riscuotendomi dai miei tetri, dubbiosi pensieri. Quando torno a guardare Harry, noto come il suo viso sorrida falsamente. "Cosa c'è che non va?"

Penso che sia davvero strano e spaventoso, delle volte, constatare fino a che punto Harry sembri conoscermi, nonostante sono passati soltanto un paio di mesi, dal giorno del nostro primo incontro. Scuoto la testa, cercando di darmi un contegno. Se fossi un eroe dei telefilm, questo sarebbe il momento per ammettere di essere altrettanto confusi, e di "non preoccuparti. Andrò io, in casa, tutto solo, mio dolce principe". Ma io non sono un eroe, e questa vita è fin troppo reale per poter seriamente pensare di trasporla su di uno squadrato schermo televisivo.

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