Chapter 57

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*Harry's POV*

Non credo di essere svenuto, non propriamente, almeno, come mi capita invece di svenire quando sento il petto bruciare e il cuore decelerare con una rapidità allarmante. Credo piuttosto che in questo caso i miei occhi si siano chiusi, celandosi dietro la cortina scura nata a causa delle palpebre abbassate, e che il mio corpo abbia deciso di mettersi in stand-by, per un attimo.

Sono ancora steso a terra, il piccolo volume regalatomi da Louis chiuso e riposto all'interno della mia giacca, lì dove so che starà al sicuro. "Pazzesco. Non hai pensato di evitare che il selciato di sfregiasse il viso: hai pensato a proteggere quel libro" dice una vocina, sinceramente sbalordita, ed io penso che ella abbia dimenticato molti aggettivi quali "unico" e "tuo" per descrivere al meglio il minuscolo oggetto che tengo ancora convulsamente stretto in una mano, entrambi nascosti sotto un lembo della giacca.

Lascio che il tomo si infili in uno dei grossi tasconi interni, quelli dei quali nessuno apprende mai appieno l'effettiva funzionalità, me compreso; eppure, in momenti come questo, ringrazi chiunque sia stato il luminare che si è preso la scocciante briga di inserire quei rettangoli di stoffa ricucita su se stessa in più, all'interno del progetto iniziale, quelle bozze in bianco e nero che gli stilisti sembrano amare con così tanto ardore.

Mi sollevo di una trentina di gradi dal duro suolo sterrato, facendo leva sul gomito, la cui pelle, a giudicare dal fastidioso pizzicore che viene trasmesso, durante l'arco di tempo utile al mio movimento affinché possa compiersi, alle mie cellule nervose, sembrerebbe essersi anche solo lievemente sfregiata.

Consapevole che chiunque mi abbia colpito sia ancora lì, a giudicare dall'ombra che si staglia fino a ricoprire parzialmente il mio corpo, decido di muovermi con estrema, profonda cautela.

"Alzati" ordina lui, perentorio. E questa volta, gli occhi tremuli a causa del ricordo di un vecchio terrore, quando ancora ero un ragazzino, e i miei coetanei trovavano piuttosto ilare deridere la mia sessualità, riesco a collegare la voce appena sentita a un nome, più che a un volto.

Sollevo la testa, e Zayn è lì, le gambe di poco divaricate, muscoli e nervi in tensione. "È come un cobra dopo aver puntato una succulente preda" penso, gli occhi appannati da calde lacrime causate da una rinnovata fitta di dolore. "In tensione" concludo poi, riacquistando con lenta progressività il prezioso dono fornitomi dalla natura della vista.

È alto. Non alto come lo era Nicholas, certo- pressappoco, la sua altezza e la mia coincidono. Ha i capelli corti, un ciuffo sbarazzino arricciato sulla punta, tendente verso l'alto. I capelli neri e corti, uniti al sottile strato di barba che, come una cornice, gli contorna il viso, gli conferiscono un aspetto ancora più altezzoso; autorevole.

Perdo il conto di quanti piercing siano stati prepotentemente incastrati nel suo volto. Non che io sia uno di quei ragazzi contrari ai buchi nella pelle, no di certo; secondo il mio modesto parere, non c'è nulla di male nel portare un anello al naso, o nel ritrovarsi con un buco al centro esatto della lingua. Ora che li vedo su di lui, però, il mio cervello giunge a pensare che, tuttavia, quei divertenti aggeggi costituiti di metallo colorato dei colori più disparati non mi piacciono poi così tanto.

"Ti ho detto alzati" ringhia lui, urlando silenziosamente, e Dio o chiunque abbia deciso con mia grande fortuna di vegliare su di me da lassù, mi infonde sufficientemente forza affinché il mio corpo e la mia mente possano cooperare, senza che nel mentre vi siano spiacevoli inconvenienti, i quali potrebbero forse risultare spiacevolmente fatali.

Quando le mie gambe trovano una certa stabilità, e i miei piedi sembrano finalmente essersi ancorati al suolo, decido che, forse, sia questo il caso di sorridergli; di dimostrargli che non ho nulla contro di lui, e che la sua reazione apparirebbe perfino al soffice terreno alle nostre spalle esagerata tanto quanto immotivata.

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