Capitolo X - Grant

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Guardo Inès mentre il dottore le fa gli esami ma non la vedo, non vedo niente in questo momento. Da quando ho visto le due lineette sul test il mio cervello si è fermato, non riesco a ragionare, cosa dovrei fare adesso? Com'è potuto succedere? Sono le uniche due domande che riesco a formulare nella mia testa, ovviamente non lascerò da sola la mia ragazza, è un problema di entrambi, ovviamente non sarebbe stato un problema se fosse capitato tra qualche anno ma adesso ho rovinato tutti i sogni di Inès, dovrà mettere da parte il suo sogno di andare a Stanford e io dovrò abbandonare gli studi, devo lavorare e mantenere la mia famiglia. Questo decisamente è il compleanno più strano della mia vita, non festeggio un compleanno da quando avevo 5 anni, ma quest'anno era diverso volevo stare con Inès ma a quanto pare il destino è contro di me. Non so spiegarmi come mi sento, il mio lato egoista è felice perché amo Inès e questo ci legherà ancora di più e per tutta la vita, ma da una parte sono spaventato, cosa può offrire un ragazzo come me ad un figlio? L'unica certezza che ho è che non voglio essere come i miei genitori, non posso commettere i loro errori. -Congratulazioni! - la voce del dottore mi riporta nella realtà, guardo Inès che mi sta fissando terrorizzata vorrei solo dirle che deve star tranquilla e che faremo tutto insieme ma le parole non mi escono, la colpa è del mio carattere non sono abituato ad esprimere i miei sentimenti con le parole. La guardo illudendomi che tutto quello che mi passa per la testa lei lo possa leggere attraverso i miei occhi, che idiota che sono. 
Il dottore dice che siamo entrati nel secondo mese di gravidanza abbiamo poco tempo per decidere cosa fare, non riguardo al bambino so bene che entrambi non vogliamo né abortire né darlo in adozione ma dobbiamo pianificare il nostro futuro, decidere dove vivremo, non possiamo sicuro stare nel rifugio del bosco, non è un luogo adatto per un bambino e ancora meno adatto per una bambina. 
Vedo l'infermiera che consegna ad Inès opuscoli sulle adozioni aperte e chiuse.
-Non regaleremo il nostro bambino a degli sconosciuti. - dico io mentre butto quei volantini, nel caso Inès non volesse il bambino me ne farò carico io. Non sono preoccupato di quello che diranno i miei genitori, ho diciott'anni da quasi quindici ore, a loro poi non è mai importato di me; sono preoccupato per quello che diranno i genitori della mia ragazza, sono molto tradizionalisti e cattolici non mi stupirebbe se la mandassero via di casa o peggio. 
Arriviamo in macchina, anche se siamo soli non riesco a parlare, odio il mio carattere ed odio me stesso per tutto il male che faccio alle persone, metto una mano sulla gamba di Inès come se questo potesse trasmettere quello che penso, so che lei ha bisogno di sentirmi dire delle cose ma in questo momento non riesco a parlare. Ritorna la mia parte egoistica, sono felice perché potrò finalmente dimostrare ai miei genitori come si cresce un figlio. Arriviamo nel nostro rifugio, Ecìja si mette sul letto e la vedo mentre si tocca la pancia, è così dolce, ancora non crede che lì dentro ci sia una vita, un'altra vita che rovinerò col mio squilibrio mentale. Troppi pensieri mi affolano la mente mi metto seduto al tavolo e prendo la testa tra le mani, non so cosa dire per rendere tutto questo più semplice. Inès mi chiede di parlarle, di dirle qualcosa ma non riesco a dire niente così la riporto a casa e vado al parco, voglio stare da solo e casa mia non è il posto giusto, sicuramente da quando sto con Inès il rapporto con i miei è migliorato, mi controllano meno e grazie alla sua influenza cominciano a fidarsi piano piano di me, ma ora non voglio vederli, sento che sto per cadere in uno dei miei attacchi, non voglio che un muro si trovi davanti a me quando avrò voglia di dare un pugno. 
Arrivo al parco e mi siedo sulla panchina, spesso vengo qui con la mia ragazza, ci piace inventare storie sulle persone che passano, immaginiamo come possa essere la vita di quegli sconosciuti. Ci sono tanti bambini che corrono e tante coppie con neonati che passeggiano, credo di non aver scelto un buon posto per svagare la mente. Vedo Cressida con le sue amiche in lontananza, "devo trovare il modo di sparire" dico tra me e me, ma è tardi mi ha già visto e come sempre viene verso di me per pressarmi. 
-Come sta Inès? Oggi in classe ha preso una bella botta quando è svenuta - già, se fosse solo quello sarebbe già tutto risolto. 
- So che non ti importa davvero ma sta bene.
- Mi importa di te quindi mi importa anche di lei. Vuoi fare due passi? Ti vedo preoccupato. - annuisco. Perché ho accettato? Ci incamminiamo per il parco, lei è qui che sta parlando senza mai fermarsi, mi parla di scuola, del suo nuovo taglio di capelli e della nuova manicure da 150 dollari che ha appena fatto nel nuovo salone in centro, niente di tutto questo mi interessa ma non ho la forza per litigare con nessuno oggi e quindi sto in silenzio.
-Hai già progetti per il futuro? Cosa farai dopo il diploma? - mi chiede nell'intervallo del suo monologo, che domanda buffa, tutto il futuro che avevamo progettato è svanito stamattina quindi non so cosa rispondere. 
- Non lo so devo ancora pensarci. 
- Vedi Inès nel tuo futuro? - io vorrò sempre Inès ma non so se lei vorrà me. 
- Se me lo permetterà le starò sempre accanto. Tu che progetti hai per il futuro? 
- Considerando che l'unico ragazzo che mi interessa ora ha occhi solo per un'altra penso che mi concentrerò sull'università. Voglio andare ad Harvard. 
- Sei ambiziosa.
- Grazie. 
Non era un complimento, nella mia testa doveva essere un commento sarcastico ma a quanto pare la mia bocca e il mio cervello non sono collegati. Camminando raggiungiamo casa di Cressida non perde occasione per invitarmi a salire,  dovevo aspettarmelo non capisco perchè mi sono fatto convincere a passeggiare con lei, Inès non me lo perdonerà mai, so benissimo quanto la odia e l'ho fatto lo stesso, l'ho ferita, sono pessimo. Vedo Cressida che sta aspettando una risposta, proprio in questo istante capisco che non voglio far danni, non devo farli specialmente ora, e che l'unica persona con cui voglio parlare e con cui voglio stare è solo una. Saluto freddamente Clark e torno indietro, sono felice di non averla seguita, solo ora comprendo quanto io sia legato ad Inès, inizialmente non pensavo nemmeno di riuscire a provare questi sentimenti, ma sono nati in modo spontaneo e naturale che nemmeno me ne sono reso conto, in un anno e mezzo lei è diventata fondamentale per me e voglio che sia sempre presente anche nel mio futuro, avremo un bambino saremo una famiglia. Ho preso una decisione, e voglio correre a casa sua per comunicarle i miei pensieri, sono finalmente pronto a parlare, non voglio nascondere i miei sentimenti, non più. 
Tra qualche giorno sarà il compleanno di Inès le avevo già preso un regalo così prima di scendere lo prendo dalla macchina e lo stringo tra le mani, forse se le porto questo mi perdonerà più facilmente anche se lei non dà peso alle cose materiali, ma voglio provarci e poi mi serve un anello. Sono qui sotto alla sua finestra che fisso l’albero, non mi è mai sembrato così alto come lo vedo oggi, ammetto di aver paura della sua reazione, mi tremano le mani e mi sale l’ansia, voglio portarla via da qui, voglio che realizzi tutti i suoi sogni anche se questo potrebbe far svanire i miei, ma il mio unico sogno, in questo momento, è lei e nessun altro. Senza accorgermene ho scalato l’albero e sono davanti alla sua finestra, la sto osservando nascosto su questo ramo, più tardi devo dirle di mettere delle tende alla finestra, qualche maniaco potrebbe appostarsi qui per spiarla, è bellissima come sempre, è così dolce davanti allo specchio mentre guarda se l’è cresciuta la pancia.

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