21. Errori

4.1K 85 207
                                    


"Le uniche cose
che non si rimpiangono
sono le proprie follie."
Oscar Wilde

Confusa.

Ecco come mi sentivo.

Ryker continuava ad osservare il televisore come se avesse visto un fantasma.

Era diventato più pallido di quel che era già.

I miei occhi saltavano da lui alla signora al telegiornale, continuando a non capire.

Quel nome, Charlie Farrell, non mi era nuovo. Era stato picchiato da un branco di ragazzini circa una decina di giorni fa.

Così avevano detto i media.

Tuttavia, io ero ancora fermamente convinta che fosse stato Ryker con i suoi amici, malgrado non ne ebbi mai una conferma.

Che, però, arrivò in questo istante, quando realizzai.

Lui si era incupito non appena sentì quel nome.

Quando seppe che si era risvegliato dal coma cerebrale in cui era caduto.

Questo, significava, che le mie supposizioni erano vere ed era nei guai.

Poteva anche finire in carcere per tentato omicidio, già immaginavo questo scandalo scritto in ogni giornale.

Era figlio di una famiglia ricca e potente, i giornalisti non si sarebbero fatti scappare una notizia così sensazionale.

A pensarlo dietro a delle sbarre di ferro, in una cella stretta e fredda, ghiacciai anch'io.

Un brivido di freddo si espanse per tutta la mia schiena, fino a giungere alla base del mio collo, nelle vertebre cervicali.

Freddo che aumentò un'altra volta quando Ryker si sbloccò dal trance in cui era, rivolgendomi la parola.

«Eileen, vai in camera. Non uscire per il resto del pomeriggio.» m'impose senza dare una spiegazione.

Era visibilmente frustrato, e questo era capibile.

Ma, perché mi stava cacciando? Io volevo rimanere con lui.

«Assolutamente no. Non sei nessuno per dirmi cosa fare!» sbottai leggermente irritata.

Lui non seguiva ciò che gli veniva richiesto, non lo facevo nemmeno io.

Si era ormai alzato dallo sgabello di fronte a me, si stava incamminando per andare di sopra, tuttavia, nel momento in cui sentì il mio dissenso, si fermò.

Si girò e mi osservò con la mandibola stretta, temetti che si potesse spaccare i denti per quanto la stesse tenendo chiusa.

Ero ancora dietro la penisola, l'unica cosa che ci divideva oltre un altro metro d'aria.

Stetti fissa al pavimento a scrutarlo.

Emise un ringhio breve e intenso, per farmi capire quanto lo avesse fatto arrabbiare la mia risposta e strinse una delle due mani in un pugno.

Si voltò di nuovo e proseguì per i suoi passi.

«Devo fare una chiamata» borbottò informandomi.

Poi, scomparì andandosene via.

Sbattei le ciglia impietrita da quello che era appena successo.

Era così turbato che, anziché discutere delle mie decisioni contrastanti con le sue, aveva deciso di ignorarmi.

Questa notizia mi aveva fatta passare in secondo piano, perciò... La situazione era davvero così grave?

Ma certo che lo era... Rischiava la galera insieme a chi lo aveva aiutato.

The Love In Your EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora