38. Memento mori

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"Sai come il diavolo tortura
le anime nell'inferno? [...]
Le mantiene in attesa."
Carl Gustav Jung

Vuota.

Vuota ma sofferente.

Ecco come mi sentivo nelle ultime ore, nonostante avessi provato a spegnere ogni briciola di dolore, cancellando i pensieri.

Eppure questi non facevano altro che tornare nella mia tesa. Mi tormentavano e non riuscivo a mettere una fine, poiché, nel profondo, non volevo.

Non desideravo dimenticare e far finta di niente, qualcosa era successa e, nel bene e nel male, ci sarei dovuta convivere fintantoché le cose non si sarebbero sistemate.

Perciò, fino ad allora, non avrei fatto altro che stare chiusa in camera, evitando lo sguardo critico di Daniel e quello freddo di Ryker. Al suo solo ricordo, mi si rizzavano ancora i peli del collo.

Ieri mattina era stato diverso, c'era qualcosa in lui che mi allarmava. Il suo cambio d'umore improvviso, all'inizio, non mi aveva sorpresa. Poi, però, percepii che si stessero insidiando altre emozioni in lui. Brutte e velenose, che lo portarono a reagire in quella maniera.

Non era stato titubante, non ascoltai nemmeno note di rimorso nelle sue parole, ed era quello che più mi aveva ferita. Se non si era pentito, voleva dire che era sincero. Che l'unica ad aver frainteso in quella stramba non-relazione ero io.

Un altro singhiozzo che mi smorzò il fiato risuonò tra le pareti della mia camera, illuminata dai primi raggi del giorno. La luce dell'alba era riuscita a far andare il buio della notte, ma non quello che si rifugiava in me.

Era mattina e sarei dovuta andare a scuola, seguire le lezioni, incontrare Chloe e Josh, scherzare e chiacchierare con loro come se nulla fosse, e, soprattutto, chiedere notizie su Olivia.

Nell'arco di ventiquattr'ore mi erano accadute così tane cose da farmi agitare, tuttavia, solo Ryker era stato capace di disorientarmi del tutto.

Non facevo altro che crogiolarmi con quello che mi aveva detto. Anzi, urlato contro. Quando, invece, lì fuori, da qualche parte, c'era una mia amica, sola e indifesa.

Forse era stata davvero rapita dai The Masked. In quel caso, il mio disprezzo e il mio astio per loro sarebbero diventati sempre più grandi.

Non avrebbero dovuto coinvolgere un'adolescente innocente. Non avrebbero dovuto far male a nessuno, se avevano intenzione di farlo.

Per tutta la notte mi erano sorse mille domande diverse, su dove potesse trovarsi Olivia quel momento e se la sua incolumità era a rischio.

Però, malgrado fossi preoccupata, non era lei il mio chiodo fisso.

Per fare un esempio concreto, quella notte mi ero affacciata alla finestra, intenta a osservare il cielo stellato. Ma fui costretta a indietreggiare e tornare a letto, poiché, nonostante mi fossi promessa di dimenticarlo, anche la Luna mi ricordava di lui.

E mi odiavo per averglielo lasciato permettere, per avermi illusa.

Nietzsche diceva che chi non voleva dare retta alla verità, era perché temeva di vedere sgretolate le proprie illusioni. Difatti, era quello che feci io.

Ogni giorno, per mesi, da quando lo conobbi e iniziò a ronzarmi intorno, rimasi incastrata nella tela di un ragno immaginaria.

Mi convinsi di essere legata a lui, che Ryker mi bramava quanto lo desideravo io, ma era tutta una bugia e lui non perse tempo a rinfrescarmi la mente.

Avevo ignorato i segnali che mi dava quando diventava scorbutico, e, pensando che sarebbe stato momentaneo, che, poi, tutto si sarebbe aggiustato, non vi diedi tanto peso.

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