3. La Luna e le Stelle

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"Voi vedete il buio, io preferisco
contemplare le stelle. Ognuno ha il suo
modo di guardare la notte."
Victor Hugo

«Tesoro, tutto bene?» bussò qualcuno.

Mio padre aprì la porta ed entrò. Per primo mi scrutò e poi i suoi occhi marroni saltarono sul gatto disteso sopra il mio letto. Un sorriso iniziò a vedersi nel suo viso.

«Vedo che lo hai già incontrato... Doveva essere una sorpresa in realtà» disse dispiaciuto, portandosi una mano dietro la nuca.

A quel gesto mi dispiacqui anche io. Capii quanto ci tenesse e abbassai lo sguardo desolata.

Sentii dei passi venire verso di me e poi una mano mi prese la guancia fredda. Mi sollevò il volto.

«È tutto okay... Non è colpa tua. Ora andiamo a mangiare, che ne dici?» Suggerì.

Annuii sorridendo alla sua proposta, avevo una fame da lupi e ricordavo bene che lui sapesse cucinare magnificamente. Uno dei suoi tratti migliori. Portò la testa verso la mia fronte e me la baciò dolcemente. A volte mi faceva arrabbiare e tanto, ma era comunque l'unico genitore che mi rimaneva, gli volevo bene.

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La stanza da pranzo era molto grande. Una grande penisola in marmo con attorno degli sgabelli e un tavolo che poteva ospitare un'intera famiglia. Ma quale?

Lo stile era sempre moderno ed elegante.

La cena progrediva in un rigoroso silenzio, infranto a volte dal rumore delle posate. Non eravamo mai stati dei chiacchieroni, nessuno dei due. Tra me e mio padre rimaneva comunque una barriera invisibile e di certe cose non parlavamo. Pensavo che quel muro si fosse rinforzato nel tempo, non avendolo più spesso attorno. Ma il legame di puro affetto rimase ugualmente.

A un certo punto si schiarì la voce e si portò il tovagliolo alla bocca, cominciando un discorso.

«Domani inizi il college, agitata?» chiese tutto d'un fiato.

Non era una domanda scomoda ma era percepibile lo stesso il suo disagio.

Sgranai gli occhi sorpresa e dopo aver finito di sorseggiare l'acqua riposi il bicchiere sul tavolo.

Pensai cosa dirgli. Non mi aprivo quasi mai con qualcuno.

«Veramente non mi è passato neanche in mente...» Dichiarai tagliando la mia fetta di carne.

Poi alzai gli occhi verso di lui.

«Ho capito... ti accompagno io se vuoi.» si offrì gentilmente.

Da piccola mi portava a scuola e prendeva sempre lui, poi, be', le cose erano cambiate e ci andavo e tornavo da sola. Ricordavo ancora quelle mattine fredde e buie che mi svegliavano dal sonno.

Che volesse far tornare quell'usanza?

Accettai e nella stanza ricadde nuovamente la quiete.

«A Belfast, si ecco... avevi amici?», cercò di ottenere altre informazioni della mia vita in sua assenza.

Cosa si aspettava che gli rispondessi? Di sì? Oppure che odiavo la compagnia e che quindi ero sola?

«No» dissi schietta.

Non mi piaceva parlare delle mie amicizie. Sembrava stupido eppure lo detestavo.

Voleva dire parlare di me ed ero una ragazza molto introversa per discuterne con un "quasi" sconosciuto.

The Love In Your EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora