13. Cosa siamo io e te

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"I suoi occhi profondi
son fatti di vuoto e di tenebre."
Charles Baudelaire

Si dice che spesso le aspettative falliscono, e più spesso dove più sono promettenti; e spesso soddisfano dove la speranza è più fredda e la disperazione più consona.

Era proprio Shakespeare a sostenerlo, il quale, in sostanza, esprimeva che le aspettative talvolta si rivelassero deludenti, soprattutto quando sembravano molto ottimiste. Allo stesso tempo, le cose potevano superare le aspettative quando la speranza era scarsa e la disperazione era alta.

Quella frase capitava nel momento più opportuno, in quanto, dentro di me, perseverava la delusione e la frustrazione.

Shakespeare, però, non aveva parlato del caso in cui le aspettative fossero giuste e non elevate e la delusione fosse causata intenzionalmente.

A dirla tutta, probabilmente non si era mai ritrovato neanche nella mia situazione.

Ero infuriata con Ryker, prima di tutto, ma anche con me stessa per aver creduto a un ideale di lui che aveva preso forma solo nella mia testa, ma che, al contempo, poteva anche esistere, se solo il ragazzo si fosse convinto.

Adesso, avevo due strade da poter scegliere: o soprassedevo anche a questo fatto - il che sarebbe stato difficile dato che mi sentivo tradita -, oppure, mettevo un punto tra noi, che non avrei mai più valicato, e me ne sarei stata a crogiolarmi con le mie emozioni finché non sarebbe passato tutto.

Sbattevo in continuazione la matita sul libro di letteratura e avevo una mano che mi sorreggeva la testa piena di pensieri, dovevo studiare ma la mente non collaborava in quel momento.

In genere, ero sempre stata una ragazza che riusciva a trovare la giusta concentrazione anche nella confusione, ero sempre stata brava a creare una mia bolla personale in cui rinchiudermi. Invece, negli ultimi quindici minuti, mi stavo intrattenendo nel decorare il mio libro con insensati ghirigori.

Il chiasso che ronzava dentro di me era anche peggio di quello che si poteva sviluppare all'esterno.

E odiavo quando succedeva, poiché ero conscia che non c'era rimedio.

Detestavo che quella chiamata girasse senza fermarsi nella mia testa, come una canzoncina stonata.

Sbuffai e lasciai cadere la matita sulle pagine lucide d'inchiostro. Mi voltai e mi misi a pancia in su sul materasso, a osservare il lampadario a luci LED che pendeva dal soffitto della mia stanza, rotondo e semplice, nulla di sgargiante.

All'improvviso, avvertii un peso sulla mia pancia e alzai la testa per notare che Falvy fosse appena salito sul mio addome per essere coccolato.

Con il muso inclinato e gli occhietti azzurri che reclamavano qualche carezza, mi fece troppa tenerezza e cedetti. Rinunciai allo studio, che in quel giorno non avrei concluso, e concedetti le attenzioni al mio gattino.

«Tu non sei difficile, vero?» Feci finta che mi potesse capire. Era l'unico essere vivente con cui potevo parlare, del resto.

Certo, c'era Chloe, ma non volevo ammorbarla con i miei problemi con Ryker.

«Dovrebbe essere come te, sai?» Esclamai, vedendo che quella piccola palla di pelo mi stesse facendo le fusa, a seguito dei grattini sotto il mento.

Il mio cuore divenne miele e un delicato intreccio di emozioni positive si diffuse nel petto. Era la sensazione che si provava quando si veniva avvolti dall'affetto di qualcun altro, animale o persona.

«O forse lo è, ma deve fidarsi, prima», lasciai scorrere il dito sul dorso voluminoso e splendente di Falvy, osservando come avesse socchiuso gli occhi per la felicità.

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