5. Noi due contro il mondo

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Ryker

"Non si dimentica niente,
le cose cambiano solo posto
ma rimane tutto dentro."
Sigmund Freud

Il cielo era povero di nuvole e azzurro, proprio come accadeva di solito a fine primavera.

Quella giornata era notevolmente calda e il Sole, a quell'ora, aveva raggiunto la sua altezza massima e i suoi raggi colpivano forte tutti i tetti di ogni edificio di Manchester.

Riscaldavano l'asfalto e penetravano i vetri delle finestre, illuminando gli interni.

Quella luce riusciva ad arrivare ovunque, tranne che da me.

L'avevo attorno, ma non dentro di me.

E, per una volta, mi chiesi cosa si provasse ad avere quel calore.

Adam lo assimilava all'affetto che si riceveva con un abbraccio, ma io, purtroppo, non potevo saperlo.

Non capivo la gente che sorrideva e abbracciava tutti. Che senso avevano quei gesti?

Non li comprendevo, affatto.

Eppure, francamente, non mi interessava così tanto capirlo.

In un mondo malvagio, perché bisognava essere buoni con chi non lo meritava?

Adam, ogniqualvolta, deviava il discorso con «ciò che semini raccogli», però per me era una cazzata.

In dodici anni della mia esistenza non avevo torto nessun capello a mia madre, ma lei era da sempre stata cattiva con me.

Perché sarei dovuto essere gentile con lei?

Il bene era solo un'utopia creata da persone che vivevano una realtà orribile. Insomma, per fare un esempio, in quanti volevano essere l'antagonista di un racconto? Nessuno.

Tutti volevamo essere eroi, ma, in realtà, eravamo tutti i cattivi.

Il bene non esisteva, tutti eravamo infetti dalle tenebre.

Ci conveniva nasconderlo, come conveniva a mia madre mostrarsi sempre di tutto punto per celare i suoi modi 'alternativi' per impartirmi l'educazione.

L'ipocrisia era un male nato dall'oscurità della nostra mente.

Tutti a voler essere perfetti e invincibili, occultando le fragilità, quando eravamo i primi a romperci come un pezzo di vetro.

In quel momento, era proprio un muro di vetro che stavo osservando, seduto su una panchina e sorreggendo il mio capo con le mani.

Facevo dondolare una gamba e guardavo tutti i ragazzini della mia scuola giocare e scherzare tra di loro, fuori nel cortile.

C'era pausa pranzo e mi sarei dovuto trovare in mensa a valutare se mangiare o meno il piatto del giorno.

Invece, non potevo, poiché Claire si era dimenticata di darmi i soldi per comprare qualcosa.

Avrei potuto portarmi qualcosa da casa, ma si era dimenticata anche di farmi preparare quel qualcosa.

Quindi, adesso stavo lì a studiare tutti i miei coetanei essere felici, provare quel tepore al petto che non avevo mai conosciuto.

Chissà cosa si provava a sapere di essere amati e capirlo...

I miei occhi andarono subito sull'unica persona che, tra l'ammasso di studenti, mi conosceva più di tutti, e sapeva andare ben oltre il mio carattere chiuso e solitario.

The Love In Your EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora