11. Tracce nascoste

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"E tu, adesso che mi
hai visto come sono veramente,
riesci ancora a guardarmi?"
George Orwell

Avevo lasciato mio padre in soggiorno a leggere il giornale e Amanda a parlottare con Angie, insieme all'ansia che ristagnava nello stomaco.

Dovevo andare, avrei fatto tardi.

Scrollai le spalle come se fosse stato sufficiente per togliermi di dosso tutte le paranoie del momento, che angustiavano la mia stessa psiche.

Dopo essermi fermata all'ingresso, davanti a uno specchio, mi diedi un'ultima sistemata e controllai per la millesima volta che tutto fosse adeguato e al suo posto.

Studiai con gli occhi le forme del mio corpo stare discretamente nei jeans stretti che avevo scelto di mettere, e constatai felicemente che le zeppe di cui ero scettica, invece, risaltavano le caviglie snelle.

Era una giornata calda, dunque, per assicurarmi di non sudare e risultare sgradevole, avevo messo una canottiera bianca con bretelle sottili. Il tessuto era decorato con un motivo a fiori traforato, simile al pizzo, invece la parte inferiore era svasata, creando un effetto peplum.

Riflettei all'ultimo minuto, adocchiando l'elastico nero dei capelli al polso, di legare le ciocche in una semplice coda.

Dovevo affrettarmi.

Giusto, giusto.

Mi catapultai fuori casa e, una volta che la porta si richiuse dietro di me, mi portai una mano al petto e sobbalzai nell'accorgermi di Ryker, stanziare a qualche passo da me, con le mani in tasca e il suo fascino oscuro.

«A volte mi chiedo se hai qualche ossessione sadica di sorprendere la gente da dietro e farla spaventare» borbottai infine.

Intuii fosse alle prese con delle sue congetture per l'inclinazione che aveva dato alla testa e il modo in cui mi guardava, al quanto esitante.

«Vai da qualche parte?» fu costretto a domandare.

La tensione che provavo era tanta, e in situazioni come queste mi irritavo facilmente, benché non lo volessi davvero.

«Sì, ho un impegno. Tu sei qui per tuo padre? Gli hai parlato?»

Non avevo informato nessuno della mia meta quel pomeriggio, avevo paura che sarebbe successo un contrattempo improvviso e preferivo evitare. Perciò non gli feci sapere nulla, passai subito a chiedermi il motivo per il quale ci facesse lui qui, dato che ormai abitava lontano.

Sapevo che aveva una conversazione con Hank da fare, quindi pensai che fosse questa la ragione.

«L'ho già visto, ma non è venuto fuori nulla. È come se qualsiasi strada imbocchiamo, arriviamo sempre a un vicolo cieco.», mi mise al corrente dei suoi dubbi.

E ci pensai su prima di dargli una risposta, aiutandomi anche con una dritta che avevo imparato proprio da lui.

«Forse perché non vediamo il resto della strada» aggiunsi, facendo schioccare la lingua. «Forse ci fidiamo un po' troppo e siamo superficiali»

«Mi stai dicendo di dubitare perfino di mio padre?»

«Ryker, la soluzione non può essere sbagliata, ti ha omesso sicuramente qualcosa»

Fu proprio quella mia risposta a stupirlo di più, lo colsi dalla sua fronte piena di piccole rughe e dagli occhi stretti. Probabilmente non se lo ricordava e non ci aveva ancora pensato, ma rammentavo bene quando dei ladri avevano fatto infrazione a casa mia, durante una cena di lavoro, in cui le famiglie invitate erano quella dei Gray e dei Fisher, e Hank Gray era stato preso di mira.

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