37. Devi andare via

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"Volevo solo trovare
una persona con
cui riposare l'anima."
Jack Kerouac

«Una scuola elementare?»

Alzai lo sguardo e mi coprii la fronte con la mano per impedire a un lampione di abbagliarmi. Si era fatto buio e non avvertivo più i raggi del Sole penetrare la mia pelle.

«Un parco giochi.» esclamò Ryker, invece. Ma non capii a cosa si stesse riferendo, perciò portai lo sguardo dall'altra parte della strada, concentrandomi su uno spiazzo di giardino, illuminato solo dalla luce di uno dei tanti lampioni che illuminavano la via deserta.

Avevamo parcheggiato a poca distanza da lì. Ed eravamo stati fortunati a trovare un parcheggio abbastanza raccomandabile da lasciare incustodita la macchina di Ryker per un po'.

«Sono quasi le sette di sera, non c'è nessuno» feci notare al ragazzo.

Nella mia mente c'erano troppi punti interrogativi, ma se avesse voluto guardare i bambini giocare, sarebbe dovuto passare l'indomani mattina, non a quell'ora.

«Proprio per questo siamo qui, ora. Dai, vieni.» m'invitò con le mani in tasca, dopo aver buttato una sigaretta appena finita sull'asfalto.

Attonita e raggomitolata nella mia giacca di jeans, l'osservai incamminarsi verso un vecchio scivolo rosso e scolorito, che raggiunse in poco tempo grazie alle sue grosse falcate.

Solo quando fu vicino a esso si voltò verso di me, con il volto rigido e impenetrabile, incoraggiandomi ancora per una volta ad andare da lui. Per cui, tacitamente percorsi l'intera area di giochi, calpestando la piccola ghiaia bianca sotto le scarpe.

«Credo dovresti spiegarti meglio, questo luogo è inquietante.» borbottai con i denti stretti, si moriva di freddo. Perfino il leggero venticello non giovava, lo stesso che mi scombinava i capelli.

Ryker, tuttavia, era divino anche con il ciuffo spettinato. Non ero in grado di comprendere quale fosse il suo segreto per restare sempre perfetto, in qualsiasi situazione.

«Oh, già, non ti ho avvertita che a pochi isolati da qui c'è un manicomio, dovremmo stare attenti a non fare brutti incontri», mi riferì non smettendo di guardare un punto dietro alle mie spalle.

E io che quasi ci stavo cascando...

Eppure, quando mi resi conto che si trattava solo di una presa in giro, era troppo tardi, poiché avevo già strabuzzato gli occhi terrorizzata e lui si era messo a ridere.

«Divertente, davvero divertente! Adesso, potresti smetterla di fare il cretino e spiegarmi come mai siamo in questo posto?» urlai, e la mia voce si perse nel nulla della notte. Diedi anche un pugno leggero sulla spalla di Ryker, che non smetteva di ridere. E la sua risata non si smarriva, non la lasciavo scappare. L'avrei immortalata per sempre, bella com'era.

«Vedi la scuola laggiù?» M'indicò alzando il mento.

Mi fece voltare verso il grande edificio ristrutturato, che di giorno accoglieva decine di bambini, se non centinaia. Ciò spiegava la presenza di un parco giochi.

«Ci andavo io, da bambino» mi informò, dopo. Ma non sembrava essere nostalgico.

Non appena la sua voce cupa raggiunse le mie orecchie, mi girai per riflesso. Fui sorpresa nel constatare che stesse guardando me. Le sue pozze cristalline stavano accarezzando le mie più scure.

Allora, per reagire, allargai la bocca. Mi dovetti sforzare a parlare e a sciogliere l'incantesimo che mi aveva lanciato con gli occhi.

«Perché? Perché mi stai facendo vedere tutto questo?» Domandai senza perdere le speranze. Mi ero abituata al suo essere misterioso, ma io ero curiosa e volevo delle risposte.

The Love In Your EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora