33. I mostri dentro di me

3.6K 77 111
                                    

Ryker

"Bisogna avere in sé il caos
per partorire una stella che danzi."
Friedrich Nietzsche

Non mi ero mai soffermato a riflettere molto sui momenti che mi passavano davanti agli occhi.

A provare sentimenti per i deboli, come la vergogna.

Il vortice della collera mi aveva talmente risucchiato che ero pregno solo di quello, rabbia pura.

Non mi curavo di quel che le mie labbra pronunciavano e nemmeno di quello che facevano uscire le bocche altrui, tossiche come il veleno di un serpente a sonagli.

Non lasciavo che nessuno mi pungesse in alcun modo, poiché ormai la mie pelle era d'acciaio.

Lucente e vero acciaio, segnato da piccole ammaccature sulla superficie, cicatrici che sarebbero rimaste per sempre.

Non avevo scelta, mi ripetevo.

Non era colpa mia, urlavo.

Ma era solo nella mia testa.

Le grida riecheggiavano tra le pareti spoglie del mio subconscio e mi facevano compagnia giorno e notte.

Erano sempre le stesse. Volevano cambiarmi, eppure io non cedevo.

Mi sussurravano di Adam, mi perseguitavano con Claire.

Alle volte, fantasticavo come sarebbe stato se, un giorno, al loro posto, non avrei udito più nulla.

Magari, solo il canto degli uccelli, quello non dispiaceva a nessuno.

Ero stato sul punto di porre fine a quelle voci, ma ci volevano le palle per farlo, e io non ne avevo avute.

Mi ero piegato a loro, succube dei miei demoni e incatenato nei miei incubi.

Tuttavia, arrivò un tempo, quando oltre a quelle urla, una voce si distinse tra tutte di esse.

Armoniosa e angelica.

Come onde che si infrangevano sulla riva di una spiaggia.

Come pioggia su un prato verde e colmo di fiori.

Come note di una chitarra accordata, suonata attorno a un falò.

Eliminò ogni mio pensiero precedente, insediandosi dentro di me.

Ma era debole.

Mi faceva sentire fragile.

Adesso quella melodia era scomparsa, e io impazzito.

L'avevo scacciata e me ne pentivo.

Tornai alla vergogna.

A ripugnare me stesso per averle concesso di vedermi, per la prima volta.

Di conoscere la pazzia che c'era in me e di averle fatto innamorare di essa.

Quel bagliore che avevo captato nei suoi occhi, qualche istante prima che potesse toccare il mio petto, non mi piaceva affatto.

Come poteva averlo?

Ero un abominio, un errore, un mostro, un folle.

Non ero sano per lei, per Tähti, non lo ero per nessuno.

Ovviamente, ancora per una volta, Claire aveva ragione.

Lei era realista e non aveva mai avuto quella luce negli occhi quando mi aveva davanti.

Adam l'aveva, e ora giaceva sotto due metri di terra, in un cimitero.

No.

Oggi no.

The Love In Your EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora