10. Urlo, scalpito, ma non mi ascoltate

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Alexander

"E quasi per sbaglio Eddie
scoprì una delle più grandi verità
della sua infanzia: i veri mostri
sono gli adulti."
It, Stephen King

6 anni prima, Manchester

Chissà come ci si sentiva a stare in una stanza piena di sordi...

Cosa si provava a gridare senza essere sentito da nessuno.

Poi, ci pensavo bene, e trovavo sempre la risposta.

Uno schifo.

Era uno schifo essere ignorati da tutti.

Forse era solo un mio problema, una mia elucubrazione che mi facevo per la mia età. Insomma, a quattordici anni molte persone trovavano normale che si facessero così tante riflessioni esistenziali. C'era chi pensava che gli adolescenti volessero sempre l'attenzione di tutti e, se ciò non si otteneva, facevano di tutto per averla, ingigantendo il problema.

Anche fingere di essere depressi.

Ma non era nel mio caso. Io ero solo messo da parte e basta, non avevo mai fatto nulla per cambiare la situazione.

Era come se mi sentissi sempre di troppo, troppo inopportuno per il momento.

Mi piaceva socializzare, ma, durante i pomeriggi passati a casa con la mamma e le sue amiche, a bere un tè, non mi era permesso chiacchierare quanto volessi.

«Alexander, amore, sta' dritto e non fare nessuna battuta. Le apprezzo, davvero, ma sono poco consone al momento», una volta mi aveva detto, prima di accogliere Monica ed Esther in casa.

Non avevo mai fatto una battuta da comico, dicevo solo la verità in chiave ironica. Poiché, solo in quel modo, seppur inutilmente, qualcuno mi ascoltava veramente.

Non credevo che a mia madre sarebbero piaciute veramente se avesse capito il vero significato, concentrandosi un po' di più su suo figlio.

Cosa le costava? Nulla.

Ed era lì il problema.

Instaurare un buon rapporto madre-figlio non le era mai importato, poiché non avrebbe ricavato nulla da quello.

Piuttosto, lei e suo marito, nonché mio padre, tenevano a farmi crescere con l'educazione e l'istruzione, in modo che, un giorno, sarei diventato un illustre avvocato e avrei preso l'eredità di mio padre, che un tempo apparteneva a mio nonno.

Mi volevano bene, ma erano troppo assenti.

Erano passate due ore da quando avevo cominciato i compiti. Erano esattamente le cinque del pomeriggio e l'unico rumore che udivo, nel grande salotto in stile classico di casa mia, era il ticchettio dei tacchetti della donna delle pulizie.

Di solito mia madre non la faceva lavorare mentre studiavo, specie nello stesso posto, ma quel giorno fu un eccezione.

Percepivo la gola asciutta per le troppe ore passate a non parlare, perciò mi venne naturale voler scambiare qualche parola con la cameriera.
Tuttavia, a nessuna delle dipendenti dei miei genitori era concesso rivolgermi la parola.

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