36. Tempi bui

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"Stiamo insieme fino a
quando il giorno
sarà noioso e baciamoci
fino a quando la notte diventerà
interessante."
Ryker Gray

Non avevo dormito bene quella notte, troppo confusa e preoccupata per gli eventi futuri.

Avvertivo il cuscino e le lenzuola bollenti ogni volta che mi giravo, in balia dei miei pensieri. In più, le ore notturne sembravano non finissero mai.

Era tutto cominciato dalla sera scorsa.

Chiunque stesse disturbando i miei sogni, lo stesso che ci aveva minacciati, era a piede libero per la città e stava giocando una partita di carte insieme a noi, ansioso di conoscere la nostra prossima mossa, se non ci avesse preceduti.

A Ryker non avevo detto nulla per non farlo stare in pensiero ulteriormente.

In quel periodo aveva ricominciato la dura e lunga battaglia contro i suoi demoni, era sufficiente quello. Mandarlo a dormire con un pensiero inquietante in più, non era tra i miei piani. Inoltre, la mattina successiva ci saremmo riuniti con tutti.

Lì avrei confessato.

Tuttavia, tutta quella paura mi stava lentamente degradando le interiora.

Mi alzai non appena suonò la sveglia. Era sabato, ma in genere mi svegliavo presto per studiare di più.

Solo che, quel giorno, mi catapultai in bagno non per aprire i miei libri di studio, ma per affrettarmi a essere fuori casa.

Mi lavai i denti e mi sciacquai il viso, che fu cosparso da un'ondata di frescura.

Dopo essermi pettinata i capelli e tolti i mille nodi, mi vestii. In mezz'ora fui pronta per andare alla roulotte di Alexander, mi avrebbe accompagnata Ryker.

Sperai con tutta me stessa che mio padre a quell'ora fosse uscito.

Stava sempre fuori. I giorni lavorativi per andare in ufficio e in quelli dedicati al riposo pure. Non sapevo dove andava durante quegli ultimi, e non volevo scoprirlo.

Tuttavia, quando scesi le scale in modo celere e silenziosamente, lo ritrovai in cucina, con gli occhi puntati sull'ingresso, verso di me.

Imprecai dentro di me, sapevo mi avrebbe fatto problemi e costretta a rimanere a casa.

«Buongiorno.» Gridò per testimoniare la sua presenza.

Balzai in aria, spaventata dal suo tono di voce duro. Fu quello a farmi lasciare l'idea di andarmene di soppiatto e inosservata, soprattutto nei prossimo cinque minuti. Poiché mi avvicinai alla cucina, dove era lui.

«Dove stavi andando?» Mi chiese subito dopo, con le braccia conserte.

Non entrai del tutto nella stanza, rimasi sulla soglia della grande arcata e mi ci appoggiai con una spalla.

«Chloe voleva passati degli appunti, glieli stavo portando» risposi, con la scusa che mi ero preparata prima.

Esaminai il suo sguardo scettico, che non prometteva nulla di buono.

Sorseggiò un po' del suo caffè prima di parlare.

«Ti accompagno. Dove abita la tua amica?» Enunciò muovendosi dallo sgabello e posando la tazzina sulla penisola.

Non avevo previsto quella reazione. Non pensavo neanche mi potesse credere.

«Non ce n'è bisogno, davvero. Non vive distante da qui», iniziai a sudare freddo per la paura di essere scoperta.

Timore che salì, dal momento che stette in silenzio e ponderò la situazione con aria circospetta. Aveva capito che lo stessi prendendo in giro?

«Eileen, ti devo ricordare che sei in punizione? Quella di prima non era una domanda. Se voglio accompagnarti, ti accompagno.» Disse fermamente.

The Love In Your EyesDove le storie prendono vita. Scoprilo ora