2. Tre parole

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"L'uccello nella gabbia
canta non di piacere, ma di rabbia."
Arthur Schopenhauer

Mentre battevamo alla porta della casa della signora Collins, sentivo il cuore pompare veloce nel petto.

L'ansia si diffondeva in me come una marea tumultuosa, mentre attendevamo di essere accolti.

Accanto a me, Ryker se ne stava immobile, in tutta la sua prestanza fisica virile, con le braccia che gli ricadevano lungo i fianchi, e non palesava alcun cenno di preoccupazione.

La mia vicina, Edith, aprì con gentilezza, il suo volto trasudava gioia. La nostra visita non passò certo inosservata, le fece molto piacere.

Il fruscio dei nostri passi echeggiò nell'ingresso silenzioso, mentre avanzavamo con passo deciso verso le scale che portavano alla camera di Piper, appena rientrata dall'ospedale.

Edith, non appena salutati, ci comunicò che lei si trovava al piano superiore, a disfare la valigia e a sistemarsi.

La luce fioca filtrava dalle tende socchiuse del soggiorno, in cui vi erano posati mazzi di fiori, tulipani, girasoli e rose, sul tavolino centrale.

Con passo lieve e silenzioso, io e Ryker salimmo le scale che conducevano al primo piano della dimora.

Il legno scricchiolava sotto i nostri piedi, frattanto io mi torturavo con le mie congetture.

Ero contenta Piper si fosse ripresa, ma ero agitata per la piega che avrebbe potuto prendere quel momento tra me, lei e Ryker soli.

Giunti alla porta della sua camera, il mio cuore si strinse e m'appigliai alla manica della giacca di Ryker per non cadere.

Lui mi lanciò un'occhiata perplessa, per controllare se stessi bene, e con lo sguardo mi comunicò sostegno, mi rassicurò.

Piper stava eretta di fronte alla libreria, uno sguardo assorto posato su una fotografia che giaceva tra le sue mani.

La luce flebile proveniente dalla finestra accarezzava il suo profilo, mostrando la punta del suo naso che andava verso l'alto e le labbra carnose.

Si voltò verso di noi quando la porta si aprì, un po' di più, e scricchiolò.

Esibì un sorriso luminoso, emanando un'aura di calda accoglienza.

«Mia madre mi aveva avvisata che sareste venuti, entrate.», disse con calma.

Avanzammo.

Ryker rimase in silenzio accanto a me, il suo atteggiamento freddo come un muro invalicabile.

Non capivo cosa avesse, anche se gustavo della soddisfazione sul mio palato al pensiero che si stesse comportando in quel modo per me, per non farmi ingelosire.

«Come ti senti?» chiesi con voce gentile, cercando di farle capire che poteva contare su di noi nonostante l'indifferenza del corvino.

Piper si strinse leggermente nelle spalle. «Meglio, grazie», rispose con un filo di voce, le sue guance ora di nuovo riempite.

«La prossima volta è meglio che non esageri con il cibo, hai fatto prendere tutti uno spavento...» sospirai, aggiungendo una lieve ironia dietro le mie parole.

Questi eventi erano imprevedibili, purtroppo. Bisognava stare sempre cauti.

Piper emise un colpetto di gola sonora per rispondere al mio umorismo, ma, nei secondi successivi, uno sguardo di rimando tra lei e Ryker suscitò in me il sospetto che stessero omettendo qualcosa. Dunque, m'accigliai.

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