18. Le Stelle sopra di noi

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"Ti prego, impara a leggere
il silenzio del mio cuore."
William Shakespeare

Avanzai verso la roulotte di Alexander, indecisa se proseguire o tornare a casa.

Durante il tragitto avevo meditato a lungo se fosse una buona idea domandare a Ryker ulteriori informazioni su Adam, poiché sapevo che ci fossero ancora dei tasselli mancanti, che non mi permettevano di capire.

I sassolini, che scoppiettavano sotto i miei piedi, smisero di far rumore quando salii i due gradini e mi fermai per bussare.

Diedi alla porta due colpi secchi e sospirai, osservandomi intorno, in attesa di entrare.

Poi, Alexander mi si palesò davanti con un sorriso a trentadue denti e i capelli lunghi scombinati.

«Oh» sbuffò, deluso. «Credevo fossi un'altra persona» ammise amaramente, e io entrai subito nel momento in cui adocchiai Ryker stare seduto sul divano.

Aveva una sigaretta tra le dita della mano destra e, nell'altra, reggeva una bottiglia vuota di birra.

L'aria era così pregna di fumo che divenne pesante, ma dovetti sopperire a quell'odore e, dopo un po', mi abituai.

«Eileen?» Si alzò, buttando nel posacenere la cicca fumante, e, nel tavolino accanto al divano, appoggiò la bottiglia. «Che cazzo ci fai qui?» Esclamò allibito dalla mia presenza.

«Dovevo dirti una cosa...» Guardai il ricciolino e compresi che non fosse più il momento adeguato per parlare, perciò aggiunsi: «Ma può aspettare, non è urgente.»

Ryker fece spallucce e annuì.

Il mio petto si liberò di un grande peso e della paura di una sua possibile brutta reazione.

In seguito, si allontanò da noi e uscì dalla roulotte in silenzio, senza comunicarci dove stesse andando. Tuttavia, avvertii che avesse aperto la macchina, ma senza metterla in moto.

Allora cosa...?

«Sei agitata?» Quella domanda mi raggiunse da dietro non appena l'ambiente sprofondò nuovamente nella quiete.

Era stato Alexander a parlarmi, e mi voltai per rispondergli.

«No, non lo sono» sfarfallai gli occhi in imbarazzo e iniziai a torturare il tessuto sottile che mi copriva la coscia.

«Sì, certo...» Borbottò, sedendosi sul divano e smettendo di parlare.

Tastò prima le tasche dei suoi pantaloni e poi quelle della sua giacca, ma erano tutte vuote e, allora, ribaltò il cuscino dello schienale del divano.

I suoi ricci si scompigliarono e gli finirono sulla fronte, anche i lineamenti del suo volto s'irrigidirono.

Cominciò a cercare con più frenesia, come se si stesse innervosendo.

«Potrei sapere cosa ti serve di così importante?» Chiesi, eppure, non ottenni alcuna risposta.

Alex non badò a me, proseguì la sua caccia al tesoro misteriosa.

«Trovata!» Gridò trionfante, sollevandosi da terra e facendo uscire il braccio da sotto il divano, con una bustina nella mano.

Scrutai meglio il contenuto e appurai fosse erba.

Rimasi impalata anche quando urtò una mia spalla per passare e andare verso il tavolino da pranzo.

Vi appoggiò su una cartina per sigarette e mise sopra un po' di quella schifezza, aggiunse anche il filtro e chiuse il tutto. Prima, arrotolò la cartina su se stessa, facendo attenzione che ciò che vi era dentro non uscisse, e, poi, la prese con la bocca per bruciare la carta in eccesso e l'accese.

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