Capitolo 2

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Appena la campanella suonò, segnando la fine delle lezioni e l'inizio del weekend, tutti gli studenti si fiondarono fuori dalle classi e io con loro, volendo tornare a casa il più presto possibile. Nonostante la mia ottima condotta, non ero affatto la tipa secchiona che tutti credevano, anzi, meno avevo da studiare e più ero felice.

Uscii da scuola e mi diressi verso la fermata dell'autobus, con in testa la continua curiosità su dove fossero finiti Damien e Camilla. Non li vidi per tutta la giornata. Più che la ragazza cercavo il ragazzo, ma, come si suol dire: La fortuna è cieca solo con me, con gli altri ci vede benissimo.
Sulla mia destra vidi Camilla, appoggiata con la schiena ad un albero del giardino esterno della scuola, una sigaretta tra le labbra e gli occhi coperti da un paio di occhiali da Sole.

Cercai con tutta me stessa di impormi di starle lontana, ma fallii. Mi voltai e mi feci largo tra la folla di studenti, finché non posai le mie scarpe sull'erba del giardino. Avanzai di un altro paio di metri e arrivai davanti a Camilla.

"Ehi ciao" la salutai con un sorriso gentile sulla bocca, ma lei non mi degnò neanche di uno sguardo, o se lo fece io non lo vidi a causa delle lenti da Sole.

"Come mai gli occhiali? Oggi è nuvoloso" le chiesi con una punta di divertimento, ma non perché volevo ridere di lei, bensì perché volevo strapparle un sorriso. Mi dava la sensazione di essere una che non si divertiva quasi mai.

"C'è comunque luce e io la odio" rispose con un tono di voce privo di qualsiasi emozione e questo mi fece sorgere la domanda se lei provasse effettivamente qualche emozione.

"Ma anche a scuola c'era luce e non li avevi" le feci notare sempre con quella punta di sarcasmo benevolo, ma anche lì non accennò neanche una mezza emozione.

"E quindi? Posso indossare gli occhiali quando cazzo mi pare o ti devo chiedere il permesso?" domandò con una aggressività che mi spiazzò totalmente e ammetto che un po' mi ferì. Mi ritenevo una persona talmente buona da poter essere ferita da chiunque, anche da una perfetta sconosciuta come Camilla. Tuttavia, cercai di passarci sopra, per quanto fu difficile.

"Non ho visto né te né Damien oggi? È successo qualcosa?" chiesi sperando che non fosse successo qualcosa che le avesse rovinato la giornata. Pensai che la sua acidità fosse dovuta a quel motivo.

"Se ti dico che siamo stati chiamati per un contrattempo, ti levi dalle palle?" domandò quasi come se mi stesse ringhiando, con il fastidio e la rabbia che si usano contro una persona che odi.

"Mi spieghi perché mi tratti così male? Non mi pare di averti fatto qualcosa?" chiesi cercando di capire per quale motivo fosse così acida con me. Capivo che anch'io fossi una sconosciuta per lei, ma almeno cercavo di fare amicizia.

Prima di rispondermi, Camilla fece un lungo tiro di sigaretta e appena buttò fuori tutto il fumo, mi rivelò il problema.

"Tu mi irriti" rispose secca e anche in quel momento rimasi attonita per la sua schiettezza, oltre per ciò che disse.

"La tua presenza mi urta il sistema nervoso, come il ronzio di una zanzara nell'orecchio" aggiunse facendomi capire che dovevo alzare i tacchi e andarmene, ma qualcosa mi tratteneva lì. Con il senno di poi trovai anche molto ironico che proprio lei parlasse di zanzare succhiasangue, ma in quel momento non sapevo nulla di lei e non badai troppo alla metafora che usò.

"Oh, ma guarda che fortuna! È arrivato il tuo autobus" disse e quando mi voltai, vidi effettivamente l'autobus che mi doveva portare a casa, però mi stranii un particolare che notai quasi subito.

"Come sai che è il mio auto-" mi girai per rivolgerle la domanda, ma mi bloccai appena mi accorsi che non c'era più. Camilla si era come dissolta nel nulla.

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