55. Lego

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Papà mi parla, ma non lo sto ascoltando. Mi sta dicendo cose che già penso da solo. Sul mio comportamento poco dignitoso e sul modo stupido in cui ho perso.

Mi cambio velocemente maglietta e pantaloncini e ne indosso un paio asciutti.

«Non fai la doccia?» mi chiede lui.

«Non voglio incontrare Louis» rispondo. Sarà qui tra poco e conoscendo la sua insensibilità è capace di venirmi a cercare per consolarmi o chissà cosa.

«Vai in sala stampa sudato?»

«Faccio la doccia a c-c-casa» aggiungo infilando una felpa. Sto già raccogliendo le mie cose. Esco, seguito da papà. Fuori dalla stanza ci sono zia Elena, Ethan e Armando. Ci dirigiamo tutti insieme alla sala stampa, con zia Elena che mi consiglia cosa dire ai giornalisti riguardo l'increscioso episodio di poco fa (usa proprio questo aggettivo: increscioso).

Le prime domande riguardano, come è ovvio, il mio comportamento.

Non ricordo più cosa mi ha detto di dire zia Elena. Mi ricordo solo quell'aggettivo: increscioso. Dico ai giornalisti che mi vergogno del modo in cui ho reagito alla sconfitta e di aver rotto la racchetta. Mi fanno notare che era la prima volta che lo facevo e io ribatto che sarà anche l'ultima: è una promessa. L'interprete dei segni traduce tutto correttamente.

Mi chiedono poi se Louis mi avesse detto qualcosa di male a rete, rispondo di no, ho fatto tutto io.

«È la seconda volta che Tomlinson ti sconfigge: cosa c'è nel suo gioco che ti dà fastidio?»

Nel suo gioco niente, è un giocatore mediocre, dico coi segni.

L'interprete mi lancia un'occhiata preoccupata: non vuole tradurre?

Le dico a segni che non mi vergogno del mio giudizio e la esorto a tradurre. C'è un brusio in sala stampa quando lei lo fa.

Proseguo e dico che il suo gioco è talmente brutto da innervosirmi ed è a causa di questo nervosismo che ho perso entrambe le volte.

L'interprete mi guarda e mi chiede conferma: brutto?

Metto il dito sotto il naso e lo tiro verso destra, ripetutamente: è il segno per dire "brutto", "ugly". Louis è brutto, quando gioca. Brutto, brutto, brutto!

L'interprete traduce in inglese e ci sono altri mormorii, stavolta più forti.

Proseguo ancora: è giusto dire la verità, essere sinceri. Comincio a descrivere i suoi colpi: sono privi di peso, spesso improvvisati ed esteticamente orrendi. È sgraziato, vuole solo fare scena con colpi fini a se stessi allo scopo di innervosire il suo avversario e devo ammettere che con me ci riesce. Ammetto la mia incapacità di gestire questo aspetto.

L'interprete traduce e io mi sento sempre più triste e amareggiato.

Oggi nel secondo set mi sono abbassato al suo livello, giocando un po' sporco anch'io. Mi sono pentito di averlo fatto. Non è così che voglio vincere, io voglio vincere facendo il mio gioco, attaccando, con coraggio.

Alzo gli occhi verso zia Elena, che sta scuotendo impercettibilmente la testa, con gli occhi sgranati.

Lo so. So benissimo che non si dovrebbe mai parlar male dell'avversario: è considerato poco sportivo. Ma non potevo fare a meno di dirlo.

La domanda successiva riguarda il regalo. Le telecamere hanno catturato la mia frase: "tu e i tuoi regali del cazzo" (mi vergogno molto di aver usato una parolaccia). Mi chiedono a cosa mi stessi riferendo. Rispondo che preferisco non parlarne.

La conferenza prosegue per altri due o tre minuti. Le mie risposte successive sono tutte molto brevi. Non ho più voglia di stare qui. E mi viene da vomitare al pensiero che domani devo giocare il doppio (io e Johnson abbiamo passato il primo turno, ieri). Però non mi tirerò indietro. Sono una persona responsabile.

Play - Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora