130. Just a perfect day

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Sono le cinque e cinquantadue del mattino.

Ho visto l'ora toccando lo schermo del cellulare di Louis, sul comodino.

È stato bello dormire con lui, ma adesso devo alzarmi. Prima di andare dal fruttivendolo devo fare un'altra cosa.

Esco dal letto cercando di non svegliarlo.

Ci riesco. Louis dorme della grossa. A vederlo sempre così caotico e pieno di energia, si potrebbe pensare che anche il suo sonno sia agitato. Invece no. È tranquillo, sereno, silenzioso.

Mi chino e gli do un bacio sulla fronte.

O. Mio. Dio.

Cosa mi è saltato in mente?

Perché l'ho fatto?

«Nnnh» mormora lui. Apre mezza palpebra. Aggrotta le sopracciglia. «Garri... mi hai baciato?»

«No!» esclamo scuotendo la testa con vigore.

Per fortuna sembra crederci. «Mh, era sogno.» Sbadiglia. «Che ore sono? Dove vai?»

«D-devo fare una cosa. Torno subito, tu dormi.»

Non serve neanche che glielo dica, si sta già riaddormentando.

Ciò che mi serve sono dei vecchi attrezzi da tennis che si trovano nel magazzino/officina del nonno. Che spero si trovino ancora nel magazzino e non siano stati buttati.

Per fortuna, nel vecchio capannone polveroso, tra attrezzi agricoli, biciclette arrugginite e ciocchi di legno, trovo ciò che cercavo: una vecchia rete da tennis e un tiralinee da erba. Nel tiralinee c'è ancora del gesso. Menomale! Non avevo pensato al gesso! Li carico su una carriola (che, se non sbaglio, è quella che avevo usato per portare Cloe a fare la sua ultima passeggiata) e quando esco in cortile mi trovo davanti mio nonno.

«Là vastu a chiste ore?» Dove vai a quest'ora?

Non mi va di rispondergli. La spiegazione è troppo lunga e anche se provassi a dirglielo non capirebbe.

Faccio per andarmene ignorandolo, ma mi rendo conto che quello che sto per fare lo devo fare su un campo di sua proprietà. Dovrei chiedergli il permesso?

No, non mi interessa: anche se mi dovesse dire no, lo farei ugualmente.

Però per correttezza lo informo: hai presente il prato sulla collina con la quercia? Voglio fare un finto campo da tennis.

Lui scuote la testa. «Non puoi farmi buchi nel campo, me lo rovini.»

Non preoccuparti, non buco niente, la rete la appoggio a terra.

Fa una smorfia. «Se non me lo rovini... bon, basta che poi metti a posto tutto.»

Annuisco.

«Devi giocare con quel... con quel Louis?» Mi aspettavo che dicesse "storlòc". «Non potete andare in un campo vero? Quello lì è in discesa, come fate a giocare?»

È una storia lunga, gli dico.

Il nonno sbuffa. Stringe le labbra. «Tanto io sono vecchio e non capisco niente, eh?» Si allontana, curvo e triste. «Tant 'o soj vecjo e 'o muri daurman...»

L'ultima frase che pronuncia mi stringe lo stomaco. Sono vecchio e muoio subito. È un vecchio cattivo che non capisce l'amore, ha detto papà. Ma mi fa pena. Anch'io non capivo l'amore. Forse il nonno, semplicemente, non ha mai avuto la fortuna di trovarlo.

***

Ho preparato il campo. Non ci ho impiegato tanto, in mezz'ora avevo già finito. Ho tirato le righe di gesso sulla collina. Mi sono venute un po' storte e non credo di aver riprodotto bene le dimensioni e proporzioni di un campo regolamentare (anzi, sono sicuro di averlo fatto molto più piccolo), ma è l'idea che conta. Ho messo la rete a terra, in centro al rettangolo bianco, come fosse una rete che è stata calata dopo un incontro. Come quella sera sul campo Diciotto.

Play - Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora