131. Una nuova grammatica

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Il sole è già basso all'orizzonte.

Tra pochi minuti usciremo, quando arriveremo al campo probabilmente starà tramontando.

Mi sono preparato.

Ho chiesto a Louis mezz'ora di tempo da solo, per farlo.

Per preparare le fragole ci ho messo solo cinque minuti. Le ho lavate sotto l'acqua corrente, asciugate per bene, ho tolto le foglie e le ho messe nei bicchieri di plastica - di plastica proprio come quella sera. Poi ho sigillato i bicchieri con della pellicola. La panna la aggiungerò quando arriviamo lì, se l'avessi messa prima, nel giro di cinque minuti si sarebbe formato un guazzo disgustoso.

Ciò che mi ha preso molto più tempo, più di quanto pensassi, è stata la ricerca delle parole. Mi sono fatto aiutare da Google, e ho incontrato difficoltà inaspettate.

Ma le ho trovate. Probabilmente sono un po' sbagliate. Ma non importa. Lui capirà. Sono sicuro che capirà.

Ci incamminiamo, ben caldi nei nostri giubbotti. Louis ha una sciarpa rossa e una cuffia di lana dello stesso colore acceso. Io ho la sciarpa e la cuffia di Zoe. La sciarpa azzurra dell'amicizia.

Louis è impaziente. Ha capito che sto per dargli il famigerato regalo e non sta nella pelle: cammina saltellando, guarda il mio zaino ogni dieci secondi e ogni tanto fa dei sorrisetti tra sé e sé.

Tutta questa aspettativa non mi piace. Ho paura che resti deluso. Si aspetta chissà cosa e io gli tiro fuori due miseri bicchieri di plastica con delle misere fragole.

«Mi porti al grande albero?» mi chiede.

Annuisco.

«Sono contento che mi porti là. E un posto tanto speciale per te.»

Lo è. E uno dei miei posti preferiti al mondo, nsieme alla camera di Louis a San Pietroburgo e al campo Diciotto di Wimbledon.

La vista della collina è nascosta dai vigneti fino a circa cento metri di distanza, e quando finalmente spuntiamo dalla stradina sterrata che divide due campi, Louis lo vede.

Dapprima non sembra capire bene: socchiude gli occhi, tira un po' il collo in avanti, sussurra qualcosa in russo. «Hai... hai fatto tu quello?» mi chiede indicando il finto campo.

Sorrido e annuisco.

Lui fa una risatina. «Ma... ma è... campo Diciotto?»

Sorrido di nuovo e annuisco di nuovo.

Louis ride ancora, allarga le braccia e fa una giravolta su se stesso, nuvolette di vapore si condensano davanti alla sua bocca aperta. Poi porta le mani al petto. «Per me?» mi chiede camminando all'indietro.

Annuisco vigorosamente. Poi aggiungo: «Р-р- per noi.»

«Andiamo!» mi prende la mano con entusiasmo e mi trascina. Facciamo gli ultimi metri di corsa, io cerco di tenere fermo lo zaino con la mano libera per paura che le fragole si trasformino in un frullato.

Quando arriviamo sotto la quercia, Louis fa un'altra giravolta, prende un gran respiro e guarda il tramonto all'orizzonte. «Bellissimo! Bellissimo!»

È felice e sono felice anch'io. Non so se esiste qualcosa al mondo che mi rende più felice del vedere felice Louis.

«E in backpack cosa c'è?» Si alza in punta di piedi come per sbirciare. «Mentre camminiamo sentivo rumore... tin tin tin... tipo metalo.» Con una elle.

Sentiva la bomboletta di panna che andava a sbattere contro il tupperware di vetro in cui ho inserito i bicchieri con le fragole.

Apro il "backpack", lo zaino. Ho portato anche una vecchia coperta per sederci e per prima cosa stendo quella, vicino alla riga di bordocampo.

Play - Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora