104. Everything under the sun is in tune...

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Siamo di nuovo qui. If you can meet with triumph and disaster.

Siamo qui sotto la scritta, come l'anno scorso, solo che stavolta in gioco c'è il titolo.

Non arrivo all'incontro ben preparato. Ho trascorso due notti e una giornata orribili.

Le parole di mio fratello, che ero riuscito a rimuovere mentre guardavo l'incontro di Louis con Grković, sono tornate con prepotenza nella mia testa, a tormentarmi.

Ho cercato di concentrarmi sul match, di prepararmi al meglio, allenandomi, rifinendo le tattiche, guardando punti su punti, giocate su giocate dei più recenti incontri di Louis. Ma c'era sempre qualcosa, qualche particolare, qualche inezia che in qualche modo mi faceva tornare in mente Alessandro, o mio padre, o mia madre.

La cosa più terribile è che non sono riuscito a togliermi dalla testa un'idea, un tarlo.

Che le parole di Alessandro fossero vere.

Ho sempre creduto a mio padre, a Filippo. Ho sempre creduto che la mamma fosse morta per errore, e che Alessandro raccontasse quella storia orribile perché lui la mamma la odiava. Non hanno mai avuto un rapporto molto stretto, Alessandro e la mamma. Alessandro la trattava sempre male. Le dava della superficiale, della stupida. Non faceva che criticare lo stretto rapporto che lei aveva con me. Era invidioso, geloso. E quindi, dopo la morte, ha cominciato a raccontare brutte storie su di lei, a parlare di suicidio. Perché la odiava.

Ma se fosse stato mio padre a raccontarmi una bugia, invece?

Mi torna in mente quell'inciampo di papà. Quella volta che aveva accennato al suicidio, un paio di anni fa, a New York. Aveva accennato, e poi ha ritrattato.

Aveva accennato, e poi ha ritrattato. Mi torna in mente ora. E se mi avesse sempre mentito?

No. Non è possibile. La mamma non mi avrebbe mai abbandonato.

Ma se invece l'avesse fatto?

Mi dico di no. La parte razionale del mio cervello mi dice che non è possibile, ma c'è una minuscola parte di me che inizia solo ora, e non so perché proprio ora, ad avere un dubbio, ed è un dubbio che mi perfora il cuore, che mi corrode lo stomaco, mi fa sudare di notte e riempie la mia testa di incubi.

Sto per giocarmi la finale, e ho questi pensieri in testa. Come posso vincerla?

Devo onorare questa sfida. Se Louis vincesse oggi, avrebbe un altro record in cui non potrò mai più superarlo: io ho vinto il mio primo Slam a diciannove anni e undici mesi. Lui lo vincerebbe a diciannove anni e tre mesi. Non posso lasciarlo vincere.

Mi ripeto queste cose, senza sentire una vera motivazione dentro di me.

Annunciano i nostri nomi. Scendiamo in campo. Il centrale di Wimbledon, gremito. La next generation del tennis. Il passaggio di consegne. La nuova era. Frasi che ho letto sulla stampa.

I capelli di Louis sono più viola che mai.

Sistemo le borse. Levo la felpa, indosso il frontalino. Il frontalino che si è inventata Zoe ed è diventato una specie di trademark del mio stile. C'è stato un boom nella vendita dei frontalini, da quando lo uso. Ogni tanto mi spavento, quando penso all'influenza che possono avere le mie azioni, anche quando sono azioni così stupide, come indossare un accessorio di abbigliamento.

La mamma indossava sempre gonne bianche, quando giocava. Quello era il suo trademark. Gonne bianche che mettevano in risalto le sue bellissime gambe affusolate da ballerina.

Non pensare alla mamma. Pensa al match. Concentrati. Rendi onore a Louis. E ad Arturo, che sta forse guardando la sua ultima partita di uno Slam.

Anche Arturo morirà, come la mamma.

Play - Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora