105....but the sun is eclipsed by the moon

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Ho l'udito ovattato.

Il respiro mozzo in gola.

Il cuore stritolato al centro del petto.

Mi cade la racchetta di mano.

Vedo il pubblico esultare e applaudire, ma non lo sento.

Cosa è successo? Mamma, mi hai visto?

Una figura bianca e viola avanza verso di me. La metto a fuoco. È Louis.

Metto a fuoco il suo viso. È stanco, triste, ma sorride. Mi sorride. È venuto da me, ha scavalcato la rete. «Complimenti, Garri» mi dice, abbracciandomi.

Mi lascio abbracciare, lo abbraccio fiaccamente anch'io, senza convinzione, senza capire perché lo sto facendo, senza capire cosa sia appena successo.

«Ehi, Garri, non sei contento?» Sorridendo, mi toglie il frontalino dalla testa. Me lo ruba, si toglie la fascetta e se lo mette in testa lui. «Questo prendo per ricordo.» Fa una risatina. Poi mi infila in testa la sua fascetta, come per ricambiare. «Mi dispiace che ho perso, ma Artu ha visto una partita bellissima.»

Incontro. Si dice incontro, non partita. La partita è il set.

Non ho la forza di correggerlo.

«Garri, non dici niente?»

«Everything under the sun is in tune» mormoro. Non so perché lo faccio. È l'unica frase che mi sta rimbalzando tra le pareti vuote della testa.

«But the sun is eclipsed by the moon» mi risponde lui con un sorriso. «Dai, vai in mezzo al campo, prendi l'applauso.» Mi spinge.

Avanzo, mi guardo intorno.

Ho vinto. Ho vinto Wimbledon. Il torneo che sognavo di più.

Alzo le braccia al cielo. Applauditemi. Osannatemi. A me non interessa.

Ho vinto lo Slam che tutti sognano di vincere. Il mio terzo Slam in carriera. E tutto ciò che vorrei fare, adesso, è sprofondare in questo prato, venirne inglobato, non uscirne mai più.

Mi sento soffocare.

Sorrido, perché so che è la cosa che devo fare.

Guardo il cielo, non so perché lo faccio. Cerco il fantasma di mia madre. Non credo nei fantasmi, ma lo sto cercando, dimmi che mi hai visto, mamma, che quel rovescio lungolinea non è stato solo un gesto senza senso.

Cosa devo fare adesso? Andare verso il mio angolo, già.

Corro verso di loro. Verso Zoe, Ethan, Armando, Leon. Mi arrampico, li raggiungo, li abbraccio uno a uno. Mi fanno i complimenti.

«Finalmente l'hai battuto!» mi dice Zoe nell'orecchio.

«Number one! You're the number one!» sta gridando Ethan.

L'informazione mi coglie di sorpresa. Non ci stavo pensando. Come è possibile che non ci stessi pensando? Il numero uno del mondo.

Sono il tennista in attività più forte del mondo. Il primo, il più grande, il migliore.

Perché non riesco a percepire la dimensione di questo fatto? Perché mi sembra una cosa irreale? Una cosa che non sta succedendo a me?

Ho sconfitto Louis, ho vinto Wimbledon, sono il numero uno. Sono le tre cose che desideravo di più al mondo.

Mi sento sempre più estraneo a questo luogo, a questa realtà, a questa vita.

I minuti passano. La cerimonia di premiazione. Louis solleva il suo secondo piatto da finalista, io la mia prima coppa, la alzo al cielo, la coppa d'oro con l'ananas storto in cima. Il mio nome inciso sulla base, a futura, eterna memoria. Ho ancora la fascetta di Louis in testa.

Play - Larry StylinsonDove le storie prendono vita. Scoprilo ora