capitolo 27 - Iris

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Iris

Guardo il numero scritto sul foglio strappato dal taccuino delle ordinazioni del Club, ho quasi timore a comporlo, paura di ciò che Joshua mi dirà del mio passato e soprattutto del legame che ci univa.

Le sue parole sono state proprio queste : "Il legame che ci univa ".

Per quanto io brami disperatamente la verità, scoprire chi ero, ora che ho l'opportunità di farlo, una parte di me teme di poter trovare qualcosa di scomodo.
Altrimenti perché la mia famiglia ha tentato, con le menzogne, di tenermene lontana?

Stringo il ciondolo che porto al collo dal giorno in cui sono partita da Portland, lo tengo sempre sotto i maglioni, come un tesoro tutto mio, da nascondere.
L'unica prova tangibile che esisteva una persona che mi amava, che mi reputava importante e che ho bisogno di ritrovare.
Mi chiedo se anche questo fantomatico uomo del mistero possa essere là fuori a cercarmi, mi chiedo se sa del mio incidente, della mia condizione attuale.
Chissà, magari sta soffrendo senza di me al suo fianco, ma se così fosse, perché in questi anni non si è fatto vivo nella mia città natale?

Mi lascio sfuggire un sospiro, osservo la città attraverso il vetro del balcone del salotto e mi chiedo dove sia questo ragazzo, se sia davvero Joshua, ma soprattutto, se io sono realmente pronta per scoprirlo.

Stringo il cellulare in mano e poi lo poggio al petto, chiudo gli occhi e prego, a qualunque entità in ascolto, di aiutarmi a trovare la verità e accettarla.
Faccio fuoriuscire l'aria che non mi ero resa conto di trattenere e fisso il cellulare, rileggo il messaggio di Kate che mi spinge ad andare fino in fondo, a non mollare perché mi merito risposte.
Compongo il numero di Joshua e resto in attesa, pochi squilli e sento la sua voce.
"Ciao, sono Iris."
Il cuore sta battendo tantissimo e l'ansia mi stritola la gola.
" Sono felice che mi abbia chiamato, aspettavo questa telefonata."
La pausa che segue mi fa quasi tremare ma, non conosco affatto questo ragazzo e, l'idea che invece possa averlo amato senza adesso riconoscere nemmeno la sua voce e non saper cosa dire, è davvero triste.
" Ho davvero voglia di vederti e parlare con te. Spero anche tu."
Queste parole non aiutano il mio livello di ansia però mi fanno piacere, perché se lui è l'uomo che sto cercando, significa che ciò che c'è stato fra noi, è ancora vivo.
Almeno dentro Joshua, perché in me, purtroppo, non sento nulla.

"Quando possiamo vederci?"
Inizio a mangiucchiare un'unghia nonostante lo smalto amaro che metto per tentare di togliere questo brutto vizio.
" Purtroppo oggi sono fuori città per lavoro, ma domani a pranzo sono tutto tuo, fiorellino."
Le mie labbra si deformano spontaneamente nel sentire questo nomignolo e spero proprio che non fosse una consuetudine, perché è impossibile che io fossi entusiasta della cosa.
Lo saluto e passo le due ore successive a preparare la valigia, fra due giorni torno dalla mia famiglia e non so davvero come rapportarmi con loro.
Ora che ho la certezza che avevo una vita qui, la certezza delle loro menzogne, non ho la più pallida idea di come potrò fingere in loro presenza di non provare rancore.
Non sono mai stata una persona falsa, di certo non riuscirò ad iniziare adesso.
La parte di me delusa, vuole solo affrontarli, mentre un'altra parte vorrebbe aspettare ad avere questo confronto.
Si tratta della mia famiglia e pur sbagliando, sono certa che ogni bugia sia dettata dal loro amore e voglia di proteggermi.

Infilo l'ennesimo maglione nella valigia rigida azzurra e mi guardo intorno alla ricerca del reggiseno bianco con le margherite trovandolo sotto il cuscino, di sicuro poco sexy, ma non ho uno straccio di vita sessuale da che ricordi.
Sento bussare all'improvviso la porta e la voce di Brian aldilà di questa, tranquillamente vado ad aprire accogliendolo con un sorriso.
Peccato che oltre a quello, ci pensa anche altro a farlo.
I suoi occhi sono fissi sulla mia mano e quando ne seguo la traiettoria, mi rendo conto di stringere il reggiseno.

Sgrano gli occhi e di scatto porto la mano dietro la schiena, morendo di vergogna, mentre lui prima ridacchia e poi si schiarisce la voce alla ricerca di ritrovare la giusta serietà.
" Ciao, ti disturbo per caso?"
Cerco di infilare il reggiseno all'interno del mio jeans nella parte posteriore.
"No, accomodati, stavo facendo la valigia."
Mi scanso per lasciarlo entrare.
"Dovresti farmi un enorme favore."
Lo ascolto attentamente e incuriosita.
" Vieni con me, voglio portarti in un posto."
Unisce le mani come segno di preghiera e mi sorride appena, molleggiando sulle ginocchia.
Sorpresa dal gesto e dalla sua richiesta, chiedo dettagli, ma lui continua a dire che si tratta di un segreto, mi sento solo ad un tratto euforica dalla circostanza e corro ad infilare le scarpe.
Quando si tratta di lui, mi sto rendendo conto, sempre di più, di aver poco giudizio, ma soprattutto, di sentirmi bene nel vederlo.

Trovo al mio ritorno Brian che mi porge il mio caro piumino, che infilo subito e in pochi minuti siamo già dentro la sua auto.
" Dove stiamo andando?"
Non risponde e mi rivolge solo un'occhiata, mentre è immerso nel traffico.

I suoi occhi si alzano verso il cielo quando lo chiedo per la terza volta nel giro di venti minuti, ma io e la curiosità siamo anime gemelle.
Sto per arrendermi proprio quando finalmente parcheggia, i miei occhi vagano subito oltre il finestrino, alla ricerca di qualche indizio.
La bocca si spalanca e resto senza parole, devo dire che serve impegno per riuscire in quest'ultimo miracolo.
A pochi metri da noi una immensa distesa di ghiaccio, ma soprattutto, l'albero di Natale più grande che io abbia mai visto.
Apro lo sportello, scendo dall'auto e i miei passi si muovono soli verso la pista, gli occhi sono pieni di riflessi multicolori che adornano quest'albero immenso.
Mi volto entusiasta chiamando Brian e la sensazione di aver già vissuto questa scena mi si appiccica addosso, confondendomi.

La grande stella che si erge in cima è talmente grande e talmente luminosa che sembra abbagliare tutti, probabilmente è visibile da tutta New York.
"Chissà quanto è alto?"
Ammiro entusiasta, nella sua maestosità questo spettacolo e l'atmosfera che regala.
"Più di venticinque metri e ci sono quarantacinque mila luci."
La mia bocca è talmente spalancata da temere che la mandibola si stacchi da un momento all'altro e rotoli, a causa di questa informazione.
"Prendiamo i pattini cappuccetto rosso, vieni."
La testa scatta verso Brian che si sta già allontanando.
Tento di seguirlo aumentando il passo, non potendo farne a meno, i miei occhi sono fissi su di lui, chiedendomi perché abbia voluto condividere questo posto, dei momenti spensierati, proprio con me?
Perché mi ritrovo così spesso a condividere situazioni, attimi, emozioni, con lui?
Maggiormente, perché, ogni volta, puntualmente, mi sento nel posto giusto?

Indossiamo i pattini, ma sono davvero intimorita perché non so pattinare, sono sempre stata una frana anche da ragazzina persino con quelli con le rotelle, Brian, invece, mi sembra a suo agio.
Resto seduta sulla grande panca a bordo pista, osservando la figura dell'uomo che era al mio fianco, scendere sul ghiaccio.
Alza la zip del suo giaccone verde scuro, così da coprire bene anche il collo, ma per quanto dalla tasca fuoriesca un cappellino di lana, non lo indossa, facendo ricadere i capelli leggermente lunghi davanti l'occhio sinistro.
Li sposta indietro e punta quelle iridi azzurre su di me.
" Che ci fai ancora lì?"
Mi stringo nelle spalle, prima di rispondergli, timorosa di non riuscire a pattinare e divertirmi come vorrei, ma soprattutto, fare la guasta feste.
" Non credo di esserne in grado."
La sua mano a mezz'aria e lo sguardo tenero che mi rivolge mi sorprendono, tanto quanto le sue parole.

"Fidati di me."
Mi smuovono dentro qualcosa che non so riconoscere, come tutte le sensazioni che riesco a provare quando nei paraggi c'è Brian, forse si tratta di un battito nuovo, o due.
Di sicuro, non appena le mie dita toccano le sue, eccone un altro, sfuggito al mio controllo.

Un battito ancora.

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